Beni sequestrati con efficienza

di Lionello Mancini

 

Quella dei beni sequestrati alle mafie è una grande questione irrisolta, nonostante la legge Rognoni-La Torre risalga al 1982 e l’Agenzia dedicata sia nata nel 2010. Come molte delle “grandi questioni” italiane, anche quella dei miliardi che lo Stato si riprende e poi non sfrutta, si è trasformata in un guazzabuglio di norme, burocrazie, procedure nel quale affonda chiunque tenti di metterci le mani.

Senza azzardare cifre sul valore in continua crescita di questo patrimonio, restiamo al dato ufficiale: al 28 febbraio i beni sequestrati o confiscati erano 139.187 (di cui 5.240 già destinati); tra questi, 64.374 immobili e 9.654 aziende.

Proprio sulla sorte di queste ultime convergono le maggiori criticità, le confusioni e i ritardi più dannosi, con le plurime conferme della distanza dei decisori dalla complessità del problema e – perciò – dalle soluzioni più adeguate.

Pur sorvolando sui bugs propagandistici che cinque anni fa minarono l’Agenzia fin dalla nascita (la sede a Reggio Calabria, la ridicola dotazione di personale), resta che assegnare un immobile non è semplice: si tratta spesso di costruzioni fuori norma, sotto ipoteca, ammalorate e destinate a enti senza fondi per utilizzarle.

Ma sui destini delle aziende sequestrate gravano problematiche ancora più gravi e complesse: la loro reale consistenza, i rapporti con i creditori, le banche, i fornitori; i posti di lavoro che diventano precari, la salvaguardia della concorrenza e del mercato; la gestione quotidiana su cui incombe, fino alla definitiva confisca, che un’azienda risanata e ben tenuta possa tornare “all’avente diritto” che non è sempre lo Stato, ma magari la stessa cosca cui era stata tolta.

Molto ci sarebbe da dire sulle diverse filosofie che si confrontano – a volte si scontrano – per far prevalere una prospettiva su un’altra: c’è chi invoca un impegno etico dello Stato per far sopravvivere ogni bene tolto ai criminali grazie al ricorso a giovani volontari, cooperative e finanziamenti a fondo perduto; ma c’è anche chi vorrebbe, più realisticamente, affidare a specialisti la valutazione dell’azienda incamerata e che fino a quel momento ha solo inquinato il mercato (posti di lavoro compresi) crescendo da radici malate e illecite.

Ecco perché sono importanti le proposte avanzate dai magistrati delle principali sezioni di Prevenzione e della Procura nazionale antimafia, esperti imparziali riuniti a Palermo dalla locale Università (Dems) e dalla Cattolica di Milano (Centro F. Stella), per “migliorare l’efficienza e la rapidità” dei sequestri e della gestione delle aziende, senza mortificare le garanzie processuali. 

Secondo i giudici, sono necessarie sezioni specializzate con competenza distrettuale affidate a magistrati dedicati solo a questo, così come vanno rafforzati i diritti della difesa e la certezza della ragionevole durata della procedura, fissando per legge i termini di richieste ed eccezioni (a partire da quella di incompetenza territoriale).

Altrettanto importante è il ruolo degli amministratori giudiziari – figure-chiave, che però il Governo ancora confonde con i curatori fallimentari – chiamati, se solo è possibile, a mantenere sul mercato le imprese sequestrate e a garantire i livelli occupazionali. La nomina degli amministratori, dicono i magistrati, richiede criteri trasparenti e meccanismi di rotazione, oltre al supporto di un ufficio organizzato con le competenze manageriali nei diversi settori di attività.

Per le imprese che potrebbero sopravvivere, va predisposto un business plan da discutere in udienza con pubblico ministero e Agenzia, una volta sentiti i sindacati. Da tutelare meglio anche i creditori, introducendo la possibilità di privilegiare il pagamento di quelli strategici per il proseguimento dell’attività d’impresa, e infine è previsto il controllo giudiziario, per non affossare un’impresa che abbia agevolato le cosche in modo incolpevole e occasionale: controllo accordabile anche su richiesta di un’azienda colpita da interdittiva, come chance per rimettersi in ordine, sospendendo gli effetti del provvedimento prefettizio.

Sole 24 Ore 15.6.15