Fermiamo la strage dei suicidi in carcere. Qui ed ora… Si può!

 

Almeno 45 morti in meno di 8 mesi. l’appello: 5 interventi immediati per fermare il massacro

 

Almeno 45 morti dall’inizio dell’anno. Dopo il record di 84 suicidi in cella registrati nel 2022, la strage continua. Soltanto venerdì scorso due donne si sono tolte la vita nel carcere delle Vallette di Torino: Azzurra Campari, 28 anni, e Susan John, 42. Due tragici fatti che scuotono le coscienze e riportano all’attenzione dell’opinione pubblica un’emergenza senza fine, dai numeri al momento ancora incerti.

Per questo Il Dubbio ha deciso di rilanciare l’appello già sottoscritto lo scorso anno da numerosi scrittori, intellettuali, esponenti della politica e della giustizia. Sappiamo bene cosa si dovrebbe fare per evitare o contenere questo massacro quotidiano: depenalizzare e considerare il carcere solo come extrema ratio, moltiplicare le pene alternative, dare la possibilità al cittadino detenuto di iniziare un vero percorso di inclusione nella comunità. Chi è in custodia nelle mani dello Stato dovrebbe vivere in spazi e contesti umani che rispettino la sua dignità e i suoi diritti. Chi è in custodia dello Stato non dovrebbe togliersi la vita! Insomma, sappiamo bene, perché ne discutiamo da anni, da decenni, quali siano le strade per fermare la strage, ma la politica, quasi tutta la politica, è sorda perché sul carcere e sulla pelle dei reclusi si gioca una partita tutta ideologica che non tiene in nessun conto chi vive “dentro”, oltre quel muro che divide i “buoni” dai “cattivi”. Insomma, non c’è tempo: il massacro va fermato qui ed ora.

E allora proponiamo una serie di interventi immediati che possano dare un minimo di sollievo al disagio che i detenuti vivono nelle carceri “illegali” del nostro Paese.

1. Aumentare le telefonate per i detenuti. È sufficiente modificare il regolamento penitenziario del 2000, secondo cui ogni detenuto ( esclusi quelli che non possono comunicare con l’esterno) ha diritto a una sola telefonata a settimana, per un massimo di dieci minuti. Bisognerebbe consentire ai detenuti di chiamare tutti i giorni, o quando ne hanno desiderio, i propri cari;

2. Alzare a 75 giorni i 45 previsti a semestre per la liberazione anticipata;

3. Creare spazi da dedicare ai familiari che vogliono essere in contatto con i propri cari reclusi per valorizzare l’affettività;

4. Aumentare il personale per la salute psicofisica. In quasi tutti gli istituti vi è una grave carenza di psichiatri e psicologi;

5. Attuare al più presto, con la prospettiva di seguire il solco delle misure alternative, quella parte della riforma Cartabia che contempla la valorizzazione della giustizia riparativa e nel contempo rivitalizza le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

 


Le adesioni

  • Roberto Saviano, scrittore
  • Vittorio Feltri, giornalista
  • Gherardo Colombo, ex Magistrato
  • Francesco Greco, presidente Cnf
  • Patrizia Corona, vicepresidente Cnf
  • Luigi Manconi, sociologo
  • Gaetano Pecorella, avvocato
  • Giovanni Fiandaca, giurista
  • Massimo Cacciari, filosofo
  • Ascanio Celestini, attore
  • Fiammetta Borsellino
  • Mattia Feltri, giornalista
  • Francesca Scopelliti, Fondazione Tortora
  • Giuliano Pisapia, eurodeputato
  • Enza Bruno Bossio, già parlamentare
  • Walter Verini, commissione Giustizia Senato
  • Anna Rossomando, vicepresidente del Senato
  • Mariolina Castellone, vicepresidente del Senato
  • Pierantonio Zanettin, parlamentare
  • Riccardo Magi, parlamentare
  • Roberto Giachetti, parlamentare
  • Devis Dori, parlamentare
  • Marco Bentivogli, coordinatore Base Italia
  • Maurizio Turco, Partito Radicale
  • Rita Bernardini, presidente Di Nessuno Tocchi Caino
  • Irene Testa, Partito Radicale
  • Marco Cappato, associazione Luca Coscioni
  • Igor Boni, presidente Radicali Italiani
  • Massimiliano Iervolino, segretario Radicali Italiani
  • Giulia Crivellini, tesoriera Radicali Italiani
  • Alessandro Capriccioli, consigliere Regione Lazio + Europa/ Ri
  • Mimmo Lucano, ex Sindaco Di Riace
  • Riccardo Polidoro, osservatorio Carcere Ucpi
  • Gianpaolo Catanzariti, osservatorio Carcere Ucpi
  • Sergio Paparo, avvocato
  • Michele Passione, avvocato
  • Michael L. Giffoni, ex Ambasciatore Italiano
  • Paolo Ferrua, giurista
  • Giovanni Maria Pavarin, presidente Tribunale Di Sorveglianza Di Trieste
  • Roberto Cavalieri, garante Detenuti Emilia Romagna
  • Tommaso Greco, filosofo
  • Tullio Padovani, giurista
  • Luca Muglia, garante Detenuti Calabria
  • Samuele Ciambriello, garante Detenuti Campania
  • Ristretti Orizzonti
  • Associazione Insieme
  • Fabio Trizzino, legale Famiglia Borsellino
  • Adelmo Manna, avvocato, già Ordinario Di Diritto Penale Università Di Foggia
  • Giuseppe Rossodivita, segretario Associazione Calamandrei
  • Francesco Palazzo, emerito Di Diritto Penale
  • I Detenuti Del Carcere Di Busto Arsizio
  • Le Detenute Del Carcere Di Torino
  • I Detenuti Della Cooperativa Sociale “L’uomo E Il Legno”
  • I Detenuti Del Carcere Di Ivrea

 

14 agosto 2023


di Davide Ferrario Corriere della Sera, 16 agosto 2023

Un’inefficienza totale che ricade sull’ultimo anello della catena: i detenuti. Con doversi ostaggi della situazione: polizia penitenziaria e dirigenti. Serve un cambiamento vero, che non arriva: né da destra né da sinistra.

Un giorno il direttore del carcere di Torino, dove ho fatto il volontario per una decina d’anni, si fermò davanti a una porta in un corridoio, la aprì e mi disse: “Guarda dentro”. Lo spazio era quello di un salotto piuttosto ampio, pieno fino al soffitto di rotoli di carta igienica non confezionati. “È roba fallata che la ditta non può mettere in commercio, allora me la sono fatta dare”.

Ecco, fuori dai convegni, dai paroloni della politica e dai picchi drammatici di questi giorni, il carcere in Italia è questo: un rifiuto tra i rifiuti, dove ci si arrangia giorno per giorno. Finché l’inefficienza del tutto finisce per scaricarsi sull’anello più debole della catena: i detenuti, come dimostrano i due suicidi di venerdì proprio a Torino e, lo stesso giorno, quello di via Gleno.

Ma assieme ai prigionieri, ci sono anche gli ostaggi di questa situazione: personale e dirigenti, alcuni dei quali sono straordinari esempi di “servitori dello Stato”, come si diceva una volta. Anche se immagino che talvolta non si sentano servitori, ma veri e propri servi. Gli agenti, per esempio, sono tra i lavoratori regolari più sfruttati e sottopagati in circolazione.

Il carcere mette in cortocircuito la politica, sia di sinistra che di destra. La sinistra perché, pur essendo consapevole dei problemi (come dimostra l’intervento sulla Stampa di Giorgio Gori di due settimane fa), non ha il coraggio né la forza di andare contro un’opinione pubblica forcaiola e giustizialista. La destra perché a parole difende l’istituzione carcere in quanto tale, ma nei fatti se ne frega ampiamente, sia di chi ci langue sia di chi ci lavora, come stanno accorgendosi anche i sindacati del personale, che pure sono un naturale bacino elettorale di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e soci.

E così, a cicli periodici, si ripete la solita messa in scena: che talvolta è commedia, più spesso dramma. Intanto, in galera continua a starci gente che, come i tre suicidi di questi giorni, dovrebbe stare in un altro posto, perché il loro problema non è la violenza, ma la tossicodipendenza o il disagio sociale. Il che non significa “liberi tutti”, ma affrontare i problemi per quelli che sono. Altrimenti il carcere continuerà a essere come un ospedale dove si entra, si resta senza cure, e si viene dimessi facendo finta di essere guariti. A spese dei contribuenti.

 

 

XIX RAPPORTO SULLE CONDIZIONI DI DETENZIONE