- Il magistrato scrive su Il Fatto Quotidiano: “La posta in gioco è l’assetto democratico del nostro Paese”
Da quando è uscito il nuovo libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara. “Lobby & Logge”, edito da Rizzoli, dai soliti giornaloni è ricominciata la campagna di delegittimazione nei confronti di quei magistrati che non hanno mai smesso di cercare la verità su stragi e delitti eccellenti, puntando il dito non solo contro Cosa nostra, ma anche verso i più alti piani del potere.
E il libro di Palamara è solo un pretesto, usato per mescolare il vero con il falso e generare ancora più dubbi tra i cittadini, nel tentativo di minare ulteriormente la fiducia nella magistratura da parte dei cittadini.
Nei giorni scorsi a tornare nel mirino è l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che oggi, in un lungo articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, non solo spiega con dovizia di particolari il perché le accuse a lui rivolte siano prive di fondamento, ma anche evidenzia un metodo che viene adottato in questo preciso momento storico, che mette a rischio persino la tenuta dell’assetto democratico del nostro Paese.
Luca Palamara, ricorda Scarpinato “è stato uno dei principali corresponsabili della degenerazione delle correnti della magistratura in gruppi di potere dediti alla lottizzazione spartitoria degli incarichi dirigenziali. Non pago di avere fatto tanto male alla magistratura quando era ancora in servizio, Palamara, dopo essere stato radiato, ha proseguito la sua attività di sabotaggio delle istituzioni prestandosi a fare da sponda, con i suoi libri-intervista scritti con Alessandro Sallusti, a una operazione politica di ampio respiro, il cui reale obiettivo non è quello di limitarsi a portare alla luce e correggere le degenerazioni interne del sistema correntizio, ma piuttosto di minare la credibilità complessiva dell’intero ordine giudiziario, alienandogli la fiducia popolare e creando così un clima propizio all’emanazione di riforme dirette alla sua normalizzazione”.
E’ un dato di fatto che lo scandalo emerso con la vicenda Palamara sia stato in qualche maniera usato dalla politica per proporre una serie di iniziative legislative e referendarie che proprio in questi giorni saranno discusse tanto in Commissione giustizia, quanto in Parlamento.
E obiettivo di queste iniziative, spiega ancora l’ex Procuratore generale di Palermo è evidente: “Ridimensionare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”.
Il vero mescolato con falsificazioni e insinuazioni E’ così che nei libri scritti da Palamara con Sallusti vengono intrecciate “alcune verità con tante falsificazioni e insinuazioni prive di fondamento” in modo da “portare acqua al mulino di quel vasto schieramento che da anni tenta di accreditare la tesi complottista e mistificante secondo cui i processi celebrati in quest’ultimo trentennio nei confronti di tanti esponenti della nomenclatura del potere, sarebbero stati instaurati non per finalità di giustizia, ma per occulte finalità politiche”.
E la narrazione che viene promossa è quella di una magistratura, definita anche come di sinistra, che entrerebbe con inchieste e processi a gamba tesa sulle questioni politiche.
Ma Scarpinato sottolinea come “la verità storica è di segno diametralmente opposto”. “Potentati politici ed economici hanno cavalcato il sottosistema creato da magistrati come Palamara per neutralizzare e penalizzare magistrati ritenuti pericolosi per la loro assoluta indipendenza, e per agevolare l’ascesa di altri ritenuti invece affidabili – scrive su Il Fatto Quotidiano – Come ha scritto Nino Di Matteo nel libro “I nemici della giustizia”: ‘Palamara è stato una pedina attiva, importante, pienamente funzionale a un ingranaggio più vasto e collaudato’”.
Difesa personale Successivamente Scarpinato mette in evidenza il metodo usato per colpire la sua persona, utilizzando alcuni elementi emersi nel corso dell’inchiesta su Calogero Montante, ex Presidente di Confindustria Sicilia, condannato in primo grado a quattordici anni di carcere per corruzione.
Secondo il magistrato l’obiettivo è colpire, tramite la sua persona “la credibilità di quella componente della magistratura antimafia che non si è limitata a processare gli esponenti della mafia militare, ma anche i suoi complici eccellenti nel mondo politico, istituzionale ed economico”. “Il metodo espositivo – aggiunge – è quello di mescolare falsità e insinuazioni malevole prive di fondamento, in modo da dipingere l’immagine di un magistrato antimafia che chiedeva favori all’imprenditore Antonello Montante, soggetto qualificato come condannato per mafia. Per avere una idea del livello di falsificazione, basti considerare che nel libro viene scritto testualmente che Montante è stato condannato in primo grado a Caltanissetta a 14 anni di reclusione ‘per associazione mafiosa e per aver organizzato un’attività di dossieraggio’. Ebbene Montante non è mai stato condannato né tantomeno rinviato a giudizio per associazione mafiosa o per reati di mafia, ma per altri reati”.
E poi ancora spiega in maniera chiara la natura dei rapporti avuti con Montante, evidenziando proprio le “insinuazioni malevole” pubblicate nel libro: “Palamara e Sallusti sanno bene che sino al maggio del 2014, data della sua prima iscrizione nel registro degli indagati, Montante rivestiva la carica di responsabile nazionale per la legalità di Confindustria e che, proprio per questo motivo, aveva occasione di incontri con i ministri della Giustizia e dell’Interno, con il capo della Polizia, con il Procuratore nazionale antimafia, con prefetti, con don Ciotti e molti altri esponenti del fronte antimafia, nonché con magistrati di tanti uffici giudiziari, tra i quali anche io nella qualità di Procuratore generale di Caltanissetta. In particolare, i miei ultimi incontri con Montante risalgono al marzo del 2013, data in cui mi trasferii a Palermo per assumere l’incarico di Procuratore generale di quella città, cioè più di un anno prima della sua iscrizione nel registro degli indagati a Caltanissetta. Ebbene pur di accreditare l’immagine di paladini dell’antimafia che traccheggiano con un soggetto presentato come un mafioso, o comunque dedito ad attività illegali, Palamara arriva al punto di adombrare che il Procuratore di Caltanissetta, dott. Sergio Lari, colui che condusse l’indagine che portò all’arresto di Montante, avrebbe indebitamente omesso di iscriverlo nel registro degli indagati molto tempo prima del maggio del 2014. Lari valuterà se agire legalmente, certo io prima di quella data non ho avuto da alcuno né in via formale, né in via confidenziale, notizie su indagini nei confronti di Montante o su sue condotte illegali”.
“Il contesto così falsamente ricostruito – prosegue Scarpinato – è chiaramente finalizzato a ingenerare nel lettore l’idea che alcune annotazioni ritrovate tra gli appunti di Montante che mi riguardano, siano indicative di rapporti personali ambigui. Così Palamara fa riferimento a una cartellina verde contenente la planimetria di una casa di Caltanissetta ricevuta in eredità da mio padre, senza nulla aggiungere. È chiara l’insinuazione malevola. Bene, la casa non è stata mai venduta ad alcuno ed è tutt’oggi di mia proprietà. Nel 2012 incaricai una agenzia immobiliare di metterla in vendita. Montante mi chiese una planimetria della casa per conto di un suo conoscente interessato all’acquisto. Non ho mai ricevuto poi alcuna notizia o proposta di acquisto”.
Altro passaggio contenuto nel libro di Palamara è quello in cui si fa riferimento ad “una richiesta di raccomandazione che Scarpinato fa a Montante per pubblicare sul Sole 24 Ore una lettera di solidarietà nei suoi confronti firmata da 320 magistrati e inviata al Csm, dove lui era finito sotto inchiesta disciplinare per aver di fatto insultato i politici presenti alla cerimonia di commemorazione per i vent’anni della morte di Falcone e Borsellino”.
Ebbene, sottolinea Scarpinato, “si fa credere ai lettori che nel corso di una cerimonia istituzionale, io avrei insultato i politici presenti. Tutto falso. Questa annotazione si riferisce a una vicenda verificatasi a seguito di un discorso di commemorazione funebre non istituzionale che in occasione della ricorrenza del ventennale della strage di via D’Amelio avevo pronunciato il 19 luglio 2012 nell’ora e nel luogo della strage di via D’Amelio, su invito personale dei familiari di Paolo Borsellino. Nel contesto di quel discorso al quale non erano presenti autorità, ma solo privati cittadini, avevo accennato al disagio provato in passato nel constatare che in occasione di commemorazioni ufficiali dei magistrati assassinati dalla mafia erano presenti tra le prime file anche personaggi che rivestivano cariche pubbliche, la cui condotta non appariva coerente con i valori di legalità. Il riferimento implicito era a personaggi politici indagati e poi condannati per reati di mafia. Lo stesso disagio era stato espresso in precedenza sugli organi di stampa dai parenti di alcuni magistrati assassinati, tra i quali Alfredo Morvillo e la sorella di Falcone”.
La storia è nota. Vi fu un componente laico del Csm che chiese l’apertura di una pratica per il trasferimento di Scarpinato per incompatibilità ambientale. Ad intervenire vi fu dapprima una raccolta di firme tra magistrati di tutto il paese per la sottoscrizione di un documento nel quale si rivendicava il diritto dei magistrati di manifestare il proprio pensiero. Una sottoscrizione che raggiunse le 500 firme. Ed anche la società civile si mosse a sostegno del magistrato.
Stante la rilevanza di tale iniziativa e del tema trattato, la segnalai a varie associazioni e persone, tra le quali anche Montante nella sua qualità di responsabile nazionale per la legalità di Confindustria, affinché si aprisse un dibattito culturale su un tema così centrale”.
Altro argomento affrontato è un appunto di Montante, datato 3 maggio 2012, con la dicitura: ‘Scarpinato mi consegna composizione del Csm con i suoi iscritti per nuovo incarico, Procura generale Palermo più Dna’. E nel libro si parla anche della stampa del documento con la composizione del Csm con appunti manoscritti, in cui per ciascun componente si indicava la corrente di appartenenza, e per quelli eletti dal Parlamento il partito di appartenenza.
A margine di quel foglio c’è anche un’annotazione con la scritta: ‘Due alternative, o Lari procuratore generale a Caltanissetta e non fa concorrenza’.
“Palamara – spiega Scarpinato – omette di indicare al lettore alcune circostanze che dimostrano in modo documentale che io non ho mai consegnato alcun appunto a Montante. Come ho potuto constatare dopo avere richiesto copia degli atti, il documento sulla composizione del Csm con appunti a cui si fa riferimento, fu tratto dal sito internet del Csm e reca stampigliata nella parte in basso a destra la data e l’orario di stampa: 30 maggio 2012 ore 08:17. Prova lampante che non è possibile che io abbia potuto consegnare l’appunto il 3 maggio 2012, cioè 27 giorni prima che il documento venisse stampato. E che non si tratti di un errore di datazione da parte del Montante è dimostrato dal fatto che tutte le sue annotazioni hanno una sequenza rigidamente cronologica e l’annotazione del 3.5.2012 è seguita da altre annotazioni successive del 17.5.2012, del 22.5.2012, del 15.6.2012, del 2.8.2012 e via seguendo. Inoltre alla data del maggio 2012, il concorso per il posto di Procuratore nazionale antimafia non era stato ancora bandito perché era ancora in carica il Pna Piero Grasso”. Inoltre va ricordato che anche Montante, interrogato dai magistrati, ha ammesso che Scarpinato non gli ha mai fatto alcuna segnalazione.
Nel libro, successivamente, si insinua anche che il Csm avrebbe archiviato senza alcun approfondimento l’inchiesta nei confronti di Scarpinato, originata proprio dal rinvenimento delle carte di Montante.
Ma c’è un dettaglio che viene omesso nel libro. Ovvero che fu lo stesso ex Procuratore generale di Palermo a chiedere ufficialmente, nel febbraio 2017, al Csm di essere convocato, proprio per fugare ogni dubbio sul nascere.
I motivi degli attacchi contro i magistrati coraggiosi
Ma perché, proprio ora, tramite pubblicazioni di vario genere (siano essi libri o articoli di giornale) si attaccano tanti altri magistrati?
E’ lo stesso Scarpinato a fornire nell’articolo del Fatto una chiave di lettura: “Credo che il lettore dovrebbe interrogarsi sui motivi di tanto accanimento denigratorio. I motivi vanno ricercati proprio nell’astio profondo e nel desiderio di vendetta di un vasto mondo interessato a strumentalizzare Palamara, e che ha sempre vissuto come una spina nel fianco i magistrati non allineati e in nessun modo condizionabili. Nel corso della mia carriera questo mondo ha tentato di screditarmi con le calunnie più infamanti tanto da costringermi a presentare più di 40 querele, sinora tutte vinte.
Questo astio ha avuto una forte e progressiva escalation proprio in questi ultimi mesi, in concomitanza con la conclusione di una indagine delicatissima sui mandanti esterni delle stragi del 1992-1993 i cui esiti ho rassegnato nel gennaio del 2022 con una corposa relazione nella quale vengono evidenziate inedite fonti di prova emerse nei confronti di alcuni soggetti”.
Quindi conclude evidenziando quella che è la vera posta in gioco in questo momento storico: “La vera posta in gioco non è la mia credibilità personale, né la credibilità di quella parte della magistratura che non ha nulla da spartire con Palamara, e anzi è stata sempre penalizzata da simili personaggi. La posta in gioco è l’assetto democratico del nostro Paese che ha uno dei suoi perni fondamentali nel principio costituzionale della uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, senza distinzione di condizioni personali o sociali. Principio che rischia di trasformarsi in una formula vuota, se nei prossimi mesi dovessero essere manomesse – come è nei progetti di tanti fan di Palamara – le garanzie costituzionali di indipendenza della magistratura”.
antimafia duemila 11.2.2022