Il procuratore nazionale antimafia: ‘Togliere le sanzioni sugli abusi è un vulnus agli obblighi con l’Ue’
“Da procuratore nazionale antimafia credo sia doveroso richiamare l’attenzione del dibattito pubblico sullo stato di profondo diffuso condizionamento criminale dei comportanti della pubblica amministrazione.
Basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in 30 anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione”.
Lo ha detto Giovanni Melillo davanti alla Commissione Giustizia della Camera che lo ha ascoltato sulla riforma dell’abuso d’ufficio.
“Credo che il giusto obiettivo di ridimensionare la paura della firma non può esaurirsi nell’aggravare la frammentazione e l’incoerenza del sistema dell’incriminazione” ha osservato il procuratore a proposito della riforma a cui sta lavorando il governo. “I timori di invasione indebita della sfera di discrezionalità che deve essere riservata all’autorità amministrativa è un tema che avrebbe più credibilità se fosse accompagnato dalla rivendicazione dell’introduzione nel sistema di controlli interni alla pubblica amministrazione, in grado di tenere lontano il rischio dell’intervento giudiziario. E’ invece questo uno dei temi che resta fuori dal dibattito politico – ha evidenziato ancora il magistrato – Occorre riconoscere che i controlli nella pubblica amministrazione non esistono e quelli previsti dalla legge sono ridotti a mera cosmesi”.
Per Melillo, inoltre, con la riforma dell’abuso d’ufficio “iI venir meno della possibilità di sanzionare condotte abusive rappresenterebbe un vulnus agli obblighi internazionali sottoscritti dall’ Italia in tema di corruzione con la convenzione di Strasburgo” .
E visto che i clan tendono a entrare sempre più in contatto con la Pa, si sta esponendo l’Italia “al rischio di apparire fonte di indebolimento del sistema di incriminazione”, proprio mentre il Paese con il Pnrr “si appresta a utilizzare ingenti risorse” che sono anche il frutto di “tasse pagate da cittadini di altri Stati europei”.