La Socialmania

 

 

La “socialmania”, il bisogno irrefrenabile di seguire i social media, leggere i post degli utenti, pubblicare contenuti, mettere like e commentare incessantemente, può essere compresa attraverso la lente dell’isteria collettiva o isteria di massa, analogamente ad altri fenomeni storici.
Una manifestazione moderna profondamente legata alle attuali condizioni di grande stress sociale, economico e climatico che caratterizzano la nostra epoca, aggravando un disagio personale il più delle volte latente.
La socialmania si colloca tra due epoche, quella del mondo analogico con le sue tradizionali forme di socializzazione e quella iper-digitale basata su algoritmi e gratificazioni immediate. È più rilevante interrogarsi su cosa significhi questo fenomeno per gli abitanti dell’epoca piuttosto che fissarsi unicamente sulle sue cause biologiche o psicologiche individuali.
Il mondo di oggi è segnato da profonde tensioni, l’instabilità economica, la crisi climatica con i suoi eventi estremi, la polarizzazione politica e la solitudine diffusa nonostante la connettività perenne. A questi fattori si aggiunge la pressione costante di una società della performance che ci vuole sempre felici, produttivi e connessi.
A differenza della storica “Piaga del Ballo” del 1518 (un esempio classico di isteria di massa, dove le persone erano spinte a ballare incontrollabilmente per giorni, probabilmente a causa dello stress sociale e della fame), nella socialmania il sintomo non è fisico, ma digitale e comportamentale.
Il postare e il ricevere like diventano un rituale digitale compulsivo, un’azione collettiva, seppur apparentemente individuale, attraverso cui il corpo collettivo della società riflette le tensioni sociali e i traumi.
La compulsione a postare, a ricevere ‘like’ e a commentare, è alla base dettata da una ricerca disperata di validazione. Un’espressione di dolore, disordine e bisogno di riconoscimento, che si materializza nella rete.
L’ambiente dei social media, sapientemente progettato per stimolare un sistema di ricompensa simile a quello delle slot machine, basata su algoritmi e gratificazioni immediate. Ogni notifica, ogni like e ogni nuovo contenuto sul feed fornisce una rapida, seppur effimera, iniezione di dopamina.
La vita reale, con i suoi rapporti affettivi e familiari, caratterizzata da ritmi lenti che richiedono pazienza, investimento di tempo ed energia emotiva, non offre una ricompensa immediata e quantificabile, e di fronte a questa disparità, il cervello, abituato ai picchi di dopamina del digitale, trova difficile vivere i ritmi della vita vera, instaurando un conflitto in cui le priorità (familiari, amici, studio, hobby) vengono messe da parte in favore del tempo trascorso sui social media.
Si sviluppa così una sorta di intolleranza per la complessità e la lentezza delle relazioni umane reali, dove le conferme non arrivano tramite un’icona a forma di cuore, ma attraverso un dialogo complesso e l’impegno reciproco.
Alla base della ricerca di validazione, la solitudine. Il disagio personale, spesso latente, si manifesta come solitudine diffusa nonostante l’iper-connettività. Chi è solo o ha bassa autostima può cercare di compensare le difficoltà relazionali nel mondo reale con il supporto e l’attenzione della rete, dalla quale l’utente ha la sensazione, errorenea, di aver trovato il riconoscimento cercato.
Paradossalmente, l’eccessivo coinvolgimento nel digitale per ottenere riconoscimento e sfuggire alla solitudine, in realtà, non fa che amplificare l’isolamento sociale e intaccare le relazioni interpersonali nel mondo reale. La connessione online diventa falsa o illusoria, portando a una vita offline sempre più solitaria.
In questo senso, il social media non è solo un canale, ma il palcoscenico dell’isteria, dove la ricerca di attenzione e la paura di non essere visti (il bisogno di riconoscimento) si amplificano reciprocamente tra milioni di utenti. La viralità delle paure, delle credenze e anche dei comportamenti compulsivi (come l’incessante scrolling) è l’equivalente moderno della rapidità con cui si diffondevano le paure (ad esempio, le fake news che innescano psicosi) nelle comunità storiche.
In conclusione, la socialmania usa la gratificazione immediata come esca per colmare il vuoto della solitudine e la mancanza di riconoscimento, ma finisce per svuotare i rapporti reali, creando un circolo vizioso che rende il soggetto dipendente dalla rete per la sua autostima e il suo senso di appartenenza.
Da ciò l’importanza di considerare la socialmania nel suo contesto storico e culturale, evitando una lettura esclusivamente scientifica o diagnostica della dipendenza da smartphone.
Comprendere le percezioni e il contesto sociale del tempo permette di leggere la socialmania non come una semplice cattiva abitudine, ma come un evento umano carico di significato emotivo e simbolico.
Solo tenendo conto di questi aspetti culturali, economici e sociali si può davvero tentare di comprendere un fenomeno così complesso e pervasivo come la socialmania.

Gian J. Morici