Salvatore Contorno, detto Totuccio nato Palermo il 28 maggio 1946 collaboratore di giustizia, Soprannominato Coriolano della Floresta (come il protagonista del romanzo I Beati Paoli) affiliato a Cosa Nostra nel 1975, nell’ottobre del 1984, seguendo l’esempio di Tommaso Buscetta, Contorno decise di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia fornendo informazioni dettagliate sugli affari interni all’associazione mafiosa. Le sue testimonianze furono cruciali nel maxiprocesso contro la mafia siciliana di Palermo e nel processo denominato Pizza connection a New York, negli anni ottanta.
L’affiliazioneNel 1975 Totuccio Contorno, ufficialmente di professione macellaio, fu iniziato alla famiglia mafiosa palermitana di Santa Maria di Gesù da Stefano Bontate, allora uno dei membri più influenti della Commissione di Cosa Nostra. Divenne prima un contrabbandiere di sigarette e poi un trafficante di eroina, assieme ai suoi cugini, i fratelli Grado che, dalla Turchia, importavano morfina, che poi veniva raffinata in eroina nei laboratori siciliani. Contorno divenne ben presto un killer della “famiglia” e uno degli uomini fidati di Bontate, fino al suo omicidio.
La seconda guerra di mafia L’omicidio di Bontate, avvenuto per mano dei corleonesi di Totò Riina nell’aprile del 1981, diede inizio alla Seconda guerra di mafia scatenata da questi ultimi contro i palermitani finalizzata allo sterminio degli uomini d’onore della famiglia di Santa Maria di Gesù. I Corleonesi e i loro alleati organizzarono con molti degli alleati di Bontate un incontro per chiarire gli eventi recenti e furono condotti alla villa di Michele Greco, dove molti furono massacrati. Contorno non partecipò all’incontro, sospettando che ci fosse qualcosa sotto e ciò gli permise di sopravvivere. Il 25 giugno di quello stesso anno, Contorno sfuggì ad uno spettacolare agguato tesogli da un commando omicida capitanato da Pino Greco, detto Scarpuzzedda e da Giuseppe Lucchese, due dei killer più sanguinari dei Corleonesi. Intercettato nel quartiere palermitano di Brancaccio, sul cavalcavia tra via Ciaculli e via Giafar, grazie al suo proverbiale sangue freddo, Contorno riuscì ad uscire incolume ai colpi di Kalashnikov, rispondendo al fuoco dei sicari ferendo uno dei suoi avversari. In macchina casualmente si trovava anche il nipote di undici anni di Contorno che venne spinto fuori dall’abitacolo subito dopo la sparatoria riuscendo così a nascondersi. Rimasto ferito in maniera lieve, dopo l’attentato Contorno venne curato dal chirurgo Sebastiano Bosio che, il 6 novembre 1981, venne poi ucciso in un attentato mafioso. Divenuto uno degli ultimi superstiti della fazione perdente, accerchiato dai nemici e inseguito dalle forze dell’ordine, Contorno decise di allontanarsi da Palermo per riparare a Roma e tentare di riorganizzare le fila e preparare la vendetta a partire dall’omicidio di Giuseppe Pippo Calò, giudicato dallo stesso Contorno responsabile dell’omicidio di Stefano Bontate. Per 220 milioni acquistò una villa a Bracciano in cui venne poi arrestato, il 23 marzo 1982. Nel suo nascondiglio, la Polizia rinvenne due auto blindate, due utilitarie, 150 kg di hashish, 2 kg di eroina, armi e pallottole di ogni calibro, 35 milioni di lire contante e alcuni documenti falsificati. L’arresto, che probabilmente gli salvò la vita, tuttavia non fermò le vendette trasversali contro di lui che proseguirono coinvolgendo molti tra suoi parenti e amici. Dopo alcuni mesi dietro le sbarre, Contorno cominciò a rivelare informazioni sull’organizzazione mafiosa divenendo una delle fonti confidenziali del Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato Antonino Ninni Cassarà che sviluppò con Contorno un rapporto diretto, coperto dallo pseudonimo di Prima Luce.
Il Maxiprocesso Durante la prima fase istruttoria del maxiprocesso di Palermo, nell’ottobre del 1984, seguendo l’esempio di Tommaso Buscetta, Contorno decise di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia. Grazie alle loro dettagliate confessioni, i giudici siciliani, riuscirono a ricostruire preziosi riscontri sugli affari interni all’associazione mafiosa che rinforzarono le accuse contro i boss e gli uomini d’onore rinviati a giudizio nell’aula bunker palermitana che vide 468 imputati alla sbarra. Nel dibattimento venne palesata la fitta trama di interessi tra mafia, finanza e politica e le connessioni con le famiglie italo-americane.Iniziato il 10 febbraio del 1986, dopo 22 mesi di dibattimento, il processo che in qualche modo cambiò il volto alla lotta alla mafia, si concluse il 16 dicembre del 1987, con 19 boss condannati all’ergastolo e 342 condanne a pene detentive, infliggendo il primo duro colpo a Cosa Nostra. Grazie al suo pentimento, Contorno ricevette uno sconto di pena e fu condannato, per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti, a 5 anni e 6 mesi di detenzione.
Gli altri arresti Inserito nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia, nell’aprile del 1994 scampa da un altro attentato dei nemici corleonesi che, vicino alla sua villa di Formello, nella campagna romana, nascondono settanta chili di esplosivo, rinvenuto poi dalle forze dell’ordine. Nel mese di gennaio del 1997 viene nuovamente arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti, nei pressi del Villaggio Olimpico di Roma e condannato a sei anni. Il 3 dicembre 2004 viene ancora una volta arrestato per estorsione.
CONTORNO, DA PENTITO A VENDICATORE Con i 700 dollari intascati per l’ ultima consulenza all’ Fbi aveva acquistato un fucile a pompa. Questo è l’ unico amico che mi è rimasto, mi servirà poco comunque, mi faranno fuori lo stesso, raccontava un paio di mesi fa in un segreto ufficio di New York al giudice Falcone. Negli Usa viveva da quattro anni, protetto dagli agenti federali, sorvegliato giorno e notte da un esercito che se lo è incredibilmente lasciato sfuggire. Salvatore Contorno, killer numero uno della vecchia mafia sterminata nella guerra dei primi anni ‘ 80, è stato arrestato ieri alle quattro e trenta del mattino in una campagna sotto il castello di San Nicola L’ Arena, 30 chilometri da Palermo, 30 chilometri di fuoco dove si è scatenato l’ ultimo scontro tra le cosche siciliane. La clamorosa cattura di Totuccio Contorno sembra stata casuale, così almeno dicono gli investigatori della squadra mobile che nella notte avevano preparato una trappola per altri 10 boss latitanti. Un blitz con sorpresa finale: hanno trovato il superpentito in Sicilia, l’ hanno trovato in compagnia di un paio di ricercati a guidare molto probabilmente la controffensiva armata al clan dei corleonesi. La notizia del suo arresto è filtrata a tarda sera, dopo un prolungato e comprensibile riserbo: i poliziotti volevano essere sicuri che quell’ uomo fosse proprio Coriolano della Floresta. Una giornata lunghissima cominciata all’ alba, quando una trentina di funzionari della mobile e della Criminalpol circondano una villa tra il mare e la rupe di San Nicola. Cercano Gaetano Grado, un trafficante della vecchia guardia amico di Gaetano Badalamenti e cugino di Contorno. Si avvicinano alla villa, strisciano tra le siepi, sono sicuri che l’ ha dentro c’ è il boss con la sua amica Santina. E’ una soffiata buona, vanno a colpo sicuro. Un poliziotto sfonda la porta, altri due entrano in una stanza con i mitra spianati. Il mafioso Gaetano Grado sta dormendo. Si sveglia con un 7,65 puntata alla tempia. Dalla finestra i poliziotti vedono fuggire qualcuno tra i campi. Inseguitelo, state attenti, sicuramente è armato… una corsa breve, fino ad una stradina ripida che scende verso il mare. L’ uomo si volta, gli investigatori restano paralizzati dalla sorpresa. E’ Totuccio Contorno, è il superpentito che tutti credono in qualche angolo degli States per sfuggire ai nemici Corleonesi che lo vogliono morto. Sì, sono io, ero in America e adesso sono qua, sono venuto a trovare mio cugino Tano, Gaetano Grado, quello che avete preso là dentro. Là dentro c’ erano anche fucili e pistole, divise di carabiniere, ricetrasmittenti. Una base operativa, un covo dove probabilmente sono partiti in queste ultime settimane molti ordini di morte. Là dentro c’ era il regista della guerra a colpi di lupara che si combatte da 60 giorni tra Bagheria e Palermo. E’ così? Questo non lo possiamo dire con certezza perché non abbiamo prove, la presenza di Contorno ci ha comunque sorpresi non poco, risponde il capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, un investigatore che parla poco ma che in compenso sembra conoscere bene il suo mestiere. E’ stata davvero una sorpresa? O lo cercavate? Inutile insistere, i poliziotti non lo diranno mai. Torniamo alle 4,30 del mattino. Salvatore Contorno è disarmato, un agente gli infila le manette ai polsi e lo spinge verso la villa. Quando entra sente cosa dice suo cugino Gaetano Grado ai poliziotti: Fatemi solo un favore, solo uno, non portatemi all’ Ucciardone perché là mi ammazzano come un cane rabbioso. Un istante dopo lo informano che hanno arrestato in un paesino della Sardegna, a Selargius, anche suo fratello Salvatore. Tutti e due cinque anni se la facevano con Gaetano Badalamenti tra Alicante e Benindorm, sulla Costa Brava. Riciclavano nell’ edilizia i soldi dell’ eroina di don Tano. Contro il pentito Contorno è stata formulata un’ accusa di favoreggiamento personale. Sì spiegano gli investigatori noi non sapevamo che fosse lì, favoreggiamento perché stava con un latitante. Tutti gli altri sono stati accusati invece di associazione a delinquere. Tutti gli altri sono sette mafiosi semisconosciuti, tre legati ai Grado, quattro ai Corleonesi. Ma com’ è arrivato Totuccio Contorno in Sicilia? Come è entrato in Italia? Quando? Voci incontrollate spiegano che sarebbe in zona da una quindicina di giorni. Nessuno conferma, nessuno sa nulla di preciso. Il pentito se n’ era andato quattro anni fa. Allora tutti lo conoscevano come Prima Luce, il primo che canta, il primo che rivela i segreti di Cosa Nostra. Da quattro anni collaborava con il centro nazionale della Criminalpol e qualche soldo lo prendeva pure dall’ Fbi. Si teneva aggiornato sulla situazione a Palermo attraverso i fili del telefono. Un paio di cugini che sentivano la sua voce anche tre volte al giorno sono stati ammazzati. Prima o poi quell’ infame di Michele Greco me la pagherà, ripeteva ai giudici che lo interrogavano e ai giornalisti che lo intervistavano. Il suo chiodo fisso: tornare a Palermo per vendicarsi di chi in meno di sei mesi gli aveva sterminato non solo la famiglia, ma anche una trentina di parenti, i vicini di casa che davano ospitalità alla moglie incinta, gli zii o i cognati che avrebbero potuto aiutarlo in qualche modo. Giudice, a Palermo scoppierà una guerra senza precedenti a primavera, farà caldo, molto caldo…, aveva annunciato al presidente di una corte di assise sbarcata a New York per ascoltarlo. Negli Usa era quasi un libero cittadino, in Italia un pregiudicato in libertà provvisoria con una condanna a sei anni di reclusione al primo maxi-processo. Una condanna mite per la cantata di un mafioso che mai, nemmeno per un momento, ha rinnegato di essere un uomo d’ onore. Loro no accusava parlando dei Corleonesi loro l’ onore l’ hanno perso. di ATTILIO BOLZONI27 maggio 1989 La Repubblica
Pentito Contorno: “Con lo Stato peggio che con la mafia” 27/09/2019 19:03 di Elvira Terranova La Repubblica “Comincio dagli Stati Uniti. Lì mi veniva dato uno stipendio mensile di 1.300 dollari, ma dal mese di ottobre questo contributo mi sarebbe stato tolto. All’epoca abitavo in un appartamento, dove pagavo 550 dollari al mese e quando mi è stato comunicato che non avrei più ricevuto il mensile ho deciso di lasciare l’appartamento, perché non avrei avuto i soldi per continuare a pagarlo, e venire in Italia”. Inizia così il racconto del pentito Salvatore ‘Totuccio’ Contorno davanti alla Commissione nazionale antimafia della X Legislatura. E’ il 9 agosto 1989 e il collaboratore di giustizia racconta la sua vicenda, all’epoca in cui era negli Stati Uniti, ai deputati dell’Antimafia. Contorno, ex mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo, dopo la collaborazione con la giustizia di Tommaso Buscetta cominciò a raccontare ai magistrati di Palermo i retroscena della mafia. Anche nell’ambito della indagine sulla pizza connection coordinata da Giovanni Falcone. Nel 1988 Contorno, che era sotto protezione, tornò in gran segreto a Palermo e si vendicò dei boss corleonesi, una vicenda con molti punti oscuri. Poi, nel 1989 venne nuovamente arrestato. Di recente il ruolo di Totuccio Contorno è stato interpretato dall’attore palermitano Luigi Lo Cascio nel film ‘Il Traditore’ di Marco Bellocchio, in corsa agli Oscar. “In America avevo persino trovato un lavoro in un mattatoio, ma dopo cinque giorni sono stato costretto a lasciarlo a causa di una artrosi cervicale. Quindi non potevo lavorare, non ricevevo più il contributo dallo Stato, non avevo più soldi per vivere e per pagare l’appartamento, a quel punto o andavo a rubare o chiedevo beneficenza allo Stato visto che mi ero dissociato dalla mafia. Invece devo dire che mi sono trovato peggio che con la mafia. Sono rientrato in Italia e mi sono rivolto alla Criminalpol e all’Alto commissario Sica – dice ancora Contorno -. A loro ho esposto i miei problemi, spiegando la mia situazione finanziaria e il fatto che io e la mia famiglia non sapevamo come sopravvivere. Ma non ho ricevuto niente da nessuno né in America né in Italia. E ora, dopo tutti i benefici che ha avuto lo Stato, mi ritrovo in carcere a Sollicciano, praticamente sepolto vivo in una camera blindata, sorvegliato a vista 24 ore su 24. Ma per che cosa? Vorrei sapere per quale motivo mi trovo in carcere”. “Vorrei farvi vedere le condizioni in cui mi trovo. E’ quasi un mese e mezzo che non riesco ad andare in bagno perché c’è sempre qualcuno che mi sorveglia, dicono che lo fanno per la mia sicurezza. Mi trovo in carcere con l’accusa di associazione a delinquere. A questo punto mi domando con chi mi sono associato, con lo Stato o di nuovo con la mafia?”, dice Contorno particolarmente adirato rivolgendosi ai parlamentari che lo ascoltano. “Tenete presente che quando una persona si dissocia dalla mafia non può più rientrare nella organizzazione, io ormai sono destinato a morire. Venti giorni fa mi hanno ucciso uno zio e un cugino, ora vorrei sapere cos’altro volete da me’. Una volta mi si dice che mi sono associato allo Stato, un’altra volta che faccio complotti e che commetto omicidi”. E poi aggiunge: “Sono andato a Palermo perché non sapevo più come sfamarmi e l’unica persona che mi era rimasta in questo paese era mio cugino, perché gli altri parenti sono sparsi per il mondo e di loro non ho più notizie”. “Ho fatto parte dello Stato, ma precedentemente, ho fatto parte anche del l’antistato. Le cose però sono cambiate: è mutata la mentalità, è stata introdotta la droga. Ho deciso quindi di cambiare io visto che le cose non erano più le stesse: i fatti, dal momento che io ero entrato a far parte di quell’organizzazione, erano mutati. Ho pensato perciò di aiutare lo Stato per liberarmi dalla mafia, soprattutto in considerazione dei loro ragionamenti e delle loro azioni”. “Volevo fare qualcosa per il dottor Sica o per chiunque altro, ma avevo bisogno di tempo – dice -La mia vita non si svolgeva più a Palermo, non avevo più la libertà di cui potevo disporre prima, non potevo più muovermi liberamente. Dovevo cercare attentamente se veramente volevo fare qualcosa, cioè se volevo conosce re le ultime novità”.
“CHI TRADISCE MUORE” – “Mi aspettavo un aiuto, volevo un lavoro, speravo di cambiare il nome. Lo Stato non mi ha dato niente in beneficenza. Io ho avuto una condanna di 6 anni a Palermo e ho fatto 6 anni e mezzo di carcere. Io non ho mai avuto beneficenza. Io vi posso precisare che a Palermo i migliori mafiosi facendo 6 mesi o un anno di carcere sono poi usciti tutti fuori; io facendo quasi 5 anni di carcere, dal 1982 fino novembre (quando mi hanno notificato la decorrenza dei termini in America), dopo aver fatto tanti di quegli anni sono uscito per decorrenza dei termini”. E’ il 9 agosto 1989 e il collaboratore poi riarrestato si lamenta del trattamento ricevuto. “Ora mi ritrovo di nuovo in carcere, per associazione. Allora non so se posso dirlo . dice ai deputati – voi la mafia l’avete proprio capito come è istruita e come è preparata? Voi sapete cosa significa la mafia? Se uno esce fuori dalla mafia non può più rientrarvi; quando qualcuno fa il giuramento ed entra a far parte della mafia, se tradisce deve morire”. “Rivolgendosi alla Criminalpol e poi al dottor Sica, lei ha ricevuto qualche appoggio?”. “Appoggio? Si, quello di trovarmi a Sollicciano, in una camera blindata, praticamente sepolto vivo da due mesi e nove giorni”. “Però la sua famiglia è protetta”. “Protetta da chi?”. “Dallo Stato”. E’ il botta e risposta andato in scena a Palazzo San Macuto il 9 agosto 1989 tra il pentito di mafia Salvatore Totuccio Contorno e il deputato Azzaro della Commissione nazionale antimafia. Contorno era tornato da poco in Italia ed era stato arrestato e detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano. “Quando hanno ucciso mio cognato a Palermo, i giornalisti sono venuti fin sotto casa mia. E’ chiaro che sapevano dove è la mia casa, lo hanno anche pubblicato. La mia famiglia abita ancora in quella casa, e lo conoscono tutti l’indirizzo”. “Quindi di quale protezione gode la mia famiglia? Ho parlato anche con il dottor Sica, ho chiesto di cambiare casa. Ma mi è stato risposto “Vediamo””. E quando il deputato Azzaro gli chiede: “Cambiare casa, ma sempre a Palermo?”, Contorno va su tutte le furie e replica: “Che c’entra Palermo? Caso mai in un’altra città o paese d Italia o del mondo. Ho un ragazzo di 14 anni che per quattro anni ha seguito gli studi in lingua inglese in America. Ora che siamo in Italia però non posso fargli continuare gli studi a pagamento perché non ho più soldi. Questo ragazzo porta ancora il nome Contorno Antonino, dove può andare con questo nome?. Ha ormai 14 anni, cioè ha già l’età per essere ammazzato”.
“Se lo Stato in Italia fosse presente la gente aiuterebbe lo Stato: la gente vede che lo Stato è assente per cui se qualcuno assiste ad un omicidio, un furto o qualsiasi altra cosa se ne va dentro. Se, invece, lo Stato fosse presente qualcuno potrebbe dire di aver assistito ad un fatto (per esempio una macchina rubata, un tizio che passava, un latitante). Qualche persona ancora ci sarebbe per dire queste cose; ma lo Stato è assente e vedendo come hanno trattato me e Buscetta (abbandonati dallo Stato) chi potrebbe più collaborare con lo Stato”. “Io prima sono servito allo Stato italiano e poi sono stato abbandonato, mi hanno trattato come una pedina quando si gioca a dama. L’italiano prima mi ha avuto in Italia poi dall’Italia sono passato a Pizza connection, hanno finito i fatti loro e mi hanno abbandonato”. Il deputato Salvo Andò gli chiede: “Può dirci le persone con le quali lei si è lamentato?”. E il collaboratore replica: “Io mi sono lamentato con i magistrati. Quando li ho visti. Li ho sempre fatto notare la fine che avevo fatto. Con i diversi magistrati che ho incontrato, quando venivano per l’interrogatorio e volevano sapere i fatti. Allora gli ho chiesto: “Voi venite da me, ma che cosa volete sapere? Voi volete sapere i fatti e poi, quando riempite il verbale lo firmate e ve ne andate. Dopo Contorno rimane in carcere o buttato in mezzo a una strada”. “Non me la sento più di collaborare con lo Stato perché, in queste condizioni, mi sento abbandonato. Questo discorso non l’ho fatto soltanto a un singolo magistrato ma a diversi magistrati”. “Su due piedi posso dire che una volta sono L’anti- Stato e un’altra sono un killer” aggiunge il pentito Contorno. “Non sono mai stato imputato di omicidio, ora sono stato definito il killer dello Stato, ma sono tutte barzellette. Non ho mai avuto un’imputazione per omicidio”, dice ai deputati.
“I LATITANTI GIRANO A PALERMO E FANNO I PROPRI COMODI” – “I latitanti stanno a Palermo, girano, fanno i propri comodi ed i propri traffici. Non penso che non ci si potrebbe arrivare: si arriverebbe, però ci vuole un aiuto perché la persona della borgata può vedere e può sapere”. “Io posso arrivarci, però ci vuole una copertura, una sopravvivenza. Perchè Enrico Laccico non è latitante…”, dice. E poi aggiunge: “Persone pulite ve ne sono, persone oneste a Palermo e in tutto il mondo. A Palermo ve ne sono tante, però vedono le assenze dello Stato e le nostre condizioni. Vedono che i parenti di Contorno sono stati uccisi. Allora la gente si ritira e poi quale colpa gli vogliamo dare?”. “Io vi posso dire che Riina e Provenzano adesso hanno delle zone fisse, che sono le zone di San Lorenzo, di Sottana, di Altofonte. Queste zone sono tranquillissime: c’è una caserma di Carabinieri con soltanto 4 carabinieri. Il maresciallo e qualcun altro li vede ma fa finta di niente non perché non li vuole arrestare ma perché ha paura. Hanno ragione ed io non gliene faccio una colpa”. Riina verrà arrestato quattro anni dopo, il 15 gennaio 1993, mentre Provenzano nell’aprile 2006. “Andate a fare una perquisizione in tutte quelle ville A San Lorenzo e vediamo chi viene fuori. Le migliori ville di quella zona con piscine…”, dice. E quando il deputato Azzaro gli chiede: “A chi appartengono queste ville?”, Contorno replica: “C’è Pippo Gambino, Salvatore Riina, c’è Provenzano. Questi hanno tutti una villa. Non è che possiamo arrivare là e trovare il nome “Salvatore Riina” in una villa perché non risultano neanche i figli”. E aggiunge: “Sono protetti dalla popolazione e protetti dallo Stato”.
“BUSCETTA ABBANDONATO COME ME”– “Se voi vi impegnate , tra me e Buscetta, Buscetta domani mattina piò venire pure qua. Però ci deve essere un particolare: Buscetta ha la sua età, conosce …C’è tanta gente che dalla mafia è stata accantonata, posata. Potrebbero nascere tante cose. Ma come possono nascere le cose, così, al vento? Si potrebbero fare tante di quelle cose. Noi però, vogliamo aiuto e un supporto da voi e dallo Stato. Così si farebbero tante cose in Italia”. “Buscetta è sopravvissuto qualche giorno più di me perché penso che stava peggio di me. Buscetta ha superato la sopravvivenza più lunga della mia perché ha fatto un libro, un giornale ed ha preso un po’ di soldi. Ma ha una famiglia numerosa. Lui è stato abbandonato ormai, come sono stato abbandonato io”. “Ma la.moglie non sta bene…”, dice un deputato. E Contorno aggiunge: “La moglie era una morta di fame. Tutte queste cose che dicono i giornali: proprietà, ricchezze; ma quali ricchezze! Io ho conosciuto tutta la sua famiglia e posso dire: ma quali ricchezza. Se non aveva lo stipendio non poteva pagare la macchina noleggiata e la benzina a credito in America. Ma quali ricchezze? Sono fantasie!”.
“MICHELE GRECO E’ UN GRANDE INFAMONE”– “Michele Greco è un grande ‘infamone’ perché, non so se l’avete letto, l’ho pubblicato sui giornali, suo padre era un infame. Ho portato fuori questa storia proprio per far capire a tanta gente le cose che non sanno, perché ci sono degli atti che parlano e sarebbe bello poterli pubblicare e la gente, la gioventù di oggi potrebbe sapere che Michele Greco è il figlio di un infame. Diciamo infame nel termine proprio di Cosa Nostra”. L’allora deputato Luciano Violante gli chiede: “Mi spiega che cosa vuol dire?”, lui replica: “Secondo Cosa Nostra, quando uno ha una sorella che ha fatto qualche brutta cosa nella gioventù, o la madre, o un fratello ha fatto una denuncia perché gli hanno rubato la bicicletta, o la macchina, in Cosa Nostra, in quei tempi, quando ci sono entrato io, non si poteva entrare. Ora la storia di Michele Greco ho voluto pubblicarla sui giornali per farla conoscere al pubblico e alla gioventù che si appoggiava a Michele Greco come personaggio importante, che suo padre era un infame e che lui era figlio di un infame, perché negli anni ’50 successe una lite fra i Greco di Ciaculli e i Greco di Croceverde Giardino. In questa lite ci scappò un morto il fratello di Michele Greco”. “Il fratello di Michele Greco è stato ammazzato da un suo compagno, non sono i Greco di Ciaculli a ucciderlo – continua Salvatore Contorno -. Un compagno del fratello di Michele Greco ha preso la pistola ed ha sparato ai Greco di Ciaculli, ma non li ha colpiti ed ha colpito il fratello di Michele Greco. Giuseppe Greco, ‘u piddu teniente’, padre di Michele Greco, si costituì parte civile, facendo prendere a quattro persone, un certo Paolino Greco, un certo Salvatore Di Pace ed altri due di cui non ricordo il nome, ben 120 anni di carcere. Un personaggio di grande importanza e rilievo, un mafioso, non doveva fare una cosa del genere”.
“PROVENZANO DETTO IL PROFESSORE” – Bernardo Provenzano negli anni Ottanta veniva chiamato “il Professore“. “Lo chiamavano il professore, ma in realtà era un contadino. E’ uno che le cose le fa, non ha paura di nessuno. Lo chiamavano il professore perché quando è venuto in città dalla campagna ha cominciato ad usare camicie di seta e bei vestiti”, dice. E quando il deputato Luciano Violante gli chiede: “E’ vero che Provenzano, approfittando di questo suo modo di presentarsi, è entrato in contatto anche con delle autorità?”. Contorno svicola la domanda e replica: “Voi pensate ancora di poter combattere la mafia? Da quello che succede oggi credo che non riuscirete mai ad abbatterla. E’ da un bel pezzo che so di mafia e queste cose ve le posso dire francamente”. “Io le ho chiesto di Provenzano”, incalza Violante. “Scusi se divago un po’ – spiega Contorno – ma vorrei avere a disposizione molto tempo per parlare con voi. Sono onorato ed ho piacere di essere qui con voi, però non è possibile dire in così poco tempo tutto quello che so e quello che provo. Oggi sono piuttosto stanco perché non dormo da due giorni, però mi piacerebbe avere più tempo a disposizione per parlare con voi”. E Violante: “Le chiedo scusa per la mia insistenza. Le risulta che Provenzano sia mai entrato in contatto con delle autorità, dei rappresentanti di istituti od enti pubblici, approfittando di questo suo modo di presentarsi?”. “Non glielo saprei dire. Provenzano prima era dalla parte dei liggiani, ma ora che Luciano Liggio è in carcere è stato sottomesso, perché in Sicilia in quasi nessuna famiglia di Cosa nostra esistono due rappresentanti, l’unica famiglia dove ve ne sono due è quella dei corleonesi”. E aggiunge: “Scusi se torno indietro, su altre questioni. Non ho parlato di tante cose perché ho visto che lo Stato mi ha abbandonato al momento opportuno, ha abbandonato sia me che Buscetta. Non vi sono stati né provvedimenti di legge né aiuti. Perché devo finire come quell’altro collaboratore dello Stato, per un processo di Palermo, che prima apparteneva a Cosa nostra (alla famiglia di Pippo Calò), poi è finito in manicomio e dopo che è stato assolto lo hanno ucciso”. “lo e Buscetta siamo gli ultimi rimasti. Ne avremmo molte di cose da dire, ma non in questo modo, abbandonati dallo Stato e chiusi in una cella e sorvegliati a vista. Questo significa dare sicurezza? Ma la sicurezza si può dare in altri modi, perché questo è solo un modo per diventare pazzi”.
Mafia, desecretati gli atti relativi alle audizioni del pentito Salvatore Contorno“Quel che viene fuori in modo drammatico – spiega il pm Tartaglia – è quanto la vicenda Contorno venne usata strumentalmente per isolare Falcone e per colpire investigatori come Gianni De Gennaro che avevano mostrato particolare bravura pur tra mille oggettive difficoltà” di F. Q. | 27 SETTEMBRE 2019 La Commissione antimafia ha desecretato e pubblicato sul suo sito tutti gli atti relativi alle audizioni rese dal pentito Salvatore Totuccio Contorno – il secondo pentito più importante della storia di Cosa nostra dopo Tommaso Buscetta – a Palazzo San Macuto durante la X Legislatura. Contorno, affiliato mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo, nel 1984 decise di seguire l’esempio di Buscetta e cominciò a collaborare. Le sue dichiarazioni entrarono nel maxiprocesso nell’inchiesta Pizza Connection. Sottoposto a programma di protezione negli Stati Uniti, nel novembre 1988, Totuccio Contorno fece segretamente ritorno a Palermo, dove in quel momento imperversava una guerra di mafia, proprio contro i suoi ‘nemici’ corleonesi. “Il suo arresto, eseguito a Palermo nel maggio 1989, destò grande scalpore nell’opinione pubblica, a causa della sorpresa per la sua presenza a Palermo in un momento rilevante per gli equilibri di riorganizzazione di Cosa Nostra – scrive la commissione Antimafia – Peraltro, non mancò chi, con il ricorso a lettere anonime, tentò di colpire lo strumento della gestione dei collaboratori di giustizia, nonché i magistrati e gli inquirenti in quel momento più esposti sul fronte dell’azione di repressione: fu quella la stagione del ‘Corvo’”.
Contorno, pubblicate le audizioni: “I latitanti girano a Palermo e fanno i propri comodi” 27 settembre 2019 La Commissione antimafia ha desecretato tutti gli atti relativi al pentito che decise di seguire l’esempio di Tommaso Buscetta e iniziò una fondamentale collaborazione con l’autorità giudiziaria “Comincio dagli Stati Uniti. Lì mi veniva dato uno stipendio mensile di 1.300 dollari, ma dal mese di ottobre questo contributo mi sarebbe stato tolto. All’epoca abitavo in un appartamento, dove pagavo 550 dollari al mese e quando mi è stato comunicato che non avrei più ricevuto il mensile ho deciso di lasciare l’appartamento, perché non avrei avuto i soldi per continuare a pagarlo, e venire in Italia”. Inizia così il racconto del pentito Salvatore ‘Totuccio’ Contorno davanti alla Commissione nazionale antimafia della X Legislatura. E’ il 9 agosto 1989 e il collaboratore di giustizia racconta la sua vicenda, all’epoca in cui era negli Stati Uniti, ai deputati dell’Antimafia. Contorno, ex mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo, dopo la collaborazione con la giustizia di Tommaso Buscetta cominciò a raccontare ai magistrati di Palermo i retroscena della mafia. Anche nell’ambito della indagine sulla pizza connection coordinata da Giovanni Falcone. Nel 1988 Contorno, che era sotto protezione, tornò in gran segreto a Palermo e si vendicò dei boss corleonesi, una vicenda con molti punti oscuri. Poi, nel 1989 venne nuovamente arrestato. Di recente il ruolo di Totuccio Contorno è stato interpretato dall’attore palermitano Luigi Lo Cascio nel film ‘Il Traditore’ di Marco Bellocchio, in corsa agli Oscar. “In America avevo persino trovato un lavoro in un mattatoio, ma dopo cinque giorni sono stato costretto a lasciarlo a causa di una artrosi cervicale. Quindi non potevo lavorare, non ricevevo più il contributo dallo Stato, non avevo più soldi per vivere e per pagare l’appartamento, a quel punto o andavo a rubare o chiedevo beneficenza allo Stato visto che mi ero dissociato dalla mafia. Invece devo dire che mi sono trovato peggio che con la mafia. Sono rientrato in Italia e mi sono rivolto alla Criminalpol e all’Alto commissario Sica – dice ancora Contorno -. A loro ho esposto i miei problemi, spiegando la mia situazione finanziaria e il fatto che io e la mia famiglia non sapevamo come sopravvivere. Ma non ho ricevuto niente da nessuno né in America né in Italia. E ora, dopo tutti i benefici che ha avuto lo Stato, mi ritrovo in carcere a Sollicciano, praticamente sepolto vivo in una camera blindata, sorvegliato a vista 24 ore su 24. Ma per che cosa? Vorrei sapere per quale motivo mi trovo in carcere”. “Vorrei farvi vedere le condizioni in cui mi trovo. E’ quasi un mese e mezzo che non riesco ad andare in bagno perché c’è sempre qualcuno che mi sorveglia, dicono che lo fanno per la mia sicurezza. Mi trovo in carcere con l’accusa di associazione a delinquere. A questo punto mi domando con chi mi sono associato, con lo Stato o di nuovo con la mafia?”, dice Contorno particolarmente adirato rivolgendosi ai parlamentari che lo ascoltano. “Tenete presente che quando una persona si dissocia dalla mafia non può più rientrare nella organizzazione, io ormai sono destinato a morire. Venti giorni fa mi hanno ucciso uno zio e un cugino, ora vorrei sapere cos’altro volete da me’. Una volta mi si dice che mi sono associato allo Stato, un’altra volta che faccio complotti e che commetto omicidi”. E poi aggiunge: “Sono andato a Palermo perché non sapevo più come sfamarmi e l’unica persona che mi era rimasta in questo paese era mio cugino, perché gli altri parenti sono sparsi per il mondo e di loro non ho più notizie”. “Ho fatto parte dello Stato, ma precedentemente, ho fatto parte anche del l’antistato. Le cose però sono cambiate: è mutata la mentalità, è stata introdotta la droga. Ho deciso quindi di cambiare io visto che le cose non erano più le stesse: i fatti, dal momento che io ero entrato a far parte di quell’organizzazione, erano mutati. Ho pensato perciò di aiutare lo Stato per liberarmi dalla mafia, soprattutto in considerazione dei loro ragionamenti e delle loro azioni”. “Volevo fare qualcosa per il dottor Sica o per chiunque altro, ma avevo bisogno di tempo – dice -La mia vita non si svolgeva più a Palermo, non avevo più la libertà di cui potevo disporre prima, non potevo più muovermi liberamente. Dovevo cercare attentamente se veramente volevo fare qualcosa, cioè se volevo conosce re le ultime novità”.
“CHI TRADISCE MUORE” – “Mi aspettavo un aiuto, volevo un lavoro, speravo di cambiare il nome. Lo Stato non mi ha dato niente in beneficenza. Io ho avuto una condanna di 6 anni a Palermo e ho fatto 6 anni e mezzo di carcere. Io non ho mai avuto beneficenza. Io vi posso precisare che a Palermo i migliori mafiosi facendo 6 mesi o un anno di carcere sono poi usciti tutti fuori; io facendo quasi 5 anni di carcere, dal 1982 fino novembre (quando mi hanno notificato la decorrenza dei termini in America), dopo aver fatto tanti di quegli anni sono uscito per decorrenza dei termini”. E’ il 9 agosto 1989 e il collaboratore poi riarrestato si lamenta del trattamento ricevuto. “Ora mi ritrovo di nuovo in carcere, per associazione. Allora non so se posso dirlo . dice ai deputati – voi la mafia l’avete proprio capito come è istruita e come è preparata? Voi sapete cosa significa la mafia? Se uno esce fuori dalla mafia non può più rientrarvi; quando qualcuno fa il giuramento ed entra a far parte della mafia, se tradisce deve morire”. “Rivolgendosi alla Criminalpol e poi al dottor Sica, lei ha ricevuto qualche appoggio?”. “Appoggio? Si, quello di trovarmi a Sollicciano, in una camera blindata, praticamente sepolto vivo da due mesi e nove giorni”. “Però la sua famiglia è protetta”. “Protetta da chi?”. “Dallo Stato”. E’ il botta e risposta andato in scena a Palazzo San Macuto il 9 agosto 1989 tra il pentito di mafia Salvatore Totuccio Contorno e il deputato Azzaro della Commissione nazionale antimafia. Contorno era tornato da poco in Italia ed era stato arrestato e detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano. “Quando hanno ucciso mio cognato a Palermo, i giornalisti sono venuti fin sotto casa mia. E’ chiaro che sapevano dove è la mia casa, lo hanno anche pubblicato. La mia famiglia abita ancora in quella casa, e lo conoscono tutti l’indirizzo”. “Quindi di quale protezione gode la mia famiglia? Ho parlato anche con il dottor Sica, ho chiesto di cambiare casa. Ma mi è stato risposto “Vediamo””. E quando il deputato Azzaro gli chiede: “Cambiare casa, ma sempre a Palermo?”, Contorno va su tutte le furie e replica: “Che c’entra Palermo? Caso mai in un’altra città o paese d Italia o del mondo. Ho un ragazzo di 14 anni che per quattro anni ha seguito gli studi in lingua inglese in America. Ora che siamo in Italia però non posso fargli continuare gli studi a pagamento perché non ho più soldi. Questo ragazzo porta ancora il nome Contorno Antonino, dove può andare con questo nome?. Ha ormai 14 anni, cioè ha già l’età per essere ammazzato”. “Se lo Stato in Italia fosse presente la gente aiuterebbe lo Stato: la gente vede che lo Stato è assente per cui se qualcuno assiste ad un omicidio, un furto o qualsiasi altra cosa se ne va dentro. Se, invece, lo Stato fosse presente qualcuno potrebbe dire di aver assistito ad un fatto (per esempio una macchina rubata, un tizio che passava, un latitante). Qualche persona ancora ci sarebbe per dire queste cose; ma lo Stato è assente e vedendo come hanno trattato me e Buscetta (abbandonati dallo Stato) chi potrebbe più collaborare con lo Stato”. “Io prima sono servito allo Stato italiano e poi sono stato abbandonato, mi hanno trattato come una pedina quando si gioca a dama. L’italiano prima mi ha avuto in Italia poi dall’Italia sono passato a Pizza connection, hanno finito i fatti loro e mi hanno abbandonato”. Il deputato Salvo Andò gli chiede: “Può dirci le persone con le quali lei si è lamentato?”. E il collaboratore replica: “Io mi sono lamentato con i magistrati. Quando li ho visti. Li ho sempre fatto notare la fine che avevo fatto. Con i diversi magistrati che ho incontrato, quando venivano per l’interrogatorio e volevano sapere i fatti. Allora gli ho chiesto: “Voi venite da me, ma che cosa volete sapere? Voi volete sapere i fatti e poi, quando riempite il verbale lo firmate e ve ne andate. Dopo Contorno rimane in carcere o buttato in mezzo a una strada”. “Non me la sento più di collaborare con lo Stato perché, in queste condizioni, mi sento abbandonato. Questo discorso non l’ho fatto soltanto a un singolo magistrato ma a diversi magistrati”. “Su due piedi posso dire che una volta sono L’anti- Stato e un’altra sono un killer” aggiunge il pentito Contorno. “Non sono mai stato imputato di omicidio, ora sono stato definito il killer dello Stato, ma sono tutte barzellette. Non ho mai avuto un’imputazione per omicidio”, dice ai deputati.
“I LATITANTI GIRANO A PALERMO E FANNO I PROPRI COMODI” – “I latitanti stanno a Palermo, girano, fanno i propri comodi ed i propri traffici. Non penso che non ci si potrebbe arrivare: si arriverebbe, però ci vuole un aiuto perché la persona della borgata può vedere e può sapere”. “Io posso arrivarci, però ci vuole una copertura, una sopravvivenza. Perchè Enrico Laccico non è latitante…”, dice. E poi aggiunge: “Persone pulite ve ne sono, persone oneste a Palermo e in tutto il mondo. A Palermo ve ne sono tante, però vedono le assenze dello Stato e le nostre condizioni. Vedono che i parenti di Contorno sono stati uccisi. Allora la gente si ritira e poi quale colpa gli vogliamo dare?”.
“BUSCETTA ABBANDONATO COME ME” – “Se voi vi impegnate , tra me e Buscetta, Buscetta domani mattina piò venire pure qua. Però ci deve essere un particolare: Buscetta ha la sua età, conosce …C’è tanta gente che dalla mafia è stata accantonata, posata. Potrebbero nascere tante cose. Ma come possono nascere le cose, così, al vento? Si potrebbero fare tante di quelle cose. Noi però, vogliamo aiuto e un supporto da voi e dallo Stato. Così si farebbero tante cose in Italia”. “Buscetta è sopravvissuto qualche giorno più di me perché penso che stava peggio di me. Buscetta ha superato la sopravvivenza più lunga della mia perché ha fatto un libro, un giornale ed ha preso un po’ di soldi. Ma ha una famiglia numerosa. Lui è stato abbandonato ormai, come sono stato abbandonato io”. “Ma la.moglie non sta bene…”, dice un deputato. E Contorno aggiunge: “La moglie era una morta di fame. Tutte queste cose che dicono i giornali: proprietà, ricchezze; ma quali ricchezze! Io ho conosciuto tutta la sua famiglia e posso dire: ma quali ricchezza. Se non aveva lo stipendio non poteva pagare la macchina noleggiata e la benzina a credito in America. Ma quali ricchezze? Sono fantasie!”.
“MICHELE GRECO E’ UN GRANDE INFAMONE” – “Michele Greco è un grande ‘infamone’ perché, non so se l’avete letto, l’ho pubblicato sui giornali, suo padre era un infame. Ho portato fuori questa storia proprio per far capire a tanta gente le cose che non sanno, perché ci sono degli atti che parlano e sarebbe bello poterli pubblicare e la gente, la gioventù di oggi potrebbe sapere che Michele Greco è il figlio di un infame. Diciamo infame nel termine proprio di Cosa Nostra”. L’allora deputato Luciano Violante gli chiede: “Mi spiega che cosa vuol dire?”, lui replica: “Secondo Cosa Nostra, quando uno ha una sorella che ha fatto qualche brutta cosa nella gioventù, o la madre, o un fratello ha fatto una denuncia perché gli hanno rubato la bicicletta, o la macchina, in Cosa Nostra, in quei tempi, quando ci sono entrato io, non si poteva entrare. Ora la storia di Michele Greco ho voluto pubblicarla sui giornali per farla conoscere al pubblico e alla gioventù che si appoggiava a Michele Greco come personaggio importante, che suo padre era un infame e che lui era figlio di un infame, perché negli anni ’50 successe una lite fra i Greco di Ciaculli e i Greco di Croceverde Giardino. In questa lite ci scappò un morto il fratello di Michele Greco”. “Il fratello di Michele Greco è stato ammazzato da un suo compagno, non sono i Greco di Ciaculli a ucciderlo – continua Salvatore Contorno -. Un compagno del fratello di Michele Greco ha preso la pistola ed ha sparato ai Greco di Ciaculli, ma non li ha colpiti ed ha colpito il fratello di Michele Greco. Giuseppe Greco, ‘u piddu teniente’, padre di Michele Greco, si costituì parte civile, facendo prendere a quattro persone, un certo Paolino Greco, un certo Salvatore Di Pace ed altri due di cui non ricordo il nome, ben 120 anni di carcere. Un personaggio di grande importanza e rilievo, un mafioso, non doveva fare una cosa del genere”.
“PROVENZANO DETTO IL PROFESSORE” – Bernardo Provenzano negli anni Ottanta veniva chiamato “il Professore”. “Lo chiamavano il professore, ma in realtà era un contadino. E’ uno che le cose le fa, non ha paura di nessuno. Lo chiamavano il professore perché quando è venuto in città dalla campagna ha cominciato ad usare camicie di seta e bei vestiti”, dice. E quando il deputato Luciano Violante gli chiede: “E’ vero che Provenzano, approfittando di questo suo modo di presentarsi, è entrato in contatto anche con delle autorità?”. Contorno svicola la domanda e replica: “Voi pensate ancora di poter combattere la mafia? Da quello che succede oggi credo che non riuscirete mai ad abbatterla. E’ da un bel pezzo che so di mafia e queste cose ve le posso dire francamente”. “Io le ho chiesto di Provenzano”, incalza Violante. “Scusi se divago un po’ – spiega Contorno – ma vorrei avere a disposizione molto tempo per parlare con voi. Sono onorato ed ho piacere di essere qui con voi, però non è possibile dire in così poco tempo tutto quello che so e quello che provo. Oggi sono piuttosto stanco perché non dormo da due giorni, però mi piacerebbe avere più tempo a disposizione per parlare con voi”. E Violante: “Le chiedo scusa per la mia insistenza. Le risulta che Provenzano sia mai entrato in contatto con delle autorità, dei rappresentanti di istituti od enti pubblici, approfittando di questo suo modo di presentarsi?”. “Non glielo saprei dire. Provenzano prima era dalla parte dei liggiani, ma ora che Luciano Liggio è in carcere è stato sottomesso, perché in Sicilia in quasi nessuna famiglia di Cosa nostra esistono due rappresentanti, l’unica famiglia dove ve ne sono due è quella dei corleonesi”. E aggiunge: “Scusi se torno indietro, su altre questioni. Non ho parlato di tante cose perché ho visto che lo Stato mi ha abbandonato al momento opportuno, ha abbandonato sia me che Buscetta. Non vi sono stati né provvedimenti di legge né aiuti. Perché devo finire come quell’altro collaboratore dello Stato, per un processo di Palermo, che prima apparteneva a Cosa nostra (alla famiglia di Pippo Calò), poi è finito in manicomio e dopo che è stato assolto lo hanno ucciso”. “lo e Buscetta siamo gli ultimi rimasti. Ne avremmo molte di cose da dire, ma non in questo modo, abbandonati dallo Stato e chiusi in una cella e sorvegliati a vista. Questo significa dare sicurezza? Ma la sicurezza si può dare in altri modi, perché questo è solo un modo per diventare pazzi”. Adnkronos
La mafia dell‘89. Contorno, lettere dal Corvo, l’attentato all’Addaura 28 SETTEMBRE 2019 SICILIA NEWSMafia. La commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie ha pubblicato in questi giorni nuovi documenti riguardanti gli atti relativi ad alcune audizioni svolte dalla Commissione di inchiesta Antimafia durante la X legislatura. In particolare, si tratta di resoconti stenografici di sedute plenarie già pubblicate negli atti parlamentari della X legislatura. Rappresenta invece un inedito, oggi declassificato, il resoconto stenografico dell’incontro di un gruppo di lavoro della Commissione, presso una scuola di Polizia di Roma, con Totuccio Contorno, ritornato dall’America, con il Vicequestore e Capo del nucleo anticrimine della Criminalpol Gianni De Gennaro e con il capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Tutti i documenti sono utili a ricostruire il periodo storico relativo al primo attentato al giudice Falcone, quando ancora gli inquirenti stanno indagando per cercare di fare luce sul ritrovamento del borsone vicino la villa dell’Addaura. Dalle sedute plenarie con Domenico Sica, l’alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, escono fuori soprattutto due aspetti. Il primo che vede la mafia come protagonista nazionale, sottolineando quindi l’aspetto tipicamente interno, tutto italiano, soprattutto in relazione a quelli, che saranno definiti, delitti senza vittime. L’altro aspetto riguarda l’arricchimento derivante dalla vendita delle droghe, che assunse, col tempo, una tendenza internazionale, caratterizzando la criminalità mafiosa tipicamente italiana. “D’altra parte, per rendersi conto delle dimensioni del traffico è sufficiente ricordare sommariamente i dati che ci riguardano direttamente. È stato stimato – e si tratta di una stima prudente fondata su dati statistici ufficiali del tutto attendibili – che il Italia gli assuntori abituali di eroina sono circa 300 mila. Considerato che il consumo minimo sia in media 0,20 grammi pro capite giornalieri, il consumo complessivo ammonta a circa 22 tonnellate annue, equivalente ad un valore di circa 45 mila miliardi di lire. E ciò senza considerare il consumo di cocaina e i derivati della cannabis indica.” Così raccontava De Sica nel luglio dell’89.
Totuccio Contorno viene tratto in arresto Appena due mesi prima viene arrestato Totuccio Contorno che dal 1984 è collaboratore di giustizia, così come aveva fatto Tommaso Buscetta. Le sue dichiarazioni furono rese sia nell’ambito del “Maxiprocesso“, sia nelle indagini riguardanti la cosiddetta “Pizza Connection“. Per questo motivo fu sottoposto a programma di protezione negli Stati Uniti. Ma nel novembre del 1988, Totuccio decise in gran segreto di far ritorno a Palermo. Il suo arresto, eseguito a Palermo nel maggio 1989, avvenne in un momento delicato. La guerra di mafia continuava e Cosa nostra stava provando a riorganizzarsi. Un mese dopo ci sarà il fallito attentato al giudice Falcone. Cinquantotto candelotti di dinamite dentro un borsone rinvenuto sulla scogliera ai piedi della villa dell’Addaura del giudice. Dal documento inedito, è possibile leggere l’interrogatorio a Contorno. Racconta il motivo del suo ritorno in Italia. “Comincio dagli Stati Uniti. Lì mi veniva dato uno stipendio mensile di 1.300 dollari, ma dal mese di ottobre questo contributo mi sarebbe stato tolto. All’epoca abitavo in un appartamento dove pagavo 550 dollari al mese e quando mi è stato comunicato che non avrei più ricevuto il mensile ho deciso di lasciare l’appartamento, perché non avrei avuto i soldi per continuare a pagarlo, e venire in Italia. In America avevo persino trovato un lavoro in un mattatoio, ma dopo cinque giorni sono stato costretto a lasciarlo a causa di una artrosi cervicale. Quindi non potevo lavorare, non ricevevo più il contributo dallo Stato, non avevo più soldi per vivere e per pagare l’appartamento, a quel punto o andavo a rubare o chiedevo beneficenza allo Stato visto che mi ero dissociato dalla mafia. Invece devo dire che mi sono trovato peggio che con la mafia (…)Mi trovo in carcere con l’accusa di associazione a delinquere. A questo punto mi domando con chi mi sono associato, con lo Stato o di nuovo con la mafia?”
Le lettere anonime del Corvo e l’assassinio di Agostino Questa stagione storica è passata alla storia anche per le missive anonime recapitate a giudici e giornalisti, le famose lettere del “Corvo”, che contenevano accuse nei confronti di vari magistrati e poliziotti, tra cui lo stesso Falcone e Giovanni De Gennaro. Venivano accusati di avere ordito un piano per contrastare la fazione corleonese di Cosa nostra attraverso il ritorno in Sicilia di Salvatore Contorno favorendo la cattura di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Il 5 agosto, il giorno dopo l’interrogatorio a Contorno di cui si è riportato uno stralcio, la vicenda più drammatica. Antonino Agostino e la giovane moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi, davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino vengono trivellati di colpi da due sicari in motocicletta. Nino Agostino avrebbe avuto un ruolo importante nello sventare l’attentato a Falcone presso la villa all’Addaura il 21 giugno 1989. Vincenzo Agostino, il padre di Antonino, da quel giorno non si è più tagliato la barba come forma di protesta contro l’occultamento della verità sulla morte del figlio e della nuora.
Mafia: il giallo del ritorno di Contorno, De Gennaro in Antimafia, ‘Avvertimmo la Questura‘28 set. 2019 AdnKronos – “Nell’immediatezza del rientro” in Italia dagli Stati Uniti del pentito di mafia Salvatore Contorno, alla fine degli anni Ottanta, il ritorno dell’ex picciotto di Cosa nostra “venne comunicato alla questura di Palermo”. Il giallo del ritorno dagli Usa in Sicilia, alla fine degli anni Ottanta, dell’ex mafioso di Santa Maria di Gesù è stato al centro dell’audizione alla Commissione antimafia il 9 agosto 1989 dell’ex dirigente della Criminalpol Gianni De Gennaro. A chiamare sia Salvatore Contorno che Gianni De Gennaro in audizione è l’allora Presidente dell’Antimafia Gerardo Chiaromonte. Contorno, dopo la collaborazione con la giustizia di Tommaso Buscetta cominciò a raccontare ai magistrati di Palermo i retroscena della mafia. Anche nell’ambito della indagine sulla Pizza connection coordinata da Giovanni Falcone. Nel 1988 Contorno, che era sotto protezione, tornò in gran segreto a Palermo e si vendicò dei boss corleonesi, una vicenda ancora oggi con molti punti oscuri. Poi, nel 1989 venne nuovamente arrestato. Di recente il ruolo di Totuccio Contorno è stato interpretato dall’attore palermitano Luigi Lo Cascio nel film ‘Il Traditore’ di Marco Bellocchio, in corsa agli Oscar. Le domande fatte al collaboratore prima e poi anche all’ex capo della Criminalpol Gianni De Gennaro fanno emergere un clima di sospetti attorno al giudice Giovanni Falcone. Gli atti sono stati desecretati dall’Antimafia dopo trent’anni. “Dalle audizioni del pentito Salvatore Contorno davanti alla Commissione antimafia nel 1989 “emerge drammaticamente, in maniera plastica, la drammatica solitudine di Giovanni Falcone in quella terribile estate dell’89: l’attentato all’Addaura e – quasi contestualmente – i veleni del Corvo, strumentalizzati da molti. Queste carte fanno tornare alla mente la sua frase amara e indimenticabile: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno””, ha detto all’Adnkronos il Roberto Tartaglia, consulente della Commissione, che si è occupato dalla desecretazione degli atti.
Pubblicazione di atti relativi ad alcune audizioni svolte dalla Commissione di inchiesta Antimafia della X legislatura Totuccio Contorno – dapprima affiliato mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo – nel 1984 decise di seguire l’esempio di Tommaso Buscetta e iniziò una fondamentale collaborazione con l’Autorità giudiziaria: le sue dichiarazioni furono rese sia nell’ambito del “maxiprocesso”, sia nelle indagini riguardanti la cosiddetta “Pizza Connection”. Sottoposto a programma di protezione negli Stati Uniti, nel novembre 1988, Totuccio Contorno fece segretamente ritorno a Palermo, dove in quel momento imperversava una feroce guerra di mafia, proprio contro i suoi “nemici” corleonesi. Il suo arresto, eseguito a Palermo nel maggio 1989, destò grande scalpore nell’opinione pubblica, a causa della sorpresa per la sua presenza a Palermo in un momento rilevante per gli equilibri di riorganizzazione di Cosa Nostra. Peraltro, non mancò chi – con il ricorso a lettere anonime – tentò di colpire lo strumento della gestione dei collaboratori di giustizia, nonché i magistrati e gli inquirenti in quel momento più esposti sul fronte dell’azione di repressione: fu quella la stagione del “Corvo”. Le audizioni pubblicate in questa sede contribuiscono a ricostruire una complessa questione di quella cruciale stagione palermitana. Per quanto concerne il regime degli atti, si specifica che trattasi di resoconti stenografici di sedute plenarie già pubblicate negli atti parlamentari della X legislatura; di relazioni (Doc. XXIII) sempre della X legislatura; del resoconto stenografico inedito di un “incontro di un gruppo di lavoro della Commissione, presso una scuola di Polizia di Roma, con il signor Salvatore Contorno, con il Vicequestore e Capo del nucleo anticrimine della Criminalpol Gianni De Gennaro e con il capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera”, declassificato nella XIII legislatura, nelle sedute della commissione del 26 gennaio 1999 e del 16 novembre 1999. GABRIELLA TASSONE Fraterno Sostegno ad Agnese Borsellino
Plenaria seduta del 19 luglio 1989 audizione Alto Commissario SICA
Plenaria seduta del 25 luglio 1989 Presidente sui lavori della Commissione
Incontro gruppo di lavoro 9 agosto 1989
Plenaria seduta del 9 novembre 1989 discussione “caso Contorno”
Plenaria seduta del 14 novembre 1989 seguito discussione “caso Contorno”
Plenaria seduta del 14 dicembre 1989 seguito audizione Presidente del Consiglio
Doc. XXIII n. 12-bis 2 – X leg – Relazione di minoranza Cap. II “caso Contorno“
Doc. XXIII n. 12-bis 3 – X leg – Documento di minoranza considerazioni “caso Contorno”
E L’UNICO CHE SI SALVA ANCORA È “CORIOLANO DELLA FLORESTA” Salvatore Contorno non era un semplice “soldato” della famiglia di Santa Maria di Gesù. Una riprova di ciò è che i Corleonesi, non riuscendo a stanarlo, «hanno fatto scempio dei suoi congiunti e dei suoi amici con una sequenza impressionante di omicidi»
SALVATORE CONTORNO, “soldato” della famiglia di Santa Maria di Gesù, era legato al capo della predetta, STEFANO BONTATE, da vincoli di amicizia molto saldi, sicché i suoi rapporti con lo stesso non necessitavano di essere mediati dal “capo decina”, ma erano diretti.
Tale privilegio era accordato dal BONTATE ad un “soldato” che, per la sue capacità e per vincoli di amicizia, aveva assunto in seno alla famiglia mafiosa un notevole “peso” e che, pertanto, poteva ritenersi di massima affidabilità.
Il CONTORNO, tratto in arresto, ha dimostrato la sua ampia disponibilità alla collaborazione con la magistratura ed ha contribuito a fornire ulteriori riscontri alle acquisizioni probatorie nel presente procedimento penale.
Una riprova, diretta ed inconfutabile, sullo spessore del personaggio e, quindi, sulla sua attendibilità, è stata data dalle stesse cosche “vincenti” le quali, non riuscendo a raggiungere il CONTORNO con i propri killer […], hanno fatto scempio dei suoi congiunti e dei suoi amici con una sequenza impressionante di omicidi.
Per il CONTORNO, così come per GIOVANNELLO GRECO, per GAETANO BADALAMENTI e per TOMMASO BUSCETTA veniva attuata la strategia della “terra bruciata”, allo scopo di “stanarlo” o, comunque, di privarlo di qualsiasi eventuale supporto logistico nel caso avesse deciso di far rientro a Palermo per riorganizzare le fila dei “perdenti”.
Il perverso disegno criminoso dei “vincenti” non ha risparmiato, nemmeno in questo caso, moltissime vittime innocenti, del tutto estranee a traffici illeciti, la cui sola colpa era quella di essere legate al CONTORNO da parentela o da vincoli di amicizia.
La via Conte Federico, in un breve arco di tempo, è stata letteralmente “ripulita” da quanti, come detto, avrebbero potuto dare un aiuto al CONTORNO.
Già gli organi di polizia non avevano avuto dubbio alcuno nell’inquadrare tutti questi omicidi nella logica tremenda della “terra bruciata” intorno al latitante CONTORNO e lo stesso, sin dalle sue prime dichiarazioni, aveva confermato questa ipotesi accusatoria. […].
OBIETTIVO “TOTUCCIO” Come si è detto – e come si vedrà – molti tra questi congiunti ed amici del contorno erano personaggi senza storia, privi di qualsiasi collegamento con organizzazioni criminose, con l’unica “colpa” di essere stati, in vari modi, vicini al predetto e di costituire, pertanto, un probabile punto di riferimento per lo stesso.
Come fosse spietata la caccia al CONTORNO, lo si è potuto rilevare già trattando dell’omicidio di RUGNETTA ANTONINO, il quale, nel novembre del 1981, veniva sequestrato da FILIPPO MARCHESE ed i suoi accoliti e condotto nella tristemente famosa “CAMERA DELLA MORTE” perché, interrogato, rivelasse il luogo ove si nascondeva “CORIOLANO DELLA FLORESTA” (soprannome di SALVATORE CONTORNO).
Il RUGNETTA – vecchio contrabbandiere – non era in grado di soddisfare le richieste dei suoi sequestratori e, quindi, veniva strangolato dallo stesso MARCHESE e da PINO GRECO, mentre il corpo, nascosto in una auto, veniva fatto ritrovare dinnanzi la caserma della Guardia di Finanza “CANGIALOSI” di via Cavour.
Fallito questo tentativo e, parimenti, fallito il tentativo di uccidere lo stesso CONTORNO, non rimaneva che iniziare il massacro indiscriminato dei suoi congiunti ed amici, proprio perché nella sua borgata si spargesse il terrore e nessuno osasse prestare la benché minima assistenza agli stessi familiari.
[…] Agli omicidi di questo gruppo di congiunti ed amici del CONTORNO si è voluto aggiungere la trattazione dell’omicidio di TERESI FRANCESCO PAOLO perché i riscontri probatori emersi nel corso della perizia balistica effettuata dal Prof. MARCO MORIN di Venezia e dagli esami balistici effettuati dal Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Palermo, hanno permesso di collegare tale omicidio a quelli di IENNA MICHELE e DI FRESCO GIOVANNI.
I tre, infatti, erano stati uccisi con la stessa arma e ciò è ulteriore prova della unicità del disegno criminoso di sterminio di tutti i “perdenti” e di coloro che, in qualche modo, agli stessi potevano essere collegati.
UCCISI UNO DOPO L’ALTRO […] Il 3 ottobre 81, nella via Conte Federico – all’altezza del civico n.76 – poco prima delle ore 14,50 – veniva assassinato a colpi di arma da fuoco MANDALA’ PIETRO.
Il personale della Squadra Mobile, telefonicamente avvisato della sparatoria, rinveniva nelle vicinanze del cadavere del MANDALA’ una Renault ferma al centro della strada, con lo stereo acceso e le chiavi inserite nel quadro.
[…] COSTANZO GIOVANNI (assassinato pochi giorni dopo – il 9 ottobre – nella stessa piazza), [affermava, ndr.] di non aver visto chi aveva sparato e di aver appreso solo il giorno dopo dai giornali dell’omicidio del MANDALA’, da lui conosciuto perché abitante nella stessa zona.
MANDALA’ FRANCESCO – padre della vittima – […] veniva, a sua volta assassinato, il 5 aprile 82. MANDALA’ SALVATORE – fratello di PIETRO – abitante con il padre nella via Conte Federico – riferiva di essere uscito quella mattina di casa e di aver lasciato il fratello che era ancora a letto. Rincasato, aveva pranzato con i familiari e lo stesso PIETRO il quale gli aveva chiesto di “provare” la sua auto poiché, da quando l’aveva acquistata, non l’aveva ancora guidata.
Dopo aver consegnato l’auto al fratello, era uscito di casa con un amico e, rientrando, aveva notato una grande confusione sotto casa e il cugino D’AGOSTINO IGNAZIO, piangendo, gli aveva dato la notizia della uccisione di PIETRO.
D’AGOSTINO IGNAZIO veniva assassinato l’11.1.82.
Nessuna ulteriore utile notizia veniva fornita dai congiunti, […] e, comunque, va chiarito che la motivazione della soppressione del MANDALA’ non può rinvenirsi in presunti contrasti tra gli autori della rapina stessa, bensì nel vincolo di parentela che legava il MANDALA’ a SALVATORE CONTORNO.
I due, infatti, erano parenti, essendo il MANDALA’ FRANCESCO – padre di PIETRO – figlio di un fratello di MANDALA’ ROSARIA, madre del CONTORNO.
MANDALA’ PIETRO, figlio di un cugino del CONTORNO, dimorante con tutta la sua famiglia in via Conte Federico, era un indubbio “punto di forza” di quest’ultimo e, pertanto, la sua eliminazione portava ad un evidente indebolimento della posizione del predetto, come pure era monito a quanti avessero pensato di prestargli un qualche aiuto.
Pur non essendo emerso dalle dichiarazioni dei testi nessun utile elemento ai fini delle indagini, tale causale è ampiamente fondata, sia in sé, sia in relazione a tutti gli altri omicidi seguiti a quello di MANDALA’ PIETRO.
Il 5 ottobre 81 – alle ore 18,15 circa – veniva ucciso nella via Conte Federico MAZZOLA EMANUELE. Testimone oculare dell’omicidio era DI FRESCO GIOVANNI – suocero del MAZZOLA – il quale riferiva che, trovandosi a conversare con la vittima davanti alla propria abitazione, aveva notato due persone sopraggiungere a bordo di un motore. Una, presumibilmente quella seduta dietro, era scesa e, con un’arma, aveva fatto ripetutamente fuoco contro il genero.
Specificava che quest’ultimo aveva tentato di sottrarsi all’agguato fuggendo dalla via Conte Federico in direzione di Villabate. Non sapeva (o voleva) dare nessuna indicazione né sui killers, né sul tipo di moto da questi usata.
[…] In relazione al MAZZOLA, il CALZETTA riferiva di aver appreso come questi fosse il factotum del CONTORNO del quale “governava” gli animali che aveva nello stallone dei Chiavelli.
Come già detto, lo stesso CONTORNO riferiva dei suoi rapporti commerciali con il MAZZOLA e, segnatamente, degli affari con questi avuti nel campo della compravendita degli animali custoditi, per parte sua, in una stalla ai Chiavelli.
Le informazioni del CALZETTA, quindi, seppur imprecise, avevano un certo fondamento e non v’è dubbio che proprio in relazione ai rapporti di amicizia e di affari avuti dal MAZZOLA con il CONTORNO vada rinvenuta la causale della soppressione del primo.
E, del resto, l’omicidio del MAZZOLA segue di appena due giorni quello di MANDALA’ PIETRO ad ulteriore dimostrazione del nesso esistente tra questi due omicidi.
Il giorno 8 gennaio 82, verso le ore 17,45 circa, una telefonata anonima annunciava al “113” che in via Belmonte Chiavelli era stato commesso un omicidio.
Gli agenti intervenuti rinvenivano in una macelleria di quella via, al civico n.100, il corpo senza vita del titolare IENNA MICHELE il quale giaceva in una pozza di sangue, colpito da numerosi colpi di arma da fuoco.
Si apprendeva che, poco prima, due individui, non travisati, erano entrati nella macelleria ed avevano fatto fuoco contro il titolare. I due si erano, quindi, dati alla fuga a bordo di una moto.
[…] Alle ore 7,30 circa dello stesso giorno 8 gennaio, in via Bonagia veniva ucciso TERESI FRANCESCO PAOLO mentre si trovava a transitare a bordo della proprio auto Fiat 127.
Nella assenza di testimoni oculari, risultava impossibile accertare la dinamica dell’omicidio.
BENVEGNA GIROLAMO, cognato della vittima, riferiva come il TERESI fosse legato da lontani vincoli di parentela con TERESI GIROLAMO, imprenditore edile scomparso alcuni mesi prima, avendo la sorella MARIA sposato TERESI PIETRO, fratello di TERESI GIROLAMO.
[…] Confermando quanto già accertato dalla polizia scientifica, il Prof. MARCO MORIN di Venezia, nella sua relazione di perizia balistica, evidenziava che per commettere gli omicidi IENNA e TERESI era stata impiegata una medesima pistola semiautomatica cal.7,65 MM. BROWNING.
Riferiva il perito che erano state comparate positivamente le impressioni di percussione, estrazione ed espulsione dei singoli reperti e che le coincidenze erano talmente evidenti da non lasciare alcun dubbio che per i due delitti era stata impiegata la stessa arma.
Le connessioni specifiche tra gli omicidi IENNA e TERESI sono impressionanti, come si e’ visto:
Gli omicidi erano stati commessi lo stesso giorno; per consumare gli stessi era stata impiegata una sola identica arma; al momento dell’attentato allo IENNA, presente nella macelleria vi era MELI GIACOMO, cugino della vittima e dipendente della CENTRALGAS del TERESI FRANCESCO PAOLO.
Non v’è dubbio che il MELI avrebbe potuto riferire qualcosa di più specifico – se lo avesse voluto – sia sulla dinamica dell’omicidio IENNA, sia sui motivi che lo avevano spinto a visitarlo proprio il giorno in cui era stato ucciso il suo datore di lavoro.
[…] La soppressione dello IENNA e del TERESI, nello stesso giorno e con la stessa arma, è una ulteriore dimostrazione della “coesione” del gruppo BONTATE – CONTORNO, e, quindi, della unicità del disegno criminoso volto a sterminare i residui componenti di quei gruppi.
Non è, del resto, un caso che il MELI, cugino dello IENNA, lavorasse proprio alla CENTRALGAS dei BONTATE e dei TERESI, né che lo stesso, a poche ore dall’omicidio del suo datore di lavoro, si fosse precipitato dal cugino: tale visita rimane inquietante, potendo essere stata motivata dalla necessità di mettere in guardia lo IENNA dai pericoli incombenti o dalla necessità di dare ai killers una più esatta indicazione della vittima.
A meno di 24 ore dagli omicidi del TERESI e dello IENNA, verso le ore 15 del 9 gennaio, veniva ucciso in piazza Torrelunga DI FRESCO GIOVANNI, suocero di MAZZOLA EMANUELE e, come si è visto, testimone oculare dello omicidio dello stesso.
Il DI FRESCO era stato raggiunto da numerosi colpi di arma da fuoco alla nuca ed al torace, decedendo all’istante.
In assenza di qualsiasi testimone oculare, non si riusciva a ricostruire la dinamica dell’omicidio; inoltre, la mancanza di collaborazione dei familiari della vittima – immune da precedenti penali – impediva di accertare, nel corso delle prime indagini, il movente dell’omicidio stesso.
[…] L’omicidio del DI FRESCO va, invece, visto alla luce di tutti gli altri omicidi degli amici e congiunti di SALVATORE CONTORNO.
[…] Non v’è dubbio, quindi, che l’esame comparativo era stato effettuato sui reperti balistici sequestrati in relazione all’omicidio di DI FRESCO GIOVANNI. Tale esame aveva evidenziato come, anche in questo omicidio, fosse stata usata la pistola calibro 7,65 adoperata per consumare gli omicidi di IENNA MICHELE e TERESI FRANCESCO PAOLO.
[…] Il giorno 11 gennaio 82 – due giorni dopo l’omicidio di DI FRESCO GIOVANNI e tre giorni dopo l’omicidio di TERESI FRANCESCO PAOLO e di IENNA MICHELE – verso le ore 11 circa, in piazza Dei Signori veniva ucciso D’AGOSTINO IGNAZIO.
La vittima era padre di D’AGOSTINO ROSARIO, coniugato, quest’ultimo, con LOMBARDO MARIA CARMELA.
LOMBARDO MARIA CARMELA – figlia di LOMBARDO GASPARE – è la cugina di LOMBARDO CARMELA (moglie di SALVATORE CONTORNO), in quanto figlia di LOMBARDO SALVATORE, fratello di GASPARE.
Non vi sono dubbi sulla “vicinanza” dei D’AGOSTINO ai CONTORNO ed ai GRADO, non solo per i citati legami di parentela, ma anche per gli stretti rapporti esistenti tra ROSARIO D’AGOSTINO e VINCENZO GRADO il quale ultimo – secondo le dichiarazioni di GENNARO TOTTA – ospitava il D’AGOSTINO nella sua villa di Porto Ceresio.
Sui GRADO in generale e sui loro traffici illeciti in particolare, si è già ampiamente detto, ma occorre qui ribadire come vi fossero stretti rapporti tra questi e D’AGOSTINO ROSARIO, il quale, detto per inciso, proprio in conseguenza delle dichiarazioni del TOTTA veniva rintracciato e tratto in arresto.
Il TOTTA, infatti, – tra le altre cose – aveva riferito di aver visto il D’AGOSTINO in casa di VINCENZO GRADO a Porto Ceresio e di aver appreso dal secondo come il primo fosse l’uomo di fiducia di FRANCO MAFARA e di ANTONINO GRADO e come a causa dei rapporti con i suddetti, gli fosse stato ucciso il padre.
IGNAZIO D’AGOSTINO, quindi, costituiva per le cosche vincenti un doppio pericolo, potendo essere punto di riferimento a Palermo sia per il CONTORNO che per il figlio ROSARIO e, pertanto, veniva soppresso.
IL CADAVERE NELLA MOTOAPE […] Alle ore 7,30 del 12 marzo 82, gli agenti di polizia, in servizio con una “volante”, venivano avvicinati in via Oreto Nuova da due netturbini i quali riferivano che poco prima, nella zona loro assegnata, era stato ucciso un loro collega conducente del mezzo dell’A.M.N.U..
In una traversa di via Paratore, infatti, gli agenti rinvenivano il cadavere di DI FRESCO FRANCESCO, crivellato da colpi di arma da fuoco, all’interno di una motoape della Nettezza Urbana.
I due netturbini, BUONAFEDE BENEDETTO e SALERNO EMANUELE, dichiaravano concordemente di essere usciti per il servizio verso le ore 6,30 e, prelevato l’automezzo, erano giunti sul posto di lavoro.
Dopo pochi minuti dall’inizio della attività, erano entrambi stati colti da urgente bisogno di urinare e, pertanto, mentre il DI FRESCO era rimasto al bordo del vespino, si erano recati dietro alcuni bidoni di calcestruzzo e da li’ dietro avevano udito degli spari provenienti dal punto ove era rimasto il loro collega.
Si erano, allora, buttati a terra e solo dopo alcuni minuti si erano decisi ad andare a vedere cosa fosse successo, rinvenendo cosi’ il cadavere del DI FRESCO.
Il sorvegliante dell’AMNU – LABRUZZO MARIO (imputato nel presente procedimento) – non era in grado di fornire alcun utile elemento ai fini delle indagini.
Veniva, nel corso delle prime indagini, rinvenuta anche una auto Fiat 127 all’interno della quale si era sviluppato un principio d’incendio subito domato da MILAZZO ANGELO sotto casa del quale era stata abbandonata.
Si rilevava come la targa dell’auto fosse, in realtà, formata da due parti di due diverse targhe, mentre l’auto era stata sottratta a GALATI FILIPPO che ne aveva denunciato il furto.
Poiché l’auto era stata rinvenuta a poca distanza dal luogo ove era stato ucciso il DI FRESCO e vi era stato un tentativo di incendiarla, si presumeva fosse stata usata dai killers e subito dopo il delitto abbandonata.
Il DI FRESCO FRANCESCO era fratello di GIOVANNI, ucciso il precedente 9 gennaio, suocero, quest’ultimo, di MAZZOLA EMANUELE.
Anche DI FRESCO FRANCESCO, conosciuto dal CONTORNO perché della stessa borgata, veniva dunque soppresso perché si sapesse quale era la fine riservata agli amici del CONTORNO.
Non può, invero, ipotizzarsi alcuna causale diversa e alternativa se solo si pone mente al fatto che, di notevole, nella vita del DI FRESCO, era da annoverarsi il suo domicilio in via Conte Federico e il fatto di essere fratello di GIOVANNI ed amico del CONTORNO.
TUTTI PARENTI, TUTTI AMMAZZATI […] Alle ore 19,15 del 5 aprile 82, veniva segnalato alla polizia un omicidio consumato in via Tasca Lanza presso il deposito dell’AMNU. Gli agenti intervenuti rinvenivano a circa 5 metri dal cancello di ingresso di detto deposito, riverso accanto ad una Fiat 131 Mirafiori, il cadavere di MANDALA’ FRANCESCO con la nuca spappolata da colpi di arma da fuoco. Sul muro di cinta del deposito si notavano fori di proiettili e tracce di materia celebrale.
LIGA PIETRO, responsabile del deposito, dichiarava che al momento dell’omicidio si trovava nel suo ufficio e, quindi, non aveva assistito allo stesso.
Precisava che la vittima era uscita per il turno di servizio alle ore 14 insieme a CASSANO FRANCESCO – raccoglitore – e a VAGLICA AGOSTINO – autista del mezzo -, facendo rientro alle ore 19.
I due, comunque, non potevano essere subito sentiti perché già si erano allontanati.
MANDALA’ FRANCESCO risultava essere figlio di un fratello di MANDALA’ ROSARIA – madre di SALVATORE CONTORNO – nonché di SCHIFAUDO ANTONIA il cui fratello, SCHIFAUDO ANTONINO, era stato ucciso il 15 marzo di quello stesso anno.
Gli SCHIFAUDO, poi, risultavano essere imparentati con il CONTORNO anche attraverso la moglie LOMBARDO CARMELA, essendo SCHIFAUDO ANTONINO coniugato con LOMBARDO ROSARIA, cugina di questa.
La vittima era il padre DI MANDALA’ PIETRO, ucciso il 3 ottobre 1981, pochi giorni prima della soppressione di MAZZOLA EMANUELE.
Anche lo zio di SALVATORE CONTORNO, quindi, come il cugino, era stato soppresso nell’ambito della strategia della terra bruciata fatta intorno a “CORIOLANO DELLA FLORESTA”.
[…] Ed, infatti, MANDALA’ FRANCESCO – netturbino – non era coinvolto in alcuna illecita attività ed aveva, di notevole, solo la parentela con il CONTORNO di cui era lo zio.
Lo stesso, poi, era stato ucciso alcuni giorni prima di CORSINO SALVATORE, zio della moglie del CONTORNO ed anche questa sequenza cronologica, al pari di quelle già, esaminate, convincono ulteriormente dell’intimo nesso che lega tutti gli omicidi dei congiunti e degli amici di SALVATORE CONTORNO.
[…] Il 17 aprile 82 – pochi giorni dopo l’omicidio di MANDALA’ FRANCESCO – veniva ucciso CORSINO SALVATORE che, come il MANDALA’, aveva rapporti di parentela con il CONTORNO.
La vittima, infatti, era fratello di MANDALA’ MARIA, madre di LOMBARDO CARMELA coniugata con il CONTORNO.
Il CORSINO veniva rinvenuto cadavere all’interno di uno “scuola-bus” verso le ore 7,30 di qual giorno, in Largo V. 18. Lo stesso, infatti, era dipendente della scuola privata “ADA NEGRI” di via dell’Orsa Maggiore ed ogni mattina si recava presso le abitazioni di alcuni insegnanti per prelevarli e portarli nell’Istituto. […] Subito dopo l’omicidio, in via Villagrazia, veniva rinvenuta una auto A 112 bianca completamente distrutta dalle fiamme, sottratta a CIMINO GIUSEPPE ed usata, probabilmente, dai killers del CORSINO.
CRISTINA MARIA, gestrice della scuola “ADA NEGRI”, riferiva di aver preso contatto con il CORSINO nell’agosto del 1981, quando aveva avuto bisogno di un pulmino per il trasporto degli alunni.
MANDALA’ ANGELA, moglie del CORSINO, riferiva che tra SALVATORE CONTORNO ed il marito non erano mai intercorsi rapporti di affari di alcun genere e che, a seguito dell’arresto a Roma del CONTORNO e dei genitori della lombardo, aveva ospitato in casa la stessa perché in avanzato stato di gravidanza e che quivi la donna si era trattenuta, anche dopo l’uccisione del CORSINO, sino a quando era stata ricoverata in clinica, mentre sempre presso di lei era rimasto il figlio del CONTORNO, ANTONINO.
Dichiarava, comunque, che il marito e lei non avevano mai ricevuto minacce o avvertimenti a causa della citata ospitalità.
Nessuna ulteriore notizia fornivano i congiunti nel corso della formale istruzione.
[…] Il 16 marzo 1983 – verso le ore 9 circa – al civico n.16 di Piazza Scaffa veniva ucciso BELLINI CALOGERO. Di lui SALVATORE CONTORNO aveva riferito quale cugino acquisito, in quanto aveva sposato CONTORNO ROSA, figlia di SALVATORE, fratello, quest’ultimo, del padre.
Il BELLINI, quindi, era anche cugino dei GRADO essendo questi figli di CONTORNO ANTONINA, sorella di SALVATORE e del padre del CONTORNO.
La vittima, elettricista, secondo il CONTORNO era chiamata “LILLO”.
[…] CONTORNO ROSA, moglie del BELLINI, nulla sapeva (o voleva) riferire sui rapporti del marito con CONTORNO SALVATORE ed, anzi, teneva a precisare che tra le due famiglie non vi erano “rapporti stretti”, per volontà del primo di non essere coinvolto in fatti di mafia.
Precisava che quel giorno, mentre si trovava con la figlia nel retrobottega, aveva udito due o tre esplosioni di arma da fuoco provenienti dall’interno del negozio stesso e, affacciatasi, aveva rinvenuto il corpo del marito privo di vita.
BELLINI MARIA – figlia della vittima – forniva dichiarazioni sostanzialmente identiche a quelle della madre.
Nessun elemento utile fornivano tutti gli altri congiunti della vittima.
Non v’è dubbio che anche l’omicidio del BELLINI debba inquadrarsi nel novero degli omicidi perpetrati ai danni dei congiunti del CONTORNO e dei “perdenti” in genere.
[…] Il “LILLO”, ucciso nella sua rivendita di materiale elettrico, costituiva uno degli ultimi punti di riferimento sia per il CONTORNO che per i GRADO, dopo la eliminazione di molti altri amici e congiunti del primo. La sua uccisione, avvenuta a circa un anno da quella di CORSINO SALVATORE, costituiva l’ultimo anello della lunga catena dei delitti sopra esaminati.
Tale “ritardo” non deve stupire, in quanto gli asseriti non stretti rapporti della vittima con il CONTORNO, potevano aver determinato i mandanti a soprassedere temporaneamente dall’eseguire questa ennesima sentenza di morte.
La necessita’ di continuare a riaffermare la potenza dei GRECO nella zona, faceva si’ che anche per il BELLINI giungesse il momento della soppressione che, senza dubbio, deve inquadrarsi nella logica tante volte sopra indicata. Testi tratti dall’ordinanza del maxi processo. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA
LA “SQUADRA DELLA MORTE” E IL FALLITO AGGUATO CONTRO SALVATORE CONTORNO«Sbucò improvvisamente dalla destra una motocicletta potentissima e molto silenziosa, alla guida della quale vidi Giuseppe Lucchese e immediatamente mi resi conto del pericolo. Subito dopo, la motocicletta si accostò alla mia autovettura e vidi apparire seduto dietro, Pino Greco “Scarpuzzedda” che lasciò partire contro di me una raffica di mitra…»
Alle ore 19.50 circa del 25.6.1981, tale Di FRESCO ANTONINO, alla guida della sua vettura, si fermava ad un posto di controllo dei CC. In questa via Oreto ed informava i militari che poco prima in questa via Giafar nel quartiere Brancaccio si era svolta una sparatoria in cui era rimasto ferito un ragazzo che egli, trovandosi a passare, aveva caricato sulla sua auto per accompagnarlo al pronto soccorso.
I CC. provvedevano ad avviare al pronto soccorso il ferito identificato per FOGLIETTA GIUSEPPE di anni 11, ed a smistare l’allarme.
Poco dopo militari dell’arma e personale della Polizia di Stato giungevano sul luogo della sparatoria e notavano, ferma in via Giafar, una autovettura Fiat 127, che presentava numerosi fori di proiettili ai vetri e alla carrozzeria; all’interno del veicolo rinvenivano e repertavano quattro pezzi di “camicia” di proiettili ed un cappellino da ragazzo e, a poca distanza dalla vettura, 22 bossoli di proiettili per fucile mitragliatore calibro 7,62, sui cui fondelli vi era l’ormai nota dicitura 711-74; ancora una volta, dunque, era stato usato il terribile kalashnikov.
Benché’ la sparatoria fosse avvenuta in una via popolosa ed in ora di traffico, nessuno forniva indicazioni di sorta: tutti gli interrogati, infatti, affermavano di non avere visto nulla e, anzi, di essersi precipitosamente rinserrati in casa o nei negozi non appena uditi i primi spari. Gli unici che offrivano un minino di collaborazione erano PITARRESI ONOFRIO e PATERNO’ GIUSEPPE, i quali dichiaravano, per averlo “appreso dalla voce pubblica”, che la Fiat 127, guidata da SALVATORE CONTORNO, era stata affiancata da un motociclo di grossa cilindrata, montata da due individui, uno dei quali aveva esploso raffiche di mitra all’indirizzo del CONTORNO. Era comune negli interrogati la meraviglia per il fatto che il CONTORNO fosse riuscito a sottrarsi all’agguato e a dileguarsi, mentre nessuno sapeva dire con precisione se il piccolo FOGLIETTA fosse o meno a bordo della vettura al momento degli spari.
Era sicuro, peraltro, che il CONTORNO aveva risposto al fuoco contro i suoi assalitori, poiché una autovettura BMW, posteggiata pressoché di fronte alla Fiat 127, presentava un foro sul vetro anteriore.
Dopo qualche giorno, in territorio di Villabate, veniva rinvenuta, priva di targa e coi fili di accensione tagliati ed avvolti da un nastro adesivo, un motociclo Honda 1000, rubato in Palermo, il 18.4.1981, a tale COGA VINCENZO.
Di nessuna utilità risultavano le dichiarazioni del minore FOGLIETTA GIUSEPPE il quale, interrogato dal P.M. quella stessa sera in ospedale, manteneva, nonostante la giovanissima età, un atteggiamento assolutamente reticente, dicendo testualmente: «Sono stato invitato da TOTUCCIO LOMBARDO (e non CONTORNO: n.d.r.) Ad accompagnarlo per sbrigare una faccenda; poi, egli mi avrebbe riaccompagnato a casa. Quando sono stato colpito, ho chiesto aiuto. Mia madre può dire dove abita il LOMBARDO. Ora basta mamma, vedi cosa devi dirgli».
I rilievi tecnici compiuti dal Gabinetto di Polizia Scientifica e, in particolare, le fotografie evidenziavano che la Fiat 127, a bordo della quale veniva rinvenuto un ciuffetto di capelli, presentava i segni di due raffiche di mitra sparate da direzioni diverse.
[…] Il dubbio è stato risolto dalla perizia collegiale balistica, che ha accertato come i bossoli rinvenuti sul luogo dell’attentato siano stati esplosi da una stessa arma, e precisamente da un kalashnikov e, addirittura, dallo stesso kalashnikov già usato per l’attentato alla gioielleria CONTINO e per l’omicidio di SALVATORE INZERILLO e, molto probabilmente, anche per l’omicidio di STEFANO BONTATE.
IL RACCONTO DI CONTORNO Le risultanze della prova generica si saldano perfettamente con la ricostruzione dell’attentato fornita dallo stesso CONTORNO, che, al di là della pur rilevante utilità per le indagini, assume valore emblematico di rottura e di rifiuto, da parte di un “uomo d’onore”, di uno dei principi – cardine di “Cosa Nostra” e, cioè, del divieto assoluto di far ricorso, per qualsivoglia motivo, alla giustizia statuale per ottenere la riparazione di un torto subito.
Il CONTORNO, come si è visto, fin dall’omicidio di STEFANO BONTATE, era divenuto particolarmente guardingo e sospettoso, essendosi reso conto che anche all’interno della sua “famiglia” non si poteva più fidare di nessuno. E, difatti, aveva tentato invano di dissuadere GIROLAMO TERESI e gli altri dal recarsi all’incontro nel baglio SORCI.
Quando, dunque, MARIANO MARCHESE, sicuramente inviato da GIOVANBATTISTA PULLARA’, lo aveva informato della fine di TERESI e degli altri e lo aveva rassicurato che ormai era tutto finito, egli non si era affatto tranquillizzato ed aveva continuato a diradare le sue uscite da casa in attesa degli eventi. Dopo pochi giorni, si verificava un altro episodio inquietante: «Dopo alcuni giorni dal mio incontro con MARIANO MARCHESE, vidi venire a casa mia, da solo, in campagna, GIOVANNI PULLARA’, il quale mi chiese perché non mi facevo vedere da lui ed io risposi che vivevo appartato perché latitante. Il PULLARA’, comunque, fu gentilissimo e si mise praticamente a mia disposizione.
Ciò ovviamente, non fece che aumentare le mie preoccupazioni, perché è assolutamente inusuale un comportamento siffatto da parte di un “capo-famiglia” ed anche perché non mi riferì nulla né sui motivi delle uccisioni né su quelli della sua visita».
La preoccupazione del CONTORNO aumentava quando apprendeva che il D’AGOSTINO, il quale gli aveva confidato di volersi rifugiare presso ROSARIO RICCOBONO in attesa di emigrare negli U.S.A., era anch’egli scomparso e che PIETRO MARCHESE e GIOVANNELLO GRECO erano stati arrestati all’estero, il che significava che erano fuggiti da Palermo. Egli si rendeva conto, quindi, che, prima o poi, avrebbero tentato di sopprimerlo, in qualsiasi posto.
E ciò infatti, avveniva dopo qualche giorno: «Ero andato – alla guida della mia Fiat 127, intestata a mia suocera, MANDALA’ MARIA – a far visita ai miei genitori, in via Ciaculli, e li’ fui raggiunto da mia moglie, LOMBARDO CARMELA, che aveva con sé mio figlio ANTONELLO con l’amico GIUSEPPE FOGLIETTA verso le 19,30 – 19,45, ripresi la via del ritorno, preceduto da mia moglie, che era andata via qualche minuto prima, portando con sé nostro figlio; il FOGLIETTA, invece, aveva insistito per venire con me e, alla fine, avevo ceduto.
Nell’imboccare il cavalcavia che dalla via Ciaculli immette in via Giafar, notai, prima, PINO D’ANGELO, alla guida di una Fiat 127, che mi precedeva e si lasciò sorpassare, rispondendo al mio saluto; egli procedeva a lenta andatura. Poi, dal punto più alto del cavalcavia, notai, dietro le finestre dell’ultimo piano di uno stabile di cinque o sei piani, sito sulla destra e alla fine del cavalcavia (di guisa che l’ultimo piano è pressoché allo stesso livello del punto più alto del cavalcavia), BUFFA VINCENZO, ivi abitante; subito dopo, sulla sinistra e acquattato fra la cancellata e il muro di cinta del giardino di proprietà del padre, notai MARIO PRESTIFILIPPO e ciò cominciò ad insospettirmi; infine, sbucò improvvisamente dalla destra una motocicletta potentissima e molto silenziosa, alla guida della quale vidi LUCCHESE GIUSEPPE e immediatamente mi resi conto del pericolo; faccio presente che la motocicletta sbucava da una traversa a fondo cieco, sita dopo tre palazzine sulla destra.
Subito dopo, la motocicletta si accostò, dal davanti, alla mia autovettura, dal lato guida, e vidi apparire, dietro il LUCCHESE e seduto dietro quest’ultimo, PINO GRECO “SCARPUZZEDDA” che, sporgendosi sulla sua sinistra, lasciò partire contro di me una raffica di mitra. Io, intuita la mossa, abbandonai il volante e mi buttai sul FOGLIETTA facendogli scudo col mio corpo. La motocicletta proseguì la corsa, una volta esaurita la raffica. Mi resi conto, dallo specchietto retrovisore, che il LUCCHESE e PINO GRECO stavano ritornando e, pertanto, ripresi la marcia della vettura, arrestandola dopo un centinaio di metri. Buttai fuori dalla stessa il FOGLIETTA che era stato ferito ad una guancia e, sceso anch’io dalla vettura, mi acquattai davanti ai fari della stessa con in mano una rivoltella calibro 38 a 5 colpi, per difendermi dal secondo attacco.
Quando scesi dalla vettura, notai, per altro, che una BMW che mi precedeva faceva marcia indietro e notai che alla guida della stessa vi era FILIPPO MARCHESE (“MILINCIANA”) da solo. Comunque, essendo impegnato a respingere l’attacco del PINO GRECO, non feci troppo caso a “MILINCIANA”. Il GRECO, infatti, sopraggiunse, dopo pochi attimi e, con la motocicletta ancora in corsa, riaprì il fuoco contro di me. Son sicuro di averlo colpito, a mia volta, al petto, perché cadde all’indietro e la raffica del mitra si diresse, durante la caduta, verso l’alto, perforando sia una saracinesca, sia il muro del primo piano di uno stabile dietro di me.
Davanti al suo bar, ha assistito a tutta la scena STEFANO PACE (cognato di ENZO BUFFA).
Inoltre, debbo dire che, dietro la motocicletta, vi era una vettura Golf verde, alla cui guida era CUCUZZA SALVATORE e con a bordo altre due persone, che non ho riconosciuto.
Visto cadere il GRECO, mi resi conto che era giunto il momento di scappare e, pertanto, mi diedi alla fuga a piedi.
Successivamente, appresi che PINO GRECO non era stato ferito perché munito di giubbotto antiproiettile. Infatti, mio cugino NINO GRADO mi disse di averlo visto al mare in costume da bagno senza tracce apparenti di ferite.
Io riportai una leggera scalfittura alla fronte ed una ciocca di capelli mi fu strappata da una pallottola di striscio. Ritengo che la ferita alla fronte sia stata provocata da schegge di vetro».
I COMPONENTI DEL COMMANDO La ricostruzione del CONTORNO, quindi, conferma “in toto” l’esito delle indagini sull’attentato e le risultanze della perizia balistica ed al contempo riafferma quella unicità di disegno che collega tutti gli episodi della guerra di mafia e ribadisce le responsabilità di quei soggetti che erano stati già individuati quali autori di altri delitti della guerra stessa.
Ci si riferisce ai famigerati PINO GRECO “SCARPUZZEDDA”, MARIO PRESTILIPPO, FILIPPO MARCHESE, SALVATORE CUCUZZA, e LUCCHESE GIUSEPPE.
[…] Alla stregua di queste considerazioni, appaiono ben chiare, ormai, la dinamica dell’attentato e la responsabilità di tutti gli imputati.
SALVATORE CONTORNO era noto nel suo ambiente per essere un uomo “valoroso”, dotato di sangue freddo e di notevole astuzia; non per nulla godeva della incondizionata fiducia di STEFANO BONTATE, di cui era il guardaspalle.
Essendo falliti, grazie al suo fiuto, i tentativi di MARIANO MARCHESE e GIOVANBATTISTA PULLARA’ di attirarlo in un tranello, era evidente, ormai, che l’unico modo per eliminarlo era quello di organizzare accuratamente un’imboscata, cogliendolo di sorpresa.
E l’attentato era stato effettivamente studiato nei minimi particolari.
Infatti, per evitare che il CONTORNO reagisse, il killer appostato in una strada laterale con la moto era sbucato all’improvviso ad un cenno di intesa, ed aveva esploso una raffica di mitra all’indirizzo del CONTORNO.
Il piano prevedeva ovviamente l’intervento di staffette che avvertissero tempestivamente il killer dell’arrivo di CONTORNO: ed ecco, quindi, il motivo della presenza, lungo il percorso, di GIUSEPPE D’ANGELO e MARIO PRESTIFILIPPO e, alla finestra, di VINCENZO BUFFA.
Le staffette erano verosimilmente munite di apparecchi radio ricetrasmittenti, come e’ dato dedurre dal perfetto tempismo dell’impresa, secondo una tecnica già collaudata dal LUCCHESE per l’esecuzione del delitto BONTATE. Testi tratti dall’ordinanza del maxi processo a cura ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA
A CURA DI CLAUDIO RAMACCINI DIRETTORE CENTRO STUDI SOCIALI CONTRO LE MAFIE – PROGETTO SAN FRANCESCO