Ex pm e ora giudice al Tribunale di Napoli, Alfonso Sabella è stato un magistrato in prima linea nella lotta alla mafia. Ha fatto arrestare, fra gli altri, anche nomi illustri come Bagarella, Brusca, Spatuzza e Aglieri. Nel giorno in cui Matteo Messina Denaro è stato assicurato alla giustizia ha ricordato al Riformista come sia fondamentale, in queste occasioni più di ogni altre, che lo Stato sia obbligato a fare la differenza «sia che ci si trovi davanti un criminale o un santo, nel rispetto delle regole e delle garanzie riconosciute. Anche Messina Denaro deve essere tutelato e curato come si compete a qualunque cittadino italiano».
Garanzia alla salute del detenuto, non importa di quali crimini si è macchiato.
Ci troviamo di fronte a un criminale responsabile di delitti immondi tra cui anche il sequestro e lo strangolamento del piccolo Di Matteo. Ma lo Stato, qui, marca la differenza con i criminali. Lo Stato si comporta da Stato. Quando ero pm a Palermo ho ottenuto risultati importanti nel contrasto all’ala corleonese a cui Messina Denaro era riconducibile, ma rispettando le regole. Questo è quello che ci rende diversi dagli altri.
Questo modus operandi da parte delle forze dell’ordine e della magistratura paga quindi?
Quando il nostro Paese era devastato dalle bombe, Falcone e Borsellino ammazzati, l’attentato alla Pinacoteca, bombe alla diocesi del Papa a Roma e i ragazzini uccisi come cani per strada, la tentazione da parte delle forze di polizia e della magistratura di fare qualcosa che andasse oltre ciò che le leggi consentono c’era ed era fortissima. Ma noi ci siamo comportati da Stato. Per questo sono orgoglioso di far parte di questo Paese. Pensa che la voglia di catturare Messina Denaro e sottoporlo a qualche tortura non ci fosse da parte di chi aveva visto i suoi colleghi morire? Da chi aveva pianto i suoi amici uccisi in quelle maniere ignobili?
Ma come è possibile che sia resistito tutti questi anni da latitante?
Nulla di anomalo. I latitanti si muovono liberamente nei territori di loro pertinenza. Questa è la forza delle organizzazioni di tipo mafioso. Come ricordava a tutti Leoluca Bagarella, che abitava in tutta tranquillità di fronte alla casa dove vivevano i procuratori aggiunti di Palermo: “La presenza è potenza”. Tutto normale. Non è normale che qualcuno riesca a rimanere latitante per trent’anni. È inutile che ci wnascondiamo dietro a un dito, è verosimile che Messina Denaro possa aver avuto protezioni all’interno di qualche organo investigativo. C’è anche da dire che ha attuato una strategia di latitanza molto intelligente perché si è rintanato nella provincia di Trapani rinunciando a diventare il capo di Cosa Nostra. Oggi abbiamo arrestato il personaggio più importante, più prestigioso, uno dei vertici assoluti, l’ultimo erede dello stragismo corleonese degli anni ’90, ma Cosa Nostra è da diversi anni tornata in mano ai palermitani.