Una ricerca che misura i rischi del Nord

Mancini 300

 

Mancini 300

 di Lionello Mancini

Tra sconsiderati allarmi di una (inesistente) invasione del Paese e periodi di superficiale sottovalutazione (anche istituzionale) del fenomeno criminale, si cercano risposte scientifiche per misurare il reale impatto delle mafie sull’economia italiana. Una di queste risposte è lo studio avviato nel 2011 dalle università di Milano e Palermo (sostenute dalla Fondazione Gaetano Costa, dalla Cdc di Milano e dai costruttori di Assimpredil), per fotografare spessore e qualità del “contagio” finora avvenuto da parte della patologia mafiosa.

Sull’«Espansione della criminalità organizzata in nuovi ambiti territoriali», è stato di recente fatto il punto in Bocconi, da un panel di esperti formato dai direttori della ricerca (Alessandri e Fiandaca) e magistrati specialisti (come Boccassini e Pignatone). Panel non casuale, giacché il metodo di analisi muove dall’analisi dell’universo limitato, ma fattuale, delle risultanze giudiziarie 2000-2010 (misure cautelari, tipologie di reato, rinvii giudizio, condanne) incrociandole con database dedicati e interviste mirate a operatori economici, inquirenti, associazioni e così via. Un lavoro complesso, che intende analizzare da una angolazione nuova un fenomeno gravissimo per l’economia sana a qualunque latitudine essa venga intrapresa. Già dalle prime, parziali risultanze, è possibile tracciare il quadro in base al quale ipotizzare correttivi e stimoli alle azioni di contrasto in grado di limitare i danni; ma anche di prevenirli, nelle aree geografiche e nei settori in cui la metastasi non è ancora giunta.                        

Le analisi presentate venerdì scorso, basate su oltre 1.300 indagati, per lo più (ma non solo) ‘ndranghetisti e in larga parte (ma non solo) persone fisiche, indicano innanzitutto che gli imprenditori coinvolti nelle inchieste sono tanti. Troppi, se si considera il favorevole contesto socio-economico in cui operano le aziende lombarde o piemontesi. Un coinvolgimento che avviene a vario titolo, comunque nell’ambito del reato associativo, con scopi molto mirati e minacciose presenze in settori ben identificati. In una cornice paritariamente suddivisa tra attività puramente criminali e attività economiche, le inchieste hanno colpito i responsabili di ripetuti assalti alla gestione e al controllo delle imprese, senza risparmiare concessioni, appalti, autorizzazioni, servizi pubblici. I settori nel mirino criminale si confermano concentrati nell’edilizia e nel movimento terra, non senza incursioni nel più vasto campo delle urbanizzazioni e dello smaltimento rifiuti. Ma pare lecito domandarsi se questa delimitazione settoriale non sia in realtà un effetto ottico, vista l’importanza di attività connesse alle costruzioni, come quelle finanziarie e dei servizi in genere. Come dire: esistono problemi solo per l’edilizia o non ne sappiamo ancora abbastanza?

Mentre i ricercatori del bocconiano Credi (Centro di ricerche europee sul diritto e la storia dell’impresa) e del palermitano Dems (Dipartimento di studi europei e dell’integrazione internazionale) proseguono le loro analisi del materiale penale – retrospettive per definizione – la realtà quotidiana dell’Expo e delle grandi opere interroga
ogni operatore e le associazioni sul «che fare» per mettere in sicurezza il presente e il futuro.
 

 Sole 24 Ore – 14.10.2013

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