Forse vorremmo, ma non possiamo sottrarre i nostri figli dagli aspetti peggiori della vita. Prima o poi li incontreranno e, se non li avremo affrontati prima insieme, dovranno gestire da soli qualcosa che era sempre stato loro nascosto. Una di queste cose è la mafia, un termine che sentono spesso in TV e che è oggetto di domande. Silvia Gissi, presidente dell’Associazione Peppino Impastato e Adriana Castelli di Milano ci introduce ai modi migliori affinché la mafia spiegata ai bambini e ai ragazzi possa innescare in loro un forte senso di giustizia.
Perché parlare di mafia ai bambini
“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene” era solito esortare Paolo Borsellino, magistrato ucciso a Palermo nell’attentato di via D’Amelio il 19 luglio 1992. «E diceva di parlarne soprattutto ai bambini e ai ragazzi» racconta Silvia. «Proprio la mattina in cui morì andò a parlare in una scuola, confidando agli insegnanti di essere speranzoso per il futuro perché vedeva le nuove generazioni molto più sensibili al tema». Bisogna parlare di mafia ai bambini, perché il suo vero antidoto non sono le grandi operazioni di polizia, ma una scuola e dei genitori che insegnino la legalità e la convivenza civile».
A che età parlare di mafia ai bambini?
Marisa Garofalo, sorella di Lea (testimone uccisa a Milano nel 2009) dice che non c’è età per iniziare a parlare di mafia. «Rispetto alle mafie siamo in ritardo, perché ad esempio le mamme della ‘ndrangheta già nella culla cantano ai loro figli ninne nanne sull’essere omertosi e sul diffidare della polizia. Noi invece iniziamo a parlare di mafia in seconda media. Ecco perché si deve affrontare l’argomento fin dall’asilo nido. Certo contrastare la mentalità mafiosa a questa età non lo si fa raccontando le storie di mafia, ma con favole e attività che parlano di regole e di rispetto degli altri».
Come spiegare la mafia ai bambini
La mafia non si esprime solo in grandi organizzazioni criminali e traffici illeciti, in poliziotti e arresti. L’atteggiamento mafioso può essere in ciascuno di noi, manifestandosi in piccole cose apparentemente di poco conto. «La mafia non riguarda solo le forze dell’ordine, ma interessa tutti. Cercare scorciatoie e strade “furbe”, mentire, non “fare la spia” sono tutti comportamenti disonestiche formano i cittadini di domani. Si deve imparare da subito il vivere civile, per maturare un rapporto con le regole che da grandi determinerà se si sarà o meno una persona che butta le cartacce per terra, parcheggia in divieto di sosta o che cerca una raccomandazione per trovare lavoro».
Come raccontare le figure antimafia
Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Carlo Alberto Dalla Chiesa e molti altri. Tutte vittime di mafia perché stavano svolgendo il loro lavoro e ribellandosi alla prepotenza mafiosa. «Sono storie dure, che non bisogna edulcorare ma che si possono presentare ai più piccoli attraverso graphic novel e attività. Non lezioni frontali, ma dialoghi interattiviper rispondere alla domanda “chi è Stato?” chi ha rappresentato lo Stato e ha tutelato i diritti dei cittadini. Il nostro obiettivo è far riflettere gli studenti su come siano potute accadere quelle vicende. C’è sempre qualcuno che non fa il suo dovere, che si fa corrompere, che depista le indagini. Perché lo ha fatto?».
In che modo combattere la mafia ogni giorno
Rita Atria, testimone di giustizia morta giovanissima nel 1992, nel suo tema di maturità scrisse proprio della necessità di combattere la mafia dentro ciascuno di noi. Silvia Gissi ci restituisce tre consigli.
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Esercitare lo spirito critico. Le storie di mafia non servono per insegnare un fatto storico in più ai ragazzi, ma ad allenare lo spirito critico. «Davvero le cose non potevano andare diversamente? Solo così potremo trasmettere ai più giovani che i più furbi non sono persone in gamba, ma semplicemente persone scorrette».
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Combattere l’indifferenza. Si dice che dove c’è la paura, la mafia è forte. «Pensiamo al bullismo, una forma di prepotenza e prevaricazione tipica mafiosa. Spesso si diffonde nella paura e nell’indifferenza generale. Siamo colpevoli non solo quando agiamo un reato, ma anche quando vediamo un’ingiustizia e non agiamo per paura di metterci nei guai».
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Curare il bene comune. Essere buoni cittadini non vuol dire farsi i fatti propri, ma sentirsi responsabili del bene di tutti. «Impegnarsi attivamente nasce dagli esempi che si vedono in casa e dalle alleanze educative tra scuole, famiglie e associazioni. Solidarietà e altruismo si allenano con il volontariato e curandosi del proprio territorio. Per i più piccoli potrebbe essere piantare un alberello in un terreno confiscato alla mafia. Per i più grandicelli, pensare a progetti di legalità in cui coinvolgere i coetanei».
L’intervistata
Silvia Gissi è la Presidente dell’Associazione Peppino Impastato e Adriana Castelli di Milano, nata nel 2018 dal Movimento delle Agende Rosse. Con il Movimento nazionale fondato da Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, condivide l’obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni la storia delle stragi degli anni 1992-1993 e le vicende che hanno portato alla sparizione dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino.