“Credo che bisogna fare una grossa riflessione su quello che vuol dire oggi essere ‘antimafioso’. I casi Helg, Saguto e Montante ci insegnano che non basta una semplice ricetta per essere antimafioso, non basta diventare amici di magistrati, poliziotti, giornalisti, non basta creare un’impresa e parlare di mafia”. A dirlo è stata Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio del 1992, partecipando al dibattito ‘Lettera aperta ai giovani di Palermo’, nell’ambito di ‘Una Marina di libri’, in corso nel capoluogo siciliano.
“Anche l’antimafioso più esposto al pericolo, quello che ha ricevuto non false minacce, ma minacce vere, farebbe bene a non recitare la parte del martire da vivo – ha aggiunto -. Un po’ più di sobrietà e di silenzio renderebbe più efficace, vero e fruttuoso l’impegno anche di queste persone”.
“Era un percorso avviato con riservatezza e che non voleva sovrapporsi a nessuna indagine giudiziaria. Non sono andata dai Graviano per ricercare la verità, come qualcuno sulla stampa ha scritto erroneamente, ma sono stata spinta da una forte necessità, da una forte esigenza emotiva: raccontare il mio dolore a persone che hanno avuto un ruolo attivo in quei fatti. Le motivazioni erano spirituali e laiche e non penso di aver fatto male a nessuno”.
A raccontarlo è Fiammetta Borsellino, figlia del giudice antimafia Paolo, durante un incontro a Palermo nell’ambito della rassegna ‘Una Marina di libri’, ritornando sul suo incontro in carcere con i fratelli Graviano, boss di Brancaccio. Una scelta fatta sulla base di una “profonda consapevolezza che queste persone sono uomini. Ho deciso di fare questo passo – ha concluso – forse legato all’elaborazione del lutto, mossa inconsciamente dalla necessità di colmare un vuoto”.
Fiammetta Borsellino ha chiesto un nuovo incontro perché, afferma, “sono convinta della necessità di questo percorso, ma c’è stato il silenzio formale. Sono arrivate, invece, motivazioni ufficiose con la modalità di chi sussurra all’orecchio, avanzando problemi di opportunità. Ho registrato un muro di gomma”.
“C’è una modalità malata di esercitare il potere dentro le istituzioni, che io ho sperimentato sulla mia pelle, che va risolta. E’ stata praticata ed è praticata tutt’ora in tutti i campi nella nostra nazione. Se non ci fosse stata non sarebbe successo quello che tutti sappiamo”.
“Del resto se non c’è da parte del Csm un’assunzione di responsabilità nel voler fare luce su queste gravissime anomalie, mentre mio padre solo per aver denunciato lo smantellamento del pool antimafia è stato messo alla gogna pubblica, questo denota che c’è ancora una parte profondamente strana, malata di esercitare il potere istituzionale che provoca distruzione e morte”.
“Ci sono delle Procure oggi che stanno dimostrando di voler andare a fondo nelle cose. Il processo sulla trattativa – ha aggiunto – è sicuramente un momento importante, ma come familiare non mi sento di fare il tifo da stadio su questi argomenti, su qualcosa che pur fondamentale arriva dopo 25 anni. Queste persone allora erano responsabili dell’incolumità di mio padre e di altri e già allora dovevano essere messe di fronte a queste responsabilità”.
“Non sono una fomentatrice di folle, mi limito solo a esporre dati di fatto. Di fronte alle gravissime anomalie perpetrate nel tempo non c’è stato nessuno che sia venuto da noi a darci una spiegazione, anche dal punto di vista umano. Mi è stato sussurrato che entro nel merito delle cose processuali, è una colpa chiedere? Io penso sia un diritto e continuerò a farlo anche se le risposte non arrivano, anche se non ci sono mai stati i chiarimenti da parte di nessuno”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino, figlia del giudice antimafia, Paolo, ucciso nella strage di via d’Amelio, partecipando a Palermo a un incontro pubblico.
Alla platea che la ascoltava in silenzio Fiammetta Borsellino ha lanciato un appello: “L’invito che faccio a noi tutti e a non limitarci a un ricordo, provo a volte un po’ di disagio nel vedere quelle grandissime carovane di persone che arrivano nell’esaltazione di questo ricordo, che per me, invece, significa avere anche un contegno. Allora io dico che oltre a ricordare occorre chiedere a gran voce la verità con quella stessa indignazione di allora. Capisco che è complicato, perché dopo tanti anni la stanchezza è comprensibile. Ma io invito tutti a non limitarci a un ricordo”.
“Lo stesso impegno che persone come mio padre misero nelle indagini, con una modalità che ha segnato anche una svolta nella lotta alla mafia, quello stesso impegno e quella stessa scrupolosità credo che dovrebbero esserci oggi per fare luce sulle gravissime anomalie, i lati oscuri, i depistaggi che accompagnarono e accompagnano ancora l’indagine su via D’Amelio”.
“Penso che sia un atto dovuto a questi uomini – ha aggiunto – e che ciascuno di noi si debba sentire responsabile della richiesta di questa verità non delegandola solo all’opera di magistrati, perché non resti l’ennesimo mistero della storia di questo Paese che purtroppo ha avuto sempre molto da nascondere principalmente a se stesso”. –
Per arrivare alla verità sulla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta occorre “un contributo di onestà” e a darlo non deve essere “solo il mafioso ma anche quelle persone delle Istituzioni che sanno. Lo si deve non solo ai familiari delle vittime ma a tutta la società che ha subito un lutto enorme”. Ne è convinta Fiammetta Borsellino, figlia del giudice antimafia, che a Palermo è tornata a puntare il dito nei confronti di “lati oscuri”, “anomalie” e “depistaggi”.
“Certo è un contributo complicato – ha aggiunto – perché dopo 25 anni, dopo tanto tempo perso mai come oggi la ricerca della verità appare difficile perché è connessa alla ricerca delle ragioni delle disonestà di chi questa verità doveva accertarla. Nonostante questo ritengo che non bisogna smettere di chiederla”.
“La mia non è rabbia, ma volontà che queste cose succedano ancora perché il caso di via D’Amelio può essere studiato come emblema di cattiva pratica investigativa. Tutto quello che non c’è da fare nell’ambito di un strage è stato fatto. Non è stato neppure preservato il luogo del delitto, è passata una mandria di bufali, è stata prelevata una borsa passata di mano in mano e su questo Ayala ha dato tantissime versioni discordanti dei fatti”. Lo ha detto a Palermo Fiammetta Borsellino, figlia del giudice antimafia, Paolo, aggiungendo: “Mafia non ha vinto, non ha perso e non ha pareggiato. Non ci sono slogan, l’argomento è molto più complesso e se oggi quelle cose non accadono più non è perché la mafia è stata sconfitta”.
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Il j’accuse di Fiammetta Borsellino “I Pm e le anomalie nelle indagini”
Tanti sono i punti oscuri elencati dalla figlia del giudice Paolo sulla strage di via D’Amelio. Nei 57 giorni che passarono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio si mossero varie forze lungo l’asse dei rapporti tra mafia e politica. Per sostenere questa tesi Fiammetta Borsellino ha citato una frase ripetuta dal padre in quei giorni: “Mafia e politica o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. Sono dure le parole della figlia del procuratore aggiunto di Palermo Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992, che oggi ha partecipato al dibattito “Lettera aperta ai giovani di Palermo” all’Orto botanico, nell’ambito di “Una Marina di libri”. “In quei giorni – ha detto – evidentemente si misero d’accordo mentre tutti sussurravano a mio padre che il tritolo per lui era già arrivato. Lo sapeva anche il procuratore Pietro Giammanco che però non lo avvertì. Ricordo che mio padre tornò a casa sconvolto. Nessuno ha mai sentito il bisogno di sentirlo. Così come non sono stati chiesti chiarimenti al questore Mario Jovine e al questore Arnaldo La Barbera che avevano il compito di proteggere mio padre”. Ora si coglie qualche cambiamento. “Vedo – ha detto – che le Procure vogliono andare fino in fondo. C’è stato anche il processo per la trattativa, che è stato un momento importante ma arriva dopo 25 anni. Non mi piace fare il tifo da stadio ma certe persone andavano cercate molto prima”.
La strage di via D’Amelio è “l’emblema della cattiva pratica investigativa – ha proseguito -. Non è stato preservato il luogo della strage. È passata una mandria di bufali. È stata prelevata una borsa che è passata di mano in mano e lo stesso magistrato Ayala ha dato tantissime versioni anche discordanti”.
Fiammetta Borsellino è tornata a denunciare le tante criticità delle inchieste sulla morte del padre dal palco di una “Marina di libri” e davanti ai ragazzi del liceo Galilei ha snocciolato le manipolazioni investigative costruite attorno al falso pentito Vincenzo Scarantino. Nei processi per la strage di via D’Amelio ci sono state “gravissime anomalie, lati oscuri, depistaggi”. Su tutto questo la “ricerca della verità è un atto dovuto e non è delegabile solo ai magistrati”.
Fiammetta Borsellino ha anche chiamato in causa diversi magistrati che sin dalle prime battute avrebbero avallato le anomalie investigative, dal procuratore di Caltanissetta del tempo Giovanni Tinebra ai pm Anna Maria Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo. Questi magistrati “sono stati loro stessi autori di un processo caratterizzato da gravissime anomalie anche grossolane”, ha detto Borsellino. Tanti sono i punti oscuri elencati da Fiammetta Borsellino che avrebbero meritato, a suo giudizio, risposte rapide e precise. E invece nessuna risposta, “neanche il Csm”.
‘‘Mai come oggi – ha aggiunto – la ricerca della verità appare difficile, perché mai come oggi è connessa alla ricerca delle ragioni della disonestà di chi questa verità doveva scoprirla. Io non smetto di chiederla. Il contributo di onestà non lo devono dare solo i mafiosi ma anche le persone delle istituzioni che sanno”.
Poi, un pensiero al 19 luglio che sta arrivando: “Dopo 25 anni vivremo con estrema riservatezza questo giorno. Mi auguro in una forma più familiare e intima possibile. Senza negare però alle istituzioni e a chi vorrà commemorare una forma riflessione. Vogliamo risposte concrete, tangibili, veloci. Per me purtroppo il 19 luglio è un giorno di grandi proclami ma vuoto di contenuti”.
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Fiammetta Borsellino:
«Indagini su strage di via D’Amelio, fatte male»
Per la figlia del magistrato, ucciso dalla mafia 25 anni fa a Palermo insieme a cinque agenti della scorta, ci sono state lacune nelle indagini su quell’eccidio
La strage di via D’Amelio è ”emblema della cattiva pratica investigativa”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino, figlia del procuratore aggiunto di Palermo Paolo ucciso nella strage di via Mariano D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992, partecipando al dibattito ”Lettera aperta ai giovani di Palermo”, in corso all’orto botanico di Palermo nell’ambito di ”Una Marina di libri”. ”Non è stato preservato il luogo della strage – ha aggiunto – E’ passata una mandria di bufali. E’ stata prelevata una borsa che è passata di mano in mano e lo stesso magistrato Ayala ha dato tantissime versioni anche discordanti”.
Nei processi per la strage di via D’Amelio ci sono state «gravissime anomalie, lati oscuri, depistaggi». Su tutto questo la «ricerca della verità è un atto dovuto e non è delegabile solo ai magistrati». Fiammetta Borsellino ha anche chiamato in causa diversi magistrati che sin dalle prime battute avrebbero avallato le anomalie investigative, dal procuratore di Caltanissetta del tempo Giovanni Tinebra ai pm Anna Maria Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo. Questi magistrati «sono stati loro stessi autori di un processo caratterizzato da gravissime anomalie anche grossolane» ha detto Borsellino.
«Mai come oggi la ricerca della verità appare difficile, perchè mai come oggi è connessa alla ricerca delle ragioni della disonestà di chi questa verità doveva scoprirla. Io non smetto di chiederla. Il contributo di onestà non lo devono dare solo i mafiosi ma anche le persone delle istituzioni che sanno».
Nei 57 giorni che passarono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio si mossero varie forze lungo l’asse dei rapporti tra mafia e politica. Per sostenere questa tesi Fiammetta Borsellino ha citato una frase ripetuta dal padre in quei giorni: «Mafia e politica o si fanno la guerra o si mettono d’accordo». «In quei giorni – ha detto – evidentemente si misero d’accordo mentre tutti sussurravano a mio padre che il tritolo per lui era già arrivato. Lo sapeva anche il procuratore Pietro Giammanco che però non lo avvertì. Ricordo che mio padre tornò a casa sconvolto. Nessuno ha mai sentito il bisogno di sentirlo. Così come non sono stati chiesti chiarimenti al questore Mario Jovine e al questore Arnaldo La Barbera che avevano il compito di proteggere mio padre». Ora si coglie qualche cambiamento. «Vedo – ha detto – che le Procure vogliono andare fino in fondo. C’è stato anche il processo per la trattativa, che è stato un momento importante ma arriva dopo 25 anni. Non mi piace fare il tifo da stadio ma certe persone andavano cercate molto prima».
«Il 19 luglio è un giorno di rinnovato lutto. Dopo 25 anni vivremo con estrema riservatezza questo giorno. Mi auguro in una forma più familiare e intima possibile. Senza negare però alle istituzioni e a chi vorrà commemorare una forma riflessione. Vogliamo risposte concrete, tangibili, veloci. Per me purtroppo il 19 luglio è un giorno di grandi proclami ma vuoto di contenuti».
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Fiammetta Borsellino, c’è parte malata dentro istituzioni “C’è una modalità malata di esercitare il potere dentro le istituzioni, che io ho sperimentato sulla mia pelle, che va risolta. E’ stata praticata ed è praticata tutt’ora in tutti i campi nella nostra nazione. Se non ci fosse stata non sarebbe successo quello che tutti sappiamo”. Lo ha detto a Palermo Fiammetta Borsellino, figlia del giudice antimafia, Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio, che ha aggiunto: “Del resto se non c’è da parte del Csm un’assunzione di responsabilità nel voler fare luce su queste gravissime anomalie, mentre mio padre solo per aver denunciato lo smantellamento del pool antimafia è stato messo alla gogna pubblica, questo denota che c’è ancora una parte profondamente strana, malata di esercitare il potere istituzionale che provoca distruzione e morte”.