L’INCONTRO CON LUCA ROSSI – Il 6 luglio 1992 Paolo Borsellino incontra in via informale Luca Rossi, giornalista del Corriere della Sera. Rossi riporterá una parte del contenuto di questo colloquio in un articolo che sará pubblicato 15 giorni dopo sul Corriere della Sera: “Che cosa posso coordinare da Roma se nessuno fa più indagini in Sicilia? Ho detto: “Adesso Falcone sei tu. Lo capisci?” Borsellino ha sorriso, con una specie di dolore obliquo, tagliato. Era quindici giorni fa, in via Cilea 97, a casa sua, a Palermo. Ero andato a trovarlo solo per parlare, non dovevo ancora scrivere nulla. Volevo solo sapere come stava, cosa succedeva a Palermo. Con Sette avevo deciso di iniziare una lunga inchiesta sullo stato delle cose in Sicilia seguendo proprio Paolo Borsellino. Ero preoccupato. L’avevo visto in Tv, subito dopo la morte di Falcone, e non mi sembrava più l’uomo che conoscevo: era lento, paralizzato. Pensavo che ora, dopo Falcone, c’era lui: che sarebbe stato il prossimo. Quel giorno ho fatto fatica a trovare le parole, ma a un certo punto glielo ho detto; ha sorriso ancora, ha risposto che lo sapeva, ma che da questo punto di vista si sentiva esattamente come Falcone. Ha detto testualmente: “Anche per me la morte è un bottone della giacca. Borsellino è sempre stato un uomo straordinariamente coraggioso; riusciva a ironizzare sul pericolo, era sprezzante, fatalista e deciso. Quando l’ho rivisto, due settimane fa, non era più così. La morte di Falcone l’aveva spaccato in due, l’aveva svuotato. L´inclinazione dello sguardo, la lentezza dei gesti e delle parole: era come se non avesse più energia. “Confesso -. mi ha detto quel pomeriggio – che devo reggere il mio entusiasmo con le stampelle”. E allora, poche pratiche cose da dire. Borsellino stava seguendo le indagini sull’ omicidio di Falcone, aveva un’ipotesi. Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione d appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando. Era solo un’ipotesi, e comunque non poteva darmi dettagli. Si può pensare che anche la sua morte abbia un rapporto con quest’ipotesi, ma è altrettanto probabile che la sua fine e quella di Falcone fossero segnate comunque, da sempre. Negli ultimi giorni, Borsellino stava interrogando un nuovo pentito, che definiva “di straordinario interesse, perchè ci dà un’immagine della mafia in questo momento, in tempo reale, e non, com’è capitato spesso con altri pentiti, vecchia magari di qualche anno. Il pugno di ferro, la dittatura di Totò Riina sulla mafia, produce un terrore costante all’interno dell’organizzazione di Cosa Nostra. I membri vivono un’ossessione continua, quotidiana: si chiedono esclusivamente chi potrebbe ucciderli, e quando. Questa situazione ha prodotto un’incredibile fioritura di pentiti, quasi una trentina. Una cosa assolutamente straordinaria”. Ma lui era rimasto solo, come sempre in questi casi. Abbiamo parlato della Superprocura, che il ministro della Giustizia Claudio Martelli gli aveva indirettamente offerto. Era in dubbio, oscillava: tendeva comunque a non accettare. La Superprocura era un’idea di Falcone e Borsellino pensava che solo con Falcone avrebbe avuto un senso. Non ci credeva molto; diceva che, senza la visione complessiva e strategica che ne aveva Falcone, sarebbe stato difficile farla funzionare.
L’assalto mafioso agli appalti pubblici raccontato nei reportage di Francese. Il giornalista comprese subito la nuova strategia di “Cosa Nostra”, volta a sviluppare la propria dimensione imprenditoriale, ad imporre il proprio egemonico controllo sugli appalti pubblici, ad estendere e rafforzare il proprio potere nel contesto sociale ed economico, in un momento reso particolarmente favorevole dall’esito quasi integralmente assolutorio dei grandi processi di mafia celebrati alla fine degli anni ’60. Un eccezionale interesse è riscontrabile nei numerosi articoli scritti da Mario Francesesulle vicende criminose in vario modo connesse ai lavori di costruzione della diga Garcia. Mario Francese – il quale aveva già posto in luce i forti interessi economici dell’associazione mafiosa nel settore dell’edilizia negli articoli scritti in relazione alla “strage di Viale Lazio”, realizzata il 10 dicembre 1969 – comprese subito la nuova strategia di “Cosa Nostra”, volta a sviluppare la propria dimensione imprenditoriale, ad imporre il proprio egemonico controllo sugli appalti pubblici, ad estendere e rafforzare il proprio potere nel contesto sociale ed economico, in un momento reso particolarmente favorevole dall’esito quasi integralmente assolutorio dei grandi processi di mafia celebrati alla fine degli anni ’60. Si trattava di una importantissima fase di sviluppo evolutivo dell’associazione mafiosa, i cui lineamenti essenziali sono oggi notori ma potevano, allora, essere intravisti solo da persone dotate di un non comune patrimonio conoscitivo e di una particolare capacità di cogliere i nessi tra gli eventi.
“Il 14 luglio c’è stata una riunione alla Direzione Distrettuale di Palermo e Borsellino chiese conto e ragione a Lo Forte–ha aggiunto Trizzino – perchè tra l’altro Giammanco è nella storia della Repubblica, primo e unico procuratore costretto a dimettersi per un ammutinamento dei suoi sostituti: io credo che non ci siano precedenti del genere. Borsellino voleva sapere a che punto fosse quel rapporto Mafia e Appalti e non gli dicono che il 13, il giorno prima, era stata fatta una richiesta di archiviazione, che venne ratificata il 14 agosto 1992”. “Lo Stato deve sapere che è stato lasciato solo da molti suoi colleghi, da qualcuno che voleva prendere delle iniziative senza consultarsi e quindi uccidendolo Riina – ha continuato l’avvocato dei Borsellino – ebbe la formidabile occasione di potere dar conto a quella parte di Cosa Nostra fatte da strane commistioni di massoni e imprenditori e dall’altra proseguire con la sua strategia stragista condivisa con Messina Denaro”
Estratto dalla memoria dell’Avv Trizzino al processo MMD. “Borsellino gli disse che stava seguendo delle indagini sull’omicidio di Falcone e che aveva un’ipotesi. Quale? «Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione di appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando». ‘. Estratto dall intervista di Luca Rossi a Paolo Borsellino, pubblicata il 21 luglio 92.
Tratto da: N. 2108/97 R.G. notizie di reato N. 959/98 R.GIP N. 2285/97 R.G. notizie di reato N. 958/98 R Gip TRIBUNALE DI CALTANISSETTA UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE
(…) Il De Donno, dal canto suo, ha recisamente negato ( cfr. interrogatorio del 16.01.98) la esistenza di una doppia versione della informativa, rappresentando che la vicenda SIRAP fu trattata in un momento successivo, solo perché complessa ed autonoma rispetto alle vicende compendiate nella informativa del febbraio del 1991 e perchè, anche su sollecitazione dello stesso dott. Falcone, si era preferito depositare, prima, una informativa di carattere generale.
La seconda – e cioè quella del settembre del 1992 – era stata redatta, ha precisato l’Ufficiale, a seguito del riascolto delle intercettazioni effettuate in occasione della prima “tranche” di indagine, e chiariva il ruolo degli esponenti politici, ivi compreso l’on.le Lima, nella illecita manipolazione degli appalti pubblici.
Ciò premesso, rileva l’ Ufficio, innanzi tutto, che, la informativa del 20.02.91 era fondata, in prevalenza, su intercettazioni telefoniche; dalla documentazione trasmessa dalla Procura di Palermo, in data 9.03.99, a seguito della ordinanza del 27.01.99 di questo Ufficio, emerge che le richieste di autorizzazione o di proroga, ai sensi dell’art. 266 c.p.p., furono formulate – nella loro quasi totalità – dai dott. Lo Forte e Pignatone.
Essi, dunque, erano necessariamente al corrente dei progressivi sviluppi delle dette operazioni tecniche, sia perchè, secondo quanto risulta dalle dichiarazioni spontanee del dott. Giammanco rese al Pm in sede in data 16.12.97 e dalle sit del dott. Pignatone del 13.07.93 ( cfr. Volume XXIII), ne venivano costantemente informati, per le vie brevi ( cfr. anche nota del Procuratore di Palermo del 26.11.92 al Comandante dell’Arma dei Carabinieri ed al Comandante del ROS ), dal Capitano De Donno sia – e soprattutto – perchè alle richieste di proroga, via via avanzate dal Ros, risultavano allegate le trascrizioni di talune conversazioni telefoniche, onde dimostrare l’esito positivo delle operazioni tecniche già svolte e legittimare la richiesta di proroga delle operazioni di intercettazione.
Ed invero, tra gli atti relativi alle richieste o alle proroghe delle dette operazioni risultano allegate ( cfr. faldone IV, Cart.A, sottofasc.8 degli atti successivi alla ordinanza di questo Ufficio del 27.01.99):
- la trascrizione di una conversazione del 10.02.90, svoltasi tra Giuseppe Li Pera e l’on.le Motta, allora sindaco di San Cipirrello, nel corso della quale i due concordarono un incontro presso la sede della SIRAP alla presenza del Presidente degli Artigiani;
- la trascrizione di una conversazione del 28.02.90, svoltasi tra Claudio De Eccher e tale Grassi, nel corso della quale si fa espresso riferimento alla possibilità di “chiudere subito col Ministro quel lavoretto dell’Agricoltura”;
- la trascrizione della conversazione svoltasi, tra Ciaravino e La Cavera, già, rispettivamente, Presidente e Vice Presidente della SIRAP, da cui emergeva che il secondo aveva patito delle minacce.
Risulta, ancora, che fu sempre richiesto ed autorizzato il ritardo nel deposito dei risultati delle intercettazioni ( cfr. richieste a firma De Donno del 23.04.90, del 30.04.90), così come emerge dagli atti processuali che il De Donno provvide, dopo aver comunicato l’esito positivo delle operazioni svolte, a ritualmente depositare in Procura le bobine delle intercettazioni ed i relativi brogliacci ( cfr. note a firma De Donno in data 3.05.90, 11.06.90, 23.07.90).
Proprio da tale rituale deposito scaturì, successivamente, la necessità per il ROS di richiedere l’autorizzazione al riascolto delle citate telefonate, allorchè si trattò di redigere la informativa “ SIRAP”, poi depositata il 5 settembre 1992: autorizzazione al riascolto che fu concessa dal dott. Lo Forte, in data 28.05.92, con provvedimento in calce alla richiesta formulata, il precedente 26.05.92, dal De Donno ( cfr. f.674, faldone IV atti successivi alla ordinanza di questo Ufficio del 27.01.99).
Se ne deve dedurre, quindi, che la omessa trasmissione, da parte dell’organo di p.g., nel febbraio del 1991, di parte delle intercettazioni telefoniche era ben nota ai dott. Lo Forte e Pignatone, i quali avevano autorizzato e seguito lo sviluppo delle intercettazioni ed erano, inoltre,in possesso – come Ufficio – dei brogliacci e delle bobine, sicchè erano bene in condizione, sia di leggere i primi, che, rilevata l’assenza delle trascrizioni delle intercettazioni sulle utenze SIRAP, di richiederne la immediata trascrizione allo stesso organo di p.g., ovvero di disporla, ancora, essi stessi nelle forme della consulenza tecnica.