Il 18 gennaio 2024 NATOLI chiede a SCARPINATO di passare a PROVENZANO (PD) delle domande da rivolgere a lui in Commissione Antimafia ma SCARPINATO rifiuta perché con PROVENZANO non ha rapporti.
Quella che segue è la verbalizzazione della seduta del 1º febbraio 2024 della Commissione Antimafia nella parte relativa all’intervento di Provenzano.
Presidente CHIARA COLOSIMO Do la parola all’onorevole Provenzano.
GIUSEPPE PROVENZANO. Grazie. Vorrei ringraziare il presidente Natoli per la chiarezza con cui ha esposto il suo punto di vista, ma anche per la ricostruzione della sequenza cronologica degli eventi, dei fatti, degli atti di cui stiamo discutendo in queste audizioni e da ultimo anche per aver aggiunto numerosissimi dettagli, presidente, alla mole di lavoro già molto significativa che questa Commissione dovrà affrontare nella ricostruzione storico-politica di eventi che riguardano trenta anni fa.
Io mi chiedo, e lo dico alla presidente, quando avremo il tempo per essere richiamati all’urgenza che a me deriva forte e che voglio restituire a tutti gli altri membri di questa Commissione, per esempio, immagino, cosa che avete fatto anche voi, dall’aver assistito da ultimo all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso le corti d’appello, io ero a Palermo.
L’urgenza sulla pregnanza dei fenomeni mafiosi attuali credo che meriterebbe, da parte di questa Commissione, in linea con le sue finalità, un altrettanto lavoro importante, come questo.
Io non metto in contrapposizione, presidente, il presente con il passato. Mi dico che dobbiamo organizzare i nostri lavori, credo, per rispondere il più possibile al mandato che dovrebbe avere questa Commissione, perché adesso, lo dico a chi si sta facendo delle domande in questo momento, il nostro lavoro è molto assorbito da questo tentativo di ricostruzione dei fatti che riguardano più di trenta anni fa.
Comunque, nella sequenza cronologica di questi oltre trenta anni, presidente, il dossier mafia e appalti è ciclicamente tornato con un’importanza, una forza, al centro anche di polemiche.
Non voglio chiederle le ragioni per cui, a suo avviso, che pure lo ritiene tra le possibili concause degli omicidi e delle stragi del 1992, ma, come ha detto in audizione, non la determinante, non l’unica, e questa interpretazione potrebbe essere fuorviante, non le chiedo le ragioni per cui oggi viene così, ma le chiedo una cosa puntuale: che cosa avviene tra l’archiviazione del 1992 e le dichiarazioni di Siino del 1996-1997 su questo dossier che è stato controverso fin dall’inizio? Coloro che ritenevano, a cominciare dal ROS, dai Carabinieri, che fosse così cruciale questo dossier nella lettura e nella spiegazione, anche, di quelle stragi, che hanno fatto in quegli anni, tra il 1992 e il 1996? Sulla base della sua conoscenza, della sua esperienza diretta. Questa domanda, poi, si riallaccia a un’altra questione che vorrei porle. Per la sua conoscenza diretta o indiretta, dal momento in cui lei arriva e parla con i suoi colleghi, qual è il clima che trova tra la procura e il ROS, per esempio? Proprio intorno a questo dossier c’erano state molte controversie, già a partire dal 1991. Articoli di giornale che ricostruivano polemiche tra la procura e i Carabinieri. Se queste considerazioni lei è in grado di poterle fare, cioè sul clima, su come, per esempio, Giovanni Falcone visse, seppure da Roma, quelle controversie, quelle polemiche. Quale era il clima dei rapporti non solo con il ROS, ma in generale con l’Arma dei carabinieri. In particolare, secondo la sua non solo conoscenza, ma anche esperienza, maturazione di opinioni che si è fatto dopo, i rapporti tra Borsellino e l’Arma, segnatamente il generale Subranni, che nel corso delle audizioni che abbiamo fatto in questa Commissione sono stati oggetto di interpretazioni del tutto diverse.
GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. La ringrazio, intanto, per la domanda, rispetto alla quale, però, desidererei precisare che una espressione di valutazioni, a parte l’aspetto riguardante il clima che io trovo in procura a giugno del 1991, nei rapporti tra la procura e il ROS, tutto il resto, compreso anche ciò che accade tra il 1992 e il 1997, cioè le dichiarazioni confessorie di Siino dopo la sua decisione di collaborare, non le conosco dall’interno. Come ho cercato di spiegare, io non sono tra gli assegnatari del fascicolo mafia e appalti. Questo non lo dico io, ma, sempre avendo avuto la necessità di dover leggere tutto quello che riguardava questa vicenda in queste ultime settimane, lo dice l’allora procuratore di Palermo Giammanco, nell’audizione al CSM del 28 luglio 1992. Dice che, alla fine, per tutta una serie di motivi che lui dettaglia, degli originari assegnatari del processo mafia e appalti erano rimasti disponibili, per potersi occupare di questo dossier, il procuratore aggiunto Guido Lo Forte che peraltro, a quel tempo, non era nemmeno procuratore aggiunto, se ben ricordo, e il dottor Scarpinato. Sono gli unici due che, alla fine, vengono onerati, sia pure con la condivisione da parte degli altri, di scrivere i provvedimenti che riguardano la richiesta di archiviazione, della quale pure si era parlato insieme agli altri.
Rispetto a questa progressione di conoscenze, potrei esprimere una mia valutazione, ma una mia valutazione da lettore delle carte, lettura che è avvenuta in questi ultimi mesi. Confesso che in precedenza non avevo avuto motivo di occuparmene.
Partiamo, invece, da ciò rispetto a cui sono stato testimone, cioè il clima dei rapporti che io trovo nel giugno del 1991. Trovo un clima di rapporti che è improntato ad estrema incredulità.
Rispetto a ciò, che già sui giornali cominciava ad apparire come valutazione negativa rispetto a ciò che la procura si accingeva a fare, quindi siamo a metà giugno del 1991, sul rapporto mafia e appalti, cioè avrebbe detto qualcuno «tanto rumore per nulla».
Nelle audizioni, sempre Giammanco, il 28 luglio 1992, ricorda testualmente, quindi riporto le parole di un altro, quello che in quella riunione, che può essere stata quella del 9 giugno alla quale facevo riferimento io o qualcuna successiva, comunque sempre della metà di giugno 1991, avevano riportato Alfredo Morvillo «non c’è assolutamente nulla», Ignazio De Francisci «il rapporto è, con espressione siciliana, vacante, cioè vuoto» e altri ancora.
Soprattutto rilevo la incredulità rispetto al fatto che gli articoli di stampa, sulla cui ispirazione non voglio dire nulla, perché basta leggere quello che hanno scritto coloro che si sono occupati giudiziariamente di questa vicenda, secondo cui nel rapporto ci sarebbero stati dei politici che, viceversa, dalla lettura del rapporto consegnato a Palermo, non c’erano.
Tra i nomi dei politici che venivano evocati in quel rapporto, perlomeno fino a giugno del 1991, c’era un onorevole Nino
Cicero che non so neppure chi sia. Era un deputato regionale di neppure so quale partito che si era occupato di questa cosa.
Poi c’era probabilmente Ciaravino. Non voglio fare nomi, ripeto, a casaccio, perché vado a memoria e non ho mai letto quel rapporto, perché non mi è mai stato consegnato e quindi non l’ho mai studiato.
Certe intercettazioni importanti, e segnatamente una intercettazione, che peraltro era del 1990, tra l’onorevole Salvo Lima e Cataldo Farinella, che era, non so se sia vivo ancora, un imputato notoriamente condannato poi per appartenenza a cosa nostra, viene rappresentata alla procura di Palermo in un secondo momento, cioè nel cosiddetto «rapporto Sirap», che viene presentato il 5 settembre 1992. Tenete presente che di questi contatti non si era fatto cenno neppure nell’immediatezza dell’assassinio dell’onorevole Salvo Lima, cioè a marzo 1992.
Viene fuori quasi casualmente nel rapporto Sirap, che era quel rapporto per il quale lo stralcio e le consequenziali indagini di approfondimento erano state chieste al ROS dei Carabinieri, se non ricordo male, a fine luglio 1991.
Il rapporto viene presentato quattordici mesi dopo, quando c’è stato già l’omicidio dell’onorevole Lima. Questo è di una particolare pregnanza.
Ricordo ancora, ma, ripeto, sto riferendo fatti che ho letto, non fatti che ho vissuto, che c’erano delle intercettazioni che riguardavano l’allora onorevole De Michelis con altri personaggi o altre personalità delle quali non faccio i nomi – lo ripeto – perché non vorrei citare impropriamente alcuno, che viene mandato per competenza territoriale a Roma. Eppure, si parlava già in articoli di stampa del coinvolgimento di personalità politiche con incarichi ministeriali e l’unico con incarichi ministeriali, mi pare di ricordare, in quel turno di tempo, potesse essere l’allora onorevole De Michelis, che era forse Ministro degli esteri o era stato Ministro degli esteri. Quindi, c’è questa divaricazione tra le carte consegnate a Palermo e, ad esempio, le carte mandate a partire da maggio 1992 – sto sempre riferendo fatti che ho letto, quindi attenzione a questa precisazione, alla quale tengo e che voglio sottolineare – a Catania al pubblico ministero Felice Lima. Ad esempio, anche lì, abbiamo – l’avevo accennato l’altra volta – un procedimento disciplinare, perché sente come persona informata sui fatti il geometra Li Pera, che si trovava in stato di custodia cautelare e gli era stato portato in vinculis per essere sentito. Era in custodia cautelare per i fatti dell’ordinanza di custodia cautelare richiesti e ottenuti dalla procura di Palermo a fine giugno 1991. A maggio o giugno 1992 Li Pera viene sentito come persona informata sui fatti. Alla presenza di chi? Lasciamo stare l’allora PM Felice Lima, alla presenza del capitano, allora forse ancora tenente, Giuseppe De Donno, il quale ben conosceva qual era lo status, se di uomo libero o di detenuto, sia pure in custodia cautelare, del geometra Li Pera. Per arrivare ad avere Li Pera con un avvocato, quindi ritenuto quantomeno indagato di reato connesso, se non ricordo male, dobbiamo arrivare a ottobre 1992, quando il 19 ottobre 1992 a Palermo sarebbe iniziato, davanti alla Sezione V del tribunale, il processo a carico di Siino, di Li Pera, di Cataldo Farinella e degli altri. Quindi, lo stesso dottor Lima – credo di ricordare – ha modo di notare che le carte sulle quali lui sta facendo le sue valutazioni sono diverse e maggiori rispetto a quelle che erano state presentate a Palermo fino a giugno 1991.
Quindi, per ritornare al focus della sua domanda, cioè qual è il clima che io trovo nella procura di Palermo quando arrivo, il 9 giugno 1991, il clima è questo: i colleghi tutti coralmente, colleghi della cui autorevolezza credo non si possa discutere, a cominciare, se vogliamo fare un ordine di grandezza, da Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, fratello di Francesca Morvillo, il quale dice «non c’è nulla». Perdonatemi, ma questa può essere forse l’occasione, c’è una relazione di 108 pagine. No, non ve la leggo, anche perché la trovate agli atti della Commissione antimafia presieduta dall’onorevole Ottaviano Del Turco, consegnata dall’allora procuratore Caselli il 4 febbraio 1999. Quindi, la trovate negli archivi della vostra Commissione.
Ebbene, Caselli chiede a tutti coloro che si sono occupati nel decennio precedente circa della vicenda mafia e appalti di riferire quello che hanno trovato e di fornire la documentazione. Qua ci sono fior fiori di magistrati, che per fortuna sono ancora vivi, vegeti e disponibili, per quello che io so, ad essere sentiti, invece di ascoltare le mie valutazioni poiché, come ho detto, sono casualmente tra i pochi che non si è occupato di mafia e appalti. Mi sono occupato di tantissime cose alla procura di Palermo, ma di mafia e appalti non mi sono occupato.
Qui ci sono magistrati, avete l’attuale procuratore di Palermo, che peraltro è stato il pubblico ministero che più e meglio degli altri si è occupato in dibattimento di questa vicenda. È colui, onorevole De Corato, che ritiene di non poter utilizzare la frase «la Calcestruzzi è nelle mani di Riina» perché – per carità, vera, verissima – purtroppo non riscontrata, perlomeno secondo la valutazione, dicevo, di una persona della cui bravura credo che tutti siamo assolutamente consapevoli. Sono qua Luigi Croce, che ho incontrato sabato scorso all’inaugurazione dell’anno giudiziario, che era il procuratore della Repubblica aggiunto anziano; Guido Lo Forte; lasciamo stare Roberto Scarpinato, perché potrebbe essere interessato; Biagio Insacco, Antonio Ingroia, Maurizio De Lucia, Gaspare Sturzo, che attualmente credo lavori ancora al tribunale di Roma, quindi potrebbe venire. Loro hanno sottoscritto queste 108 pagine; chiedete loro che cosa c’era nel rapporto e forse si potrebbe trovare una risposta alla sua domanda, ma una risposta da parte di chi è a conoscenza di queste cose, cioè cosa è intervenuto tra il 1992 e il 1997, qual è stato l’apporto di Siino e di coloro che sono venuti dopo Siino. Questa era stata presentata il 7 dicembre 1992 al CSM. No, era stata presentata al CSM non nel 1992, ma successivamente, nel 1998. Ecco, infatti, il 5 giugno 1998 è stata preparata per il CSM e poi successivamente il procuratore Caselli, nel corso di un’audizione che la Commissione antimafia del tempo fa a Palermo, la consegna il 3 febbraio 1999.
GIUSEPPE PROVENZANO. Scusi, e Falcone, malgrado poi a distanza, come viveva quel clima, come ha vissuto quel clima? E Borsellino aveva una posizione peculiare rispetto al clima che lei ha trovato? In particolare, poi, quali erano i suoi rapporti con l’Arma, con il generale Subranni?
Sono cose che sono state oggetto, in questa audizione, di interpretazioni del tutto opposte.
GIOACCHINO NATOLI, già presidente della corte di appello di Palermo. Ha perfettamente ragione.
Di Falcone non le so dire nulla, perché in quel lasso di tempo in cui Falcone se ne va da Palermo e viene a lavorare qui a Roma non ho modo, pur avendolo incontrato tante volte, di parlare di mafia e appalti. Quindi, di Falcone non so dirle nulla.
Vengo a Paolo Borsellino. Paolo Borsellino mi chiede – questo l’ho pure detto in testimonianze dibattimentali – ad un certo punto, probabilmente siamo a metà di giugno, ma comunque non voglio azzardare date, sicuramente dopo la strage di Capaci, quindi dopo il 23 maggio, se io avessi una copia del rapporto mafia e appalti, perché, anche se abbiamo visto, ho visto io che Paolo l’aveva avuto a Marsala, ne aveva avuto un’altra copia che gli porta De Donno, però non so per quale motivo me la chiede.
Credo di ricordare che quando me la chiede non sono solo, ma c’è insieme a me Franco Lo Voi, attuale procuratore di Roma. Mi dice: «Hai una copia del rapporto mafia e appalti? Perché lo voglio leggere». Io gli dico: «Paolo, non ce l’ho, perché non l’ho mai avuto». Banalmente gli dico: «Scusami, ma è qua in ufficio, quindi prendilo». Lui mi dice: «No, perché non voglio dare l’impressione che mi sto occupando di questa cosa».
Questo è stato il dialogo testuale. Questo potrebbe derivare anche dal fatto che Paolo Borsellino faceva indagini sulle possibili causali di Capaci senza averne la competenza, perché sappiamo tutti che la competenza era di Caltanissetta. Comunque, si dava da fare per cercare di capire e poi, come avrebbe detto nel famoso incontro del 25 giugno, quello di Casa Professa, perché voleva testimoniare all’autorità giudiziaria di Caltanissetta quello che lui sapeva sulle cause dell’uccisione, della strage di Capaci, da testimone e, comunque, per dare tutto l’aiuto possibile.
A proposito del 25 giugno, ho letto che, ad esempio, si è scoperto soltanto negli ultimi anni – non saprei dire quando, ma certamente pochi – che Paolo Borsellino aveva avuto quel famoso incontro alla caserma Carini con il generale Mori, forse allora colonnello, e il capitano De Donno. Non me l’ha chiesto mai nessuno, ma – lo ripeto anche qua – certamente o quasi sicuramente era presente pure Franco Lo Voi. E c’era pure il maresciallo Canale. Sono nella stanza di Borsellino. Siamo, evidentemente, al 25. Questo, poi, lo ricavo da cose che apprenderò successivamente. Stiamo parlando – come dicevo l’altra volta – dei riesami che si stavano facendo al tribunale della libertà per gli indagati del mandato di cattura Vaccarino e altri. A un certo punto, il maresciallo Canale dice al procuratore Borsellino: «Procuratore, si ricordi che ha quell’impegno alla caserma Carini». Borsellino dice: «Scusatemi. In effetti, devo andare alla caserma Carini per incontrare il generale Mori e il capitano De Donno». Io so di questo incontro. Poi non so se l’incontro effettivamente ci fu. Avrei, poi, letto che effettivamente c’è stato. Comunque, so di questo incontro quella stessa mattina. Pare che questa cosa sia emersa dalle indagini soltanto negli ultimi anni. Ma siamo sempre lì: se non siamo stati interrogati… Credo di non aver avuto un esame da parte di alcuno. L’unico che ho ricordato è quello del novembre 1992 che mi fece Fausto Cardella, però parliamo veramente di epoche risalenti.
Poi ho cominciato a rendere dichiarazioni, ora ho appreso forse nel 2012 o nel 2014, al dibattimento. In indagini preliminari, io, Franco Lo Voi, ma anche altri colleghi, Vittorio Teresi, Teresa Principato, ciascuno per le indagini che stavamo conducendo in quelle settimane tra Capaci e via D’Amelio, con Paolo Borsellino, eravamo tra i colleghi che maggiormente avevano avuto occasione di incontro con Paolo Borsellino.
Io posso parlare per la mia esperienza. Sono stato sentito soltanto a distanza di mesi, forse il 21 novembre 1992, l’ho letto da qualche parte, da Fausto Cardella, che viene a Palermo e mi chiede di parlare. Infatti, in quella dichiarazione, io che ho i verbali di Mutolo, sono in condizione di dire il giorno, l’orario in cui erano accadute certe cose perché ho dei punti di riferimento.
Dopodiché, non vengo più sentito se non al dibattimento e, peraltro, se non ricordo male, citato la prima volta dalla difesa del generale Mori. Se non ricordo male.
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