“Con il 52 % di attività economiche illecite analizzate nella ricerca della Bocconi si può dire quanto sia stato importante andare oltre la figura penale e criminale del 416 bis, ovvero i soggetti condannati non sono inscrivibili severamente nella figura dell’affiliato poiché esterni all’organizzazione seppur consapevoli di fare parte di un ampio progetto criminale. Se andiamo a recuperare vecchi esempi storici, fin dai tempi di “duomo connection” sappiamo quanto la mafia sia capace di fare affari e imprese, tanto da essere capace di esportare vino siciliano in Unione Sovietica e quindi essere ben saldi nel cuore economico e finanziario milanese. Ma se andiamo ad esempi più recenti possiamo osservare la capacità di specializzazione elevatissima, come nella sanità, basta guardare all’opera di Michele Aiello, uomo vicinissimo a Bernardo Provenzano, patron di una clinica all’avanguardia capace di fare concorrenza a pochissimi altri centri europei. La forza della mafia e della ‘drangheta, pertanto, non è il kalashnikov ma le relazioni politiche e commerciali oltre che sociali: gli imprenditori collusi sono i tramiti tra il mafioso doc e i palazzi della società civile e della comunità produttiva. Al nord, come al sud, l’imprenditore può andare per proprio interesse e per propria natura ovunque, al fine di creare una rete utile all’attività di impresa e quindi può mettere a disposizione tale patrimonio di relazioni al servizio degli interessi della ‘ndrangheta. Addirittura vi è la vocazione volontaria di certi imprenditori non mafiosi a mettersi a disposizione della ‘ndrangheta e creare relazioni ad altissimo livello sia nei palazzi della politica, della finanza e del potere religioso. Per impedire questo occorrono azioni semplici, riconoscendo la trasformazione culturale e sociale che le mafie cercano di porre in essere e contrastarle in maniera più ampia, iniziando a dire no a questi signori” – così Giuseppe Pignatone, Procuratore presso il Tribunale di Roma