1.2.2024 🟧 NATOLI/SCARPINATO – Audizione Commissione Parlamentare Antimafia

  

 

 

ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Signor presidente, ho alcune domande molto sintetiche. Il dottore Patronaggio, che è stato sentito in una precedente audizione, ha riferito che il 14 luglio 1992 si svolse un’assemblea generale nell’ufficio della procura di Palermo, nell’ambito della quale si discusse di mafia e appalti. Volevo chiedere se lei fu presente, chi parlò di questo argomento, che cosa disse, se c’era Borsellino e quali furono i suoi commenti.
  Seconda domanda. Lei ha interrogato, insieme a Borsellino e al dottor Lo Forte, Gaspare Mutolo. Le volevo chiedere se Gaspare Mutolo ha rilasciato, nel corso della sua collaborazione, dichiarazioni rilevanti sul tema mafia e appalti, in particolare per quanto riguarda le informative al ROS nel 1991.
  Altra domanda, sempre che riguarda Mutolo. Se le risulta che Mutolo anticipò a Paolo Borsellino che avrebbe fatto importanti dichiarazioni sui rapporti tra esponenti dei servizi segreti e cosa nostra e se, dopo la strage di via D’Amelio, Mutolo fece queste dichiarazioni spontaneamente oppure fu sollecitato a farle.
  Ultima domanda, se lei partecipò a una delle prime riunioni del pool della procura della Repubblica sul rapporto mafia eappalti, chi era presente, se le posizioni per le quali fu deciso di fare la richiesta di ordinanza di custodia cautelare furono concordate da tutto il pool, se vi furono dissensi e come avvenne quella discussione.

  PRESIDENTE. Grazie. Presidente, le chiedo soltanto di stare sulle domande, in modo che tutti i commissari riescano a intervenire.

 GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Senz’altro. Provo ad andare veramente per sintesi.
Sulla seconda domanda che lei ha posto, se Mutolo ha parlato di mafia e appalti, non ha mai parlato di mafia e appalti perché non ne aveva conoscenza. Questo perlomeno a memoria mia, che pure l’ho interrogato lungamente. Almeno per quello che ha riguardato gli interrogatori fatti in mia presenza, e non sono mai stati degli interrogatori fatti soltanto a me, ma c’era con me sempre qualche altro collega, a cominciare dal procuratore aggiunto Guido Lo Forte, non ha mai parlato di mafia e appalti. Tanto che credo di ricordare, io che pure non mi sono interessato del dossier mafia e appalti… Colgo l’occasione per dire espressamente che uno dei grandi equivoci che si è creato è quello secondo cui io mi sarei interessato di mafia e appalti. Stranamente, perché mi sono interessato veramente di parecchie cose all’interno della procura della Repubblica, questa assegnazione non mi è mai stata fatta, tranne in una fase iniziale della quale dirò immediatamente. Anzi, parliamone immediatamente, perché la quarta domanda che ho annotato riguarda proprio la riunione del cosiddetto «pool» della procura. Perché dico cosiddetto pool? Perché avviene a giugno 1991, quindi siamo prima dell’istituzione delle DDA, che sopravverranno, invece, alla fine di novembre 1991. Quindi, c’era un gruppo di lavoro, che io trovo quando arrivo dall’Ufficio Istruzione, che è costituito da cinque o sei colleghi, tra i quali anche il senatore Scarpinato. Come anticipavo poc’anzi, arrivo il 9, era un lunedì, e nel pomeriggio mi insedio, cioè prendo ufficialmente possesso del nuovo ufficio in tarda mattinata, mezzogiorno, l’una, nel pomeriggio c’è una riunione del pool della procura del tempo, costituito da cinque o sei colleghi, coordinato dal procuratore Giammanco, e vengo invitato a parteciparvi. 

  È l’occasione in cui il procuratore mi presenta agli altri colleghi, mi presenta ufficialmente, è chiaro che ci conoscevamo da moltissimo tempo. Quel pomeriggio, se ricordo bene e credo proprio di ricordare bene, i colleghi dovevano concludere, grosso modo, le loro valutazioni sul rapporto mafia e appalti, sul dossier mafia e appalti, quello presentato nel mese di febbraio.
  Vengono illustrate le posizioni. Si cominciano a delineare le posizioni, poche, rispetto alle quali i colleghi, a memoria mia in maniera assolutamente unanime, selezionano cinque o sei posizioni, sette posizioni, ora non ricordo.
  Tenete presente che io arrivo e non ho letto assolutamente nulla, quindi ascolto semplicemente quello che dicono gli altri. Il leitmotiv di questa riunione è incentrato sul fatto che il dossier mafia e appalti non ha elementi molto forti, ha più criticità che non elementi di forza. È un dossier molto ampio, credo di ricordare di 900 e passa pagine, non so quanti allegati di trascrizioni di intercettazioni, che avevano la caratteristica, da quello che ricordo, e che poi è inutile nascondervi, oggi, trentadue anni dopo, è chiaro che ho letto moltissime cose che all’epoca non sapevo. Selezionare quello che ho sentito quel giorno da quello che poi avrei appreso nei trenta e passa anni successivi sarebbe impossibile. Non avevano delle chiavi di lettura chiare. Evidentemente, il problema era trovare elementi che potessero sostenere le posizioni che si portavano a dibattimento, che si sarebbero dovute portare o potute portare a dibattimento.  
 Il procuratore Giammanco, alla fine di questo incontro, ecco perché parlavo poc’anzi di aver avuto soltanto un accenno, un inizio di conoscenza di questo rapporto, siccome tra le schede che accompagnavano – così sento – quel rapporto ce n’era una di un mafioso del trapanese, della parte di Mazara del Vallo, Nunzio Spezia, chissà per quale motivo ritiene di assegnarmela, dicendo: «Siccome tu hai lavorato, prima di venire a lavorare a Palermo, per cinque anni a Trapani» dove avevo fatto di tutto, praticamente, anche misure di prevenzione che erano appena sorte «leggiti questa scheda». Abbiamo passato tante settimane, tanti mesi. Per carità, alla fine ho visto che non è che i mesi fossero tantissimi. Credo che il dossier fosse stato assegnato, i pezzi del rapporto fossero stati assegnati sul finire di marzo. C’erano aprile e maggio, ed eravamo ai primi di giugno. Comunque, abbiamo passato queste settimane. «Leggiti questa scheda, aggiorniamoci alla prossima settimana e traiamo le conclusioni che oggi sono state avviate».  
C’è una riunione successiva, che non saprei, a questo punto, se della settimana successiva o di dieci-dodici giorni dopo, in cui si riprende questo argomento. Chiaramente, mi si chiede se ho letto la scheda e rispondo: «Sì, secondo me non c’è assolutamente nulla che può sostenere una qualche misura» e i colleghi assegnatari (tra i quali non ci sono io, tanto che questa mia affermazione non è che viene supportata da «scrivi qualche cosa» o «dicci qualche cosa», ho semplicemente manifestato oralmente questo discorso) selezionano le cinque o sei richieste di ordinanza di custodia cautelare, sul finire, se non ricordo male, del mese di giugno, che poi porteranno, all’inizio di luglio, all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Angelo Siino più altri quattro o cinque. Ripeto, su questi non saprei dire nulla di più.
La cosa che di certo posso nuovamente ribadire è che qualsiasi decisione fu presa senza che alcuno manifestasse opinione contraria o dissenso, sempre in questo clima generale, giusto o sbagliato che sia stato. È chiaro? La rivisitazione di questi ultimi mesi ci porta quasi a pensare che evidentemente tutti hanno sbagliato, tutti abbiamo sbagliato. Sta di fatto che, se abbiamo sbagliato o se hanno sbagliato, abbiamo sbagliato all’unanimità, in una coerenza e in una coesione di valutazioni che certamente, per quello che è il mio ricordo, fino a quel momento ci sono state. E siamo quindi arrivati alla fine di giugno, primi di luglio del 1991.  
C’era un’ultima cosa, ho annotato «Mutolo, Servizi e cosa nostra». Se per «Servizi» lei intende il dottore Contrada, presumo, che all’epoca era il numero 3 del SISDE, in mia presenza e per quello che ho letto dalle dichiarazioni di sempre del dottore Lo Forte, Mutolo non parlò mai fino a quando Paolo Borsellino è stato in vita. Per carità, gli interrogatori ai quali faccio riferimento non è che siano tantissimi. Sono quelli di giovedì 16, venerdì 17 e sabato 18 luglio.
I primi due fatti con Paolo Borsellino, quello del venerdì fino alle 12.35. Non è in memoria, l’ho dovuto rivedere nelle settimane passate. Poi, noi siamo rimasti con Lo Forte a interrogare nel pomeriggio del venerdì 17 e nella mattinata di sabato 18.  
Mutolo non parlò mai del dottor Contrada, né espressamente né in maniera informale, per quello che riguarda, ripeto, la mia diretta conoscenza. Questo è stato oggetto di varie domande nei dibattimenti ai quali sono stato citato come teste.  
Avrete saputo tutti e conoscerete tutti meglio di me che, invece, da altre fonti, intendo altri colleghi, abbiamo appreso, io per primo, che Paolo Borsellino il sabato o il venerdì 17… Ecco, dalla lettura delle audizioni, dalla mia audizione del 30 luglio 1992, avevo dimenticato e con sorpresa l’ho letta e la sto riferendo, emerge che Paolo Borsellino il venerdì 17, al mattino, dice a me e a Guido Lo Forte: «Sbrighiamoci perché io oggi, alle 14.30, devo prendere un aereo perché devo rientrare a Palermo». Leggo dall’audizione, ripeto, al CSM di dieci giorni dopo via D’Amelio, che mi disse: «Perché nel pomeriggio ho una riunione di coordinamento con il procuratore Tinebra, che si è insediato mercoledì».
  Tinebra si era insediato mercoledì 15 luglio e Paolo venerdì mattina, il 17, ci dice: «Ho questa riunione di coordinamento». Era una cosa che avevo completamente dimenticato e che chissà perché era diventata nel mio ricordo «perché ho un impegno familiare nel pomeriggio».
  Poi, invece, dalle audizioni di altri colleghi apprendo che, non so se il venerdì pomeriggio, certamente il sabato mattina, Paolo ha detto ad alcuni colleghi, tra cui anche al senatore Scarpinato, se non ricordo male, che Mutolo aveva fatto riferimento al dottore Contrada e al PM Mimmo Signorino. Cosa, ripeto, che in presenza mia e certamente di Guido Lo Forte, non è mai accaduta.
  Quando riusciamo a mettere a verbale, con Gaspare Mutolo, questi due nomi? Ricorderete, forse, che la scorsa settimana ho fatto riferimento, per storicizzare il periodo del quale ci stavamo occupando, al fatto che, dopo via d’Amelio, l’attività della procura continuò abbastanza intensa ed efficace, devo dire. Gaspare Mutolo, per fortuna, mantenne ferma la sua decisione di collaborare con la giustizia. Il 1° settembre sopravvenne l’altra importantissima collaborazione di Pino Marchese. Sulla base già delle dichiarazioni di Gaspare Mutolo e di Pino Marchese, la procura, in particolare l’allora PM Scarpinato, io,  Guido Lo Forte e forse nessun altro o forse un altro collega, non lo ricordo in questo momento, avanziamo, il 10 ottobre 1992, al GIP la richiesta di custodia cautelare nei confronti di tutti i componenti della commissione provinciale di Palermo di cosa nostra, quali mandanti dell’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo precedente.  
Perché è importante questo discorso? Perché, ottenuta la misura, la settimana successiva, credo il 23 ottobre 1992, con Lo Forte andiamo a interrogare nuovamente Gaspare Mutolo, il quale, nei mesi precedenti, in quei tre mesi in cui aveva mantenuto ferma la sua volontà di andare avanti, ci diceva: «Io voglio parlare intanto dell’organizzazione cosa nostra, di cosa nostra militare, delle decine se non centinaia di omicidi che abbiamo fatto sul versante, appunto, militare, e non voglio parlare di rapporti che riguardano la politica, di rapporti che riguardano esponenti o comunque appartenenti alle istituzioni deviate». Noi approfittiamo della importanza, soprattutto dell’impatto mediatico che questo provvedimento fatto nei confronti della commissione per l’omicidio Lima ha sulla stampa, per ritornare da Mutolo e dirgli: «Mutolo, lei si sta rendendo conto che lo Stato, attraverso questa azione, sta dimostrando di avere una seria volontà di andare avanti, di non guardare in faccia nessuno, perché finalmente si vuole fare chiarezza su tutto ciò che riguarda le azioni a 360 gradi poste in essere da cosa nostra? Quindi, ha per caso conoscenza di rapporti tra cosa nostra e pezzi deviati dello Stato?». A questo punto Mutolo finalmente comincia a parlare dei rapporti con il dottore Contrada e con l’allora sostituto della procura di Palermo Mimmo Signorino, che era stato uno dei due rappresentanti in dibattimento davanti alla corte d’assise di Palermo, nel primo storico processo contro cosa nostra. Quindi, verbalizziamo queste prime dichiarazioni il 23 ottobre 1992 e chiaramente

– l’avevo accennato l’altra volta – una misura cautelare nei confronti del dottore Contrada la otteniamo nel mese di dicembre, non ricordo, forse il 22 dicembre 1992. 

  Resta l’assemblea del 14 luglio 1992. Ho partecipato a quella assemblea, era una assemblea abbastanza partecipata – una trentina di colleghi – che era stata preannunciata con una convocazione scritta che diceva: «Riuniamoci perché intanto cogliamo l’occasione per fare quest’ultima assemblea prima delle ferie estive.» – siamo al 14 luglio – «Nel corso di questa assemblea saranno trattati i seguenti punti» che a memoria credo di ricordare fossero: mafia e appalti, ricerca latitanti, cosiddetto «libro mastro dei Madonia o di via D’Amelio».
  Questo discorso perché nelle settimane precedenti, nei giorni precedenti, non saprei quantificare esattamente il numero dei giorni, sulla stampa era ritornata – il motivo per cui era ritornato questo problema non lo ricordo, ma certamente il problema era ritornato sulla stampa – una polemica su quello che riguardava il dossier mafia e appalti, sempre sull’onda del «avremmo potuto fare delle cose, si sarebbero potute fare delle cose straordinarie, ma siccome la procura è fatta da gente inaffidabile, evidentemente queste cose non vengono fuori».
  Poi, ricerca latitanti, perché? Perché c’era stata una notizia di stampa secondo la quale Totò Riina avrebbe potuto essere catturato e non era stato catturato.
  Libro mastro, perché? Il 29 agosto 1991, quindi circa un anno prima, lo ricorderete, era stato ucciso a Palermo l’imprenditore Libero Grassi. Sulla stampa era venuta fuori, era montata una polemica secondo la quale la procura di Palermo, sempre questa procura inaffidabile, aveva lasciato liberi o non aveva catturato soggetti che emergevano dal cosiddetto libro mastro. Il libro mastro era stato trovato in un appartamento di via d’Amelio e conteneva una serie di soggetti, una serie numerosa di soggetti che erano stati estorti, ma con indicazioni che erano appena accennate. Ne dico una. Vi ripeto, l’ho letta, ma rileggetele pure voi queste cose. C’era Ciccio Taglia. Chiaramente, per noi Ciccio Taglia era Ciccio Tagliavia, uomo d’onore dalla parte di Brancaccio. Era stata fatta una misura. La Cassazione aveva ritenuto che Ciccio Taglia non potesse identificarsi in Ciccio Tagliavia. Questo per dire – mi riporto a un passaggio dell’audizione della volta passata – che tra le idee, i sospetti, le ipotesi di una procura e di un pubblico ministero e il vaglio che un giudice, dal giudice delle indagini preliminari al tribunale del riesame, alla Corte di cassazione, fa, poi, delle evidenze di questi elementi c’è di mezzo il mare. Ciccio Taglia, che per noi, e non solo per noi, era certamente Ciccio Tagliavia, per la Cassazione era un elemento, invece, insufficiente per ottenere un provvedimento di custodia cautelare nei confronti del soggetto.  
Questo elemento, quindi, aveva portato alla polemica sulla stampa, secondo la quale la procura aveva lasciato liberi certi killer a Palermo, i quali avevano ucciso il povero Libero Grassi. Ecco per quale motivo c’è il passaggio assicurato. Per quanto riguardò «Mafia e appalti», uno dei relatori certamente fu Guido Lo Forte. L’altro avrebbe dovuto essere il senatore Scarpinato, se fosse stato presente, ma aveva, purtroppo, gravi problemi di famiglia e non partecipò a quella riunione. Fece la relazione ampia Guido Lo Forte, il quale, ad esempio, fece presente che c’era a monte del dossier mafia e appalti un problema giuridico di non poco momento, soprattutto per dei sostituti procuratori e per una procura che, costituzionalmente orientata, ragiona, come ho detto pure nell’audizione passata, o avrebbe dovuto ragionare con la mentalità del giudice, quindi non andando avanti a testa bassa in una ipotesi accusatoria, ma ponendosi nell’ottica «e poi, quando andiamo avanti, come si può motivare questa decisione?». Quindi, Guido Lo Forte spiegò che il dossier mafia e appalti metteva insieme una serie di intercettazioni che avevano delle fonti di tipo diverso, alcune intercettazioni fatte un po’ come quelle di Massa-Carrara, alle quali pure ho fatto riferimento, richieste dall’Alto Commissario, buone per andare avanti nelle indagini, ma inutilizzabili a livello giudiziario a qualsiasi livello. 

  Ottenute dal giudice istruttore, sotto l’impero del codice del 1930, intercettazioni che dal giudice istruttore erano passate alla procura della Repubblica con il codice nuovo del 1989, perché l’istruzione non era stata conclusa entro il 31 dicembre 1990. Quindi, erano utilizzabili, non erano utilizzabili, soprattutto su un punto: l’utilizzabilità, la transitabilità delle intercettazioni quando riguardavano il 416-bis semplice, cioè per la semplice partecipazione, per il primo comma e non già per il secondo comma, cioè per i capi, gli organizzatori e coloro che avevano costituito l’associazione.
  Questo era un problema di grandissima importanza, soprattutto perché siamo in una fase iniziale delle interpretazioni delle norme del nuovo codice, sulle quali non c’era una giurisprudenza, quindi si poteva sostenere che erano tutte utilizzabili oppure bisognava fare attenzione perché, se si portavano avanti delle ipotesi, poi davanti al giudice sarebbero potute crollare.
  Attenzione, da questo punto di vista, non è solo il giudice dell’indagine preliminare, non è solo il giudice del riesame, ma è il giudice fino alla Cassazione. Laddove certi elementi a carico di un soggetto si fossero basati su intercettazioni illegittime, talché inutilizzabili, evidentemente fino alla Cassazione ci sarebbe stata la possibilità di vedere revocare una eventuale decisione di grado inferiore o precedente di responsabilità.

Questi erano i motivi sui quali si è parlato. Si parlò dell’indagine, della necessità, che era stata assunta, per i motivi ai quali pure facevo riferimento l’altra volta, di chiudere delle posizioni, che erano chiaramente posizioni che in quel momento non presentavano elementi sufficienti per andare avanti. Intanto faccio l’archiviazione. Dopodiché, mi sopravviene un elemento di novità che mi legittima a richiedere al GIP la riapertura delle indagini per il quid novi che è sopravvenuto. Riapriamo e andiamo avanti. Questo è quello che ricordo io. 

  Paolo Borsellino, io ho un’immagine…

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, presidente Natoli, così indico dei tempi e do una specifica, e poi la faccio continuare. Credo che la domanda del senatore Scarpinato fosse specifica: si è parlato o no dell’archiviazione? Patronaggio ci ha detto di sì.

  GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Sì.

  PRESIDENTE. Quindi, Borsellino era a conoscenza dell’archiviazione?

 GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Certo. Per quello che ricordo io…

  PRESIDENTE. Che non risulta nel verbale di Patronaggio al CSM.

  GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Perdonatemi. Non risulta dal verbale di Patronaggio, però non vi sarà sfuggito da quel verbale che l’ottimo oggi procuratore generale di Cagliari dice, in quel verbale, che era la prima riunione alla quale lui partecipava, che era arrivato da due-tre mesi in procura, che addirittura quello è il primo giorno nel quale – se ricordo bene le sue parole – lui ha preso coscienza delle divaricazioni esistenti all’interno della procura di Palermo. 

  Ecco, io ho detto che ho partecipato…

  PRESIDENTE. Come se avesse preso coraggio.

  GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Non come se avesse preso coraggio, attenzione. È quello che io ho detto con riferimento alla mia prima riunione del 9 giugno 1991. Io non avevo letto nulla. Ho partecipato a una riunione nella quale i colleghi hanno rappresentato quello che avevano letto e studiato del dossier mafia e appalti. Il mio apprezzamento delle loro rappresentazioni dei fatti è l’apprezzamento di un soggetto che non ha la stessa conoscenza delle cose.
  Quindi, tornando a Patronaggio, inquadriamolo in questo riferimento. A che cosa intendo fare riferimento, per quello che, invece, è stato il mio ricordo? Patronaggio dice che Paolo Borsellino chiese spiegazioni delle carte: «Che fine hanno fatto le carte di Marsala?». Le carte di Marsala erano quelle che riguardavano l’appalto di Pantelleria, della litoranea di Pantelleria, che egli aveva trattato, lui e Antonio Ingroia avevano trattato alla procura di Marsala, in quanto competenti territorialmente – ripeto, ne ho una conoscenza de relato e come tale ve la porgo – che aveva mandato, se non sbaglio, a Palermo, perché c’era stata una segretaria che aveva fatto delle dichiarazioni a carico di qualche soggetto che risultava nel rapporto. Quindi, chiede: «Quelle carte che abbiamo mandato» – e tenete presente che Antonio Ingroia era in procura da noi già, quindi era transitato qua con il bagaglio delle sue conoscenze – «che fine hanno fatto?».
  Questo è il mio ricordo di quella richiesta di chiarimenti di Paolo Borsellino.

Stavo dicendo che, sempre come immagine visiva, io ho un’immagine di Paolo Borsellino che stava a ridosso di una porta aperta, che era la porta d’accesso alla sala nella quale noi eravamo riuniti, appoggiato ad uno stipite. Perché? Perché Paolo fumava, fumava in continuazione. Giammanco, se c’era una cosa, tra le tante, che odiava era il fumo, quindi Paolo stava appoggiato allo stipite. Ho un vago ricordo che c’era un altro che fumava insieme a lui, che potrebbe essere stato Antonio Ingroia. Ogni tanto entrava all’interno della stanza – era come se fosse stato lì e noi fossimo seduti qua –, faceva una domanda o seguiva, comunque, quello che si stava dicendo e ritornava fuori. Quindi, non ho un ricordo – per essere preciso sul punto – di critiche che Paolo Borsellino muove relativamente all’illustrazione di questo rapporto mafia e appalti. Poi, c’è il dottor Pignatone che parla della cosiddetta «mancata cattura» di Riina e sul libro mastro di via d’Amelio, Vittorio Teresi e Ignazio De Francisci. Il terzo avrebbe dovuto essere Alfredo Morvillo, che però, anche lui, per motivi familiari, quel pomeriggio non è presente. 

  Questo ricordo, ripeto, dopo trentadue anni, o qualcosa di più, di quel 14 luglio 1992. Mi pare di aver risposto alle sue domande.

  PRESIDENTE. Prego, senatore, soltanto una cosa.

  ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Le chiedo se Borsellino le parlò di un’arrabbiatura che aveva avuto che riguardava Contrada, in un incontro con Contrada.

  GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Questa è famosissima.

  PRESIDENTE. Mi scusi, prima che risponda, per gestire al meglio i lavori, vorrei far presente che ci sono ancora sei iscritti a parlare e, volendo stare nei tempi, dovremmo chiudere per le 16.30, massimo 17, per cui le chiedo una sintesi, diversamente non si riesce a consentire ai commissari di intervenire e non mi sembra corretto.

 GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Certamente. Si riferisce l’arrabbiatura – ne ho già parlato in altre sedi e quindi mi rifaccio a questo ricordo – all’incontro del 1° luglio 1992, quindi è il giorno nel quale Paolo Borsellino e Vittorio Aliquò vanno a Roma, dopo che c’è stato tutto il problema dell’assegnazione controversa «chi deve interrogare Mutolo»; su Leonardo Messina non ci furono questioni.
  Per il primo interrogatorio di Leonardo Messina e di Gaspare Mutolo vengono designati i due procuratori aggiunti Vittorio Aliquò e Paolo Borsellino. Paolo Borsellino sta interrogando, insieme a Vittorio Aliquò, Gaspare Mutolo e ricevono, non so attraverso quale passaggio, una telefonata dal Viminale, secondo la quale il Ministro Mancino che si sarebbe insediato quel giorno desiderava incontrarli. Vanno al Viminale e questo Paolo me lo racconta, se ricordo bene, il giorno successivo, quando rientra a Palermo. Vanno al Viminale dove, invece di andare direttamente nella sala nella quale il Ministro si sarebbe dovuto insediare, non so bene che tipo di manifestazione o che tipo di evento fosse, vengono portati in un salottino dove restano per un quarto d’ora, venti minuti. Paolo, tanto per cambiare, come dicevo prima, fuma nervosamente. Dice che a un certo punto vede aprire una porta dalla quale appare la figura dell’allora capo della Polizia Parisi, che lo saluta, chiaramente, e dietro Parisi c’è il dottor Bruno Contrada, che probabilmente era l’ultima persona che Paolo Borsellino immaginava di incontrare quel giorno, perché non aveva motivo di incontrarlo. Il dottor Contrada, nello scambio di saluti e di cose che il capo della Polizia dice, aggiunge: «So che state sentendo Gaspare Mutolo. Lei se lo ricorda che io, negli anni Settanta, ho fatto indagini su Gaspare Mutolo? Se per caso dovesse avere bisogno di qualcosa, tenga presente di queste mie pregresse conoscenze».  
Chiaramente Paolo Borsellino – ecco il perché dell’arrabbiatura, per non usare altra espressione più greve – ritorna il giorno dopo dicendomi: «Guarda che cosa è accaduto». Della esistenza della collaborazione di Gaspare Mutolo noi pensavamo di essere i pochissimi destinatari. La notizia dalla procura di Firenze, a memoria mia, arrivò intorno al 24 giugno, quindi era una cosa recentissima. Era il primo giorno che loro stavano incontrando Gaspare Mutolo. Ritenevano e ritenevamo che la cosa fosse avvolta dalla riservatezza, non voglio dire dal segreto, ma dalla riservatezza più assoluta. Il fatto che spunti un soggetto, intendo il dottor Bruno Contrada, che non aveva alcun motivo di conoscere queste cose, che dice: «So che state sentendo Gaspare Mutolo», evidentemente, fa saltare in aria il dottor Paolo Borsellino. Addirittura, in un interrogatorio successivo, Gaspare Mutolo ci dirà che quel giorno, quando ritornò da quest’incontro al Viminale, Paolo Borsellino era talmente esagitato che aveva una sigaretta in bocca e contemporaneamente tentò di accenderne una seconda, al punto che Gaspare Mutolo dice: «Procuratore, ma già sta fumando». Questo per dire come era fuori dai gangheri. Questo è il ricordo che ho di quella vicenda.

 

Audizione GIOACCHINO NATOLI Commissione Parlamentare Antimfia

 

Commissione Antimafia 🔴🔴🔴 SCARPINATO, NATOLI e l’accordo per …