Pippo Giordano
Mercoledì 27 settembre e lunedì 2 ottobre, la figlia del magistrato Paolo Emanuele Borsellino, Lucia, suo marito Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta, sono stati ascoltati dalla Commissione Antimafia. Non intendo ripercorrere fatti e circostanze emerse durante l’audizione. Tuttavia, Trizzino ha fatto riferimento a gran parte dell’attività criminale posta in essere dai mafiosi e dalla quale fui coinvolto a Palermo nei primi anni 80. Cito, ad esempio, l’omicidio di Salvatore Inzerillo, del capitano dei carabinieri D’Aleo e dei carabinieri Morici e Bommarito, o l’arresto di Salvatore Montalto. Detto questo sono costretto a confessare, ahimè, che ascoltare la voce di Lucia Borsellino e quella di Fabio Trizzino mi ha procurato immensa commozione.
Non ho mai incontrato né Lucia né Fabio, col quale alcune volte ho interloquito telefonicamente. Dalle loro parole cosi struggenti e pacate nel rivangare il drammatico evento è emerso quel senso dello Stato tanto caro al magistrato Borsellino. Ho avuto l’onore di assistere Borsellino – oltre che Giovanni Falcone – nel compimento dei tre interrogatori del collaboratore Gaspare Mutolo e segnatamente il primo, il 16 e 17 luglio 1992. E mentre Fabio Trizzino raccontava minuziosamente l’umiliazione a cui era sottoposto Paolo Borsellino da parte del suo capo Giammanco, la mia mente ripercorreva quei giorni di luglio ’92.
Proprio il ritardo dell’assegnazione del fascicolo di Mutolo a Paolo Borsellino costrinse a prolungare forzatamente la permanenza mia e di Mutolo in un anonimo appartamento romano, dov’eravamo nascosti. Aspettavo l’ordine per incontrare Borsellino: ordine che tardava ad arrivare. Il primo interrogatorio fu condotto da Paolo Borsellino e il dottor Vittorio Aliquò. Il secondo, del 16, da Gioacchino Natoli, Guido Lo Forte e Paolo Borsellino. E fu in questa circostanza che Mutolo pretendeva di essere interrogato dal solo Borsellino. Ma il dottor Borsellino, quasi risentito, rispose: “Questi due magistrati hanno la mia piena fiducia, come se fossero miei figli, e quindi assisteranno”. Infine, il terzo interrogatorio di venerdì 17 luglio – l’ultimo della vita di Borsellino.
Nel corso degli anni, ho partecipato e continuo a partecipare a numerosi incontri nelle scuole per raccontare ai ragazzi la mafia siciliana e i tanti martiri della violenza mafiosa: miei colleghi della polizia di Stato, carabinieri, magistrati e inermi cittadini. Ad alcuni eventi ho partecipato insieme alla sorella di Borsellino, Rita, suo fratello Salvatore e la figlia Fiammetta. Ma il più bel regalo che ho ricevuto è stato quello della signora Agnese Piraino, moglie del dottor Paolo Borsellino. Una mattina, su mia sollecitazione, intervenne telefonicamente nel corso di un incontro con gli studenti abruzzesi. Il Teatro si ammutolì e gli oltre 500 studenti silenti ascoltarono le parole della signora Agnese: è stato un intervento unico.
Ritornando all’audizione dell’avvocato Trizzino, mi auguro di cuore che finalmente la Commissione Antimafia possa davvero operare in modo certosino e veloce, per dare risposte certe e definitive. Non è umano e nemmeno degno di un Paese civile non avere dopo trent’anni la verità. Occorre accertare compiutamente il tenore di quell’affermazione grave del presagio della sua morte, riferita alla moglie Agnese: “i mandanti saranno i miei colleghi”. Parimenti, anche la definizione che Paolo Borsellino diede della Procura di Palermo, “nido di vipere”, dovrebbe essere analizzata, senza far sconti a nessuno. Altresì, occorre investigare a tutto campo sull’ormai noto fascicolo Mafia/Appalti, che a quanto pare sembra essere la causa dell’accelerazione della strage di via D’Amelio.
La sete di verità non appartiene solo alla famiglia Borsellino o ai familiari dei miei colleghi della polizia di Stato, morti in via D’Amelio, ma all’intero popolo italiano. Chiudo dicendo che sono rimasto particolarmente colpito dalle parole della presidente della Commissione, Chiara Colosimo, e quindi auguro sia a lei che all’intera Commissione buon lavoro. Attendo fiducioso la verità su via D’Amelio; verità sinora negata anche con lapalissiano depistaggio.