Per i suoi problemi di salute Matteo Messina Denaro si serviva sempre di cliniche private e utilizzava nomi di altri boss di mafia. Lo aveva già rivelato il pentito Gaspare Spatuzza durante la sua testimonianza al processo Borsellino Quater nel 2019.
Chissà sotto quanti falsi nomi in trent’anni Matteo Messina Denaro si è nascosto. A Campobello di Mazara dove sono stati trovati i suoi tre covi si faceva chiamare Francesco: qui conduceva una vita normale. Poi però la malattia e quei viaggi avanti e indietro alla clinica privata di Palermo per le operazioni e le chemioterapie hanno rotto la sua tranquillità. A “tradirlo” alla fine è stato il nome del suo fedelissimo Andrea Bonafede: il nome che aveva preso in prestito per le sue registrazioni alla clinica.
Eppure Matteo Messina Denaro era malato già da tempo e sottoposto a più operazioni. A svelarlo per la prima volta davanti a giudici e inquirenti era stato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 e per la morte di Don Pino Puglisi per poi pentirti nell’estate del 2008: le sue furono parole veloci ma registrate in Tribunale durante un’udienza del processo Borsellino Quater nel 2019. Allora svelò che il boss si era sottoposto a un intervento agli occhi a Messina e che i medici della clinica lo conoscevano con il nome di Giorgio Pizzo. Poi il silenzio. Spatuzza non hai mai più ripetuto e svelato date e dettagli di quelle sue informazioni.
Le parole di Spatuzza su Matteo Messina Denaro
A confermare a Fanpage.it le parole esatte pronunciate da Spatuzza durante l’udienza è stato l’avvocato che nel 2019 gli aveva rivolto la domanda nell’aula di Tribunale, Fabio Repici, il legale difende Salvatore Borsellino e i parenti di Adele Borsellino (fratello e sorella del giudice).
“C’è un particolare da Messina – inizia così la confessione di Spatuzza -, ma credo che fosse per una problematica di Matteo Messina Denaro… So un particolare, in cui Matteo Messina Denaro ha subito un intervento agli occhi a Messina… In questa vicenda era coinvolto Nino Mangano… Messina Denaro all’epoca si andò a curare sotto il nome di Giorgio Pizzo, un uomo del nostro gruppo, della famiglia di Brancaccio. Andò a curarsi a Messina sotto il controllo di Nino Mangano…”.
Chi proteggeva il boss durante il ricovero a Messina
Spatuzza poi non disse altro sul boss di Trapani. Come precisa l’avvocato a Fanpage.it le sue parole però furono sufficienti per confermare “le strette relazioni al tempo coi Graviano”, la famiglia di Brancaccio (quartiere di Palermo e noto per l’omicidio di Don Pino Puglisi) i cui fratelli Giuseppe e Filippo erano i pupilli di Totò Riina. A proteggere il boss durante l’operazione a Messina era Nino Mangano, ovvero il reggente e contabile del mandamento di Brancaccio-Ciaculli. Il legame dunque tra Trapani e Palermo era ben consolidato.
Le cliniche private e i nomi dei fedelissimi
Già quattro anni fa le parole del collaboratore di giustizia avevano dimostrato che Matteo Messina Denaro si servava di cliniche private, della complicità di altri uomini di Cosa Nostra e di chissà quanti professionisti, tra medici e infermieri. Un legame tra criminalità organizzata e sanità che Spatuzza aveva svelato essere fondamentale per la latitanza Matteo Messina Denaro.
Le parole di Spatuzza avevano anche confermato che Matteo Messina Denaro si serviva di nomi esistenti, appartenenti ad altri membri di Cosa Nostra. Non di nomi frutto della sua fantasia ma di persone che conosceva bene. Giorgio Pizzo era un “uomo” dei Mangano. Tutti fedelissimi poi finiti sotto processo e condannati.
Nel 2002 la Cassazione confermò all’ergastolo anche Nino Mangano, Giorgio Pizzo e Gaspare Spatuzza: sono tra i quindici condannati, tra mandanti ed esecutori, delle stragi di Roma (piazza San Giovanni e San Giorgio al Velabro), Firenze (via dei Georgofili) e Milano (via Palestro) avvenute nella primavera-estate del 1993. Per gli stessi fatti fu condannato all’ergastolo anche Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro: nel 2002 entrambi erano ancora latitanti. Poi grazie al lavoro delle forze dell’ordine per il primo scattarono le manette nel 2006 per il secondo il 16 gennaio di quest’anno.