Le verità nascoste di Rita Pedditzi
Da tempo assistiamo a programmi televisivi che tutto sono tranne inchieste giornalistiche. Leggiamo articoli che sembrano scritti per un pubblico di bambini delle scuole elementari.
Che considerazione hanno di noi questi giornalisti? Una considerazione evidentemente bassissima.
E se invece fosse una precisa strategia di istupidimento collettivo per continuare a mantenere nascoste ‘le verità nascoste’?
‘Le verità nascoste’, di Rita Pedditzi aprono coraggiosamente a quelle verità che forse non tutti vogliono conoscere e far conoscere…
“In questo momento, oltre che magistrato io sono testimone”.
“È il 25 giugno 1992, quando, nel suo ultimo intervento pubblico, Paolo Borsellino pronuncia queste parole”- ricorda oggi la giornalista dai microfoni di ‘Inviato Speciale’, il programma di‘Radio 1’.
“Si riferiva a quello che sapeva sulla morte di Giovanni Falcone, suo collega e amico, ucciso da poco più di un mese nella strage di Capaci.
In quei 57 giorni di vita che gli rimangono, Borsellino ha fretta, vuole parlare, continua ad indagare, sa di essere diventato anche il bersaglio.
Nessuno lo ascolta, è lasciato solo ad affrontare il tritolo che lo aspettava in via D’Amelio, a combattere fino all’ultimo secondo una guerra che non poteva vincere”.
Antonio Vullo è l’unico agente sopravvissuto alla strage:
“Sapevamo tutti che dopo Falcone la persona da colpire era Borsellino, ma la cosa che mi è risaltata in più quella domenica pomeriggio, è che quando abbiamo accompagnato il giudice all’abitazione di via Cilea abbiamo visto che neanche c’era la vigilanza fissa sotto casa”.
“Tutto ciò che è seguito all’assassinio del magistrato – prosegue la giornalista – è pieno di interrogativi, perché la strage di via D’Amelio rappresenta il più grande depistaggio nella storia giudiziaria italiana”.
Di depistaggio parla l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice, che ritiene ci sia stata una irresistibile pressione su Salvatore Riina per realizzare la strage:
“Questo rimanda alla presenza di soggetti esterni gravitanti – per quanto mi riguarda – al mondo politico, massonico, imprenditoriale, che aveva tanto da temere dall’azione preventiva che il giudice Borsellino stava svolgendo, anche in relazione alla comprensione dei motivi per cui era stato in realtà assassinato il giudice Falcone.
Borsellino non credeva soltanto all’istanza vendicativa come tale, ma ritenne da subito che l’uccisione di Giovanni Falcone avesse una finalità preventiva, volta da un lato ad impedire che lo stesso potesse in qualche modo diventare procuratore nazionale antimafia, e comunque Falcone, da Roma, aveva operato per garantire l’ulteriore perfezionamento del corredo normativo e legislativo per meglio fronteggiare il fenomeno”.
Su chi e cosa stava indagando Paolo Borsellino, per far decidere l’accelerazione della strage di via D’Amelio dopo quella di Capaci? chiede la giornalista.
Trizzino:
“In questi trent’anni si è cercato di spiegare questa accelerazione.
Non si è guardato a nostro giudizio nell’unico ambito in cui bisognava guardare, cioè le dinamiche che dovette affrontare il giudice Borsellino all’interno della Procura della Repubblica di Palermo, definita – questo purtroppo l’abbiamo saputo solo nel 2010 – come un ‘nido di vipere’.
Noi oggi chiediamo che si guardi finalmente a quali indagini stava guardando il giudice Borsellino.
Riteniamo che una spiegazione plausibile possa essere il desiderio del giudice di rivitalizzare quel dossier mafia-appalti che era una grossa indagine dei Ros, partita nel ‘89, e che se ben valorizzato avrebbe sicuramente anticipato l’azione di ‘Mani Pulite’, o meglio, ci sarebbe stato poi un coordinamento, una manovra a tenaglia da nord e da sud che avrebbe sconquassato il sistema politico, istituzionale, affaristico, che si era retto sulla corruzione, e che però, per quanto riguarda la Sicilia, prevedeva la presenza organica – all’interno di questo sistema – di ‘Cosa nostra’”.
“In quell’estate 1992, dopo l’autostrada sventrata a Capaci – prosegue Rita Pedditzi – c’è un nuovo allarme attentati.
Nel mirino i due magistrati più in vista in quel momento: Paolo Borsellino e Antonio Di Pietro.
Lo scrive il Ros in una informativa riservata redatta il 16 luglio.
Roberto Agnello, oggi Procuratore Generale a Genova, in quel periodo era alla DDA di Milano”:
“C ‘era questa fonte confidenziale che riferiva il progetto di questo attentato, e quindi ovviamente io chiesi se era stata mandata anche a Palermo questa informativa.
Mi avevano assicurato che era stato fatto, e noi a Milano dovevamo occuparci del progetto di attentato a Di Pietro.
Nell’informativa si diceva che, in particolare a Milano, l’attentato sarebbe stato fatto con l’appoggio della famiglia mafiosa dei Fidanzati, che era operativa soprattutto nel traffico di droga.
Naturalmente iniziammo subito le indagini.
Faceva riferimento agli appalti (l’informativa – ndr) dei quali si occupava Di Pietro”.
Un’indagine dalla quale stava venendo alla luce il sistema corruttivo degli appalti in Lombardia.
Rita Pedditzi: “ll dossier mafia-appalti è stato archiviato il 14 agosto, 26 giorni dopo la morte del giudice Borsellino, da quella procura che lui stesso definì ‘un nido di vipere’.
Si tratta di una lunga informativa sugli appalti pubblici, firmata da Mario Mori e Giuseppe De Donno – gli stessi ex Ros assolti nel processo d’appello sulla presunta ‘Trattativa Stato-mafia’ – in cui venivano evidenziati i rapporti economici tra mafia, importanti aziende del nord Italia, e politica.
Un mese prima di morire Paolo Borsellino ne parla con Stefano Manduzio, allora Sostituto Procuratore ad Agrigento ed oggi Presidente della sezione penale al Tribunale di Venezia”:
“Quello che spontaneamente mi disse per quanto riguardava l’ufficio, è che c’era una situazione pesante, perché c’era questa distanza dai Ros.
In particolare i Ros, si erano distaccati un po’ dal rapporto con la Procura di Palermo, proprio perché, avendo presentato quel rapporto mafia-appalti, c’era stata una divergenza di opinioni.
‘Io però (disse Borsellino – ndr) devo cercare di fare di tutto per riallacciare i rapporti, perché non è possibile che non ci sia una collaborazione tra la Procura e i Ros’”.
Come ricorda Manduzio, il giudice Borsellino gli parlò anche dell’incontro che avrebbe voluto tenere con i Ros.
Incontro che poi sappiamo sarebbe avvenuto presso la caserma Carini, quando il giudice chiese ai carabinieri se erano disposti a portare avanti l’indagine mafia-appalti, e di riferirne a lui personalmente.
La Pedditzi ripercorre i processi tenutisi a Caltanissetta, evidenziando che solo il Borsellino quater ha contribuito all’accertamento sostanziale della verità, poiché i primi tre processi vennero inquinati dalle dichiarazioni del falso pentitoVincenzo Scarantino – smentito solo nel 2008 dal collaboratore Gaspare Spatuzza – rilevando che un tassello importante lo aggiunse l’ex bossAntonino Giuffrè.
E di Giuffrè, al microfono dell’Inviato Speciale, parla Lia Sava, Procuratore Generale a Palermo, in precedenza con lo stesso ruolo a Caltanissetta:
“Nella riunione degli auguri di Natale (1991) – afferma – Riina dice che se il maxiprocesso fosse perso – e poi effettivamente il maxiprocesso ‘Cosa nostra’ lo ha perso – quella condizione sospensiva che ancora c’era sarebbe caduta, e Falcone e Borsellino, assieme ad altri personaggi, sarebbero stati uccisi.
Cosa dice poi Giuffrè?
Chiaramente ‘Cosa nostra’ – e Riina in maniera particolare attraverso i suoi consiglieri più fidati, prima di realizzare quei fatti eclatanti avrebbe fatto dei sondaggi.
La cosiddetta ‘tastata di pusu’ – questa è l’espressione utilizzata da Giuffrè – per verificare l’eliminazione di queste figure, che effetti avrebbe avuto in determinati ambienti.
Quindi massoneria deviata, servizi segreti deviati, e imprenditoria collusa, sono i settori – dice Giuffrè – nei quali si fanno questi sondaggi.
Riina capisce che l’eliminazione di questi soggetti non era qualcosa di sgradito a questi ambienti, ma era qualcosa di gradito a questi ambienti… quindi Riina parte su questa scia di sangue drammatica, ed è chiaro che negli anni le indagini che si sono svolte, e che verosimilmente si svolgeranno, fino a che il quadro, tutti quei 360° non saranno tutti ricostruiti, si porrà proprio andare a capire quali di questi settori possono avere un nome e un cognome, perché chiaro che solo se si arriva con elementi di prova che possono diventare prova in dibattimento si potrà dire cosa c’è dietro quei sondaggi”.
Fu solo per l’esito del maxiprocesso – e dopo la ‘tastata di pusu’ – che Riina ordinò le stragi, o come affermato dall’avvocato Trizzino altri motivi si celano dietro la morte dei due giudici?
Quante verità nascoste ci sono ancora?
Perché dopo 30 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, così poche certezze abbiamo sulla genesi delle stragi?
Chi non vuole che si sappia la verità?
“La più grande tragedia di questi tempi, non è nel clamore chiassoso dei cattivi – diceva Martin Luther King -, ma nel silenzio spaventoso delle persone oneste.”
Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 16.7.2022