PAOLO BORSELLINO – biografia Wikiwand

 

Paolo Emanuele Borsellino (Palermo19 gennaio 1940 – Palermo19 luglio 1992) è stato un magistrato italianovittima di Cosa nostra nella strage di via D’Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino CatalanoEmanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[2]), Vincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina. Assieme a Giovanni Falcone, collega e amico fino alla morte, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale.

Il religiosissimo Borsellino durante la Prima comunione, tra il 1947 e il 1951.

Secondo figlio di Diego Borsellino (19101962)[3][4] e di Maria Pia Lepanto (19091997)[5][6], Paolo Emanuele nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi, con il quale ebbe un’amicizia mai incrinatasi. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (19382011)[7], dal fratello minore Salvatore (1942) e dall’ultimogenita Rita (19452018). Portava lo stesso nome del nonno paterno.[3]

Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo Paolo si iscrisse al liceo classico “Giovanni Meli” di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco “Agorà”. L’11 settembre 1958 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo con numero di matricola 2301[8]. Dopo una rissa tra studenti simpatizzanti di destra e sinistra, finì erroneamente in tribunale dinanzi al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità all’accaduto. Il giudice sentenziò che Borsellino non fosse implicato nell’episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d’Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini, di cui divenne membro dell’esecutivo provinciale e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN “Fanalino” di Palermo[9]. Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa” con relatore il professor Giovanni Musotto.[10] Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all’età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò, allora, con l’ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120 000 lire al mese[11] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l’esonero dal servizio militare di leva poiché egli risultava “unico sostentamento della famiglia”.

Nel 1967 Rita si laureò in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa. Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto (19422013)[12][13], figlia di Angelo Piraino Leto (19091994)[14], a quel tempo magistrato, presidente del tribunale di Palermo. Dalla moglie Agnese ebbe tre figli: Lucia (1969), Manfredi (1971) e Fiammetta (1973).[15]

L’ingresso nella magistratura

Nel 1963 Borsellino partecipò a un concorso per entrare nella magistratura italiana; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando[16], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d’Italia.[17] Incominciò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile.[18] Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei Carabinieri.

Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo[19]. Nel 1980 continuò l’indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille cominciata dal commissario Boris Giuliano (ucciso nel 1979), lavorando sempre insieme con il capitano Basile[20][21]. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell’Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell’Ufficio, come di “adozione” non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch’essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[22].

Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

L’esperienza del pool antimafia

Lo stesso argomento in dettaglio: Pool antimafia.

Chinnici istituì presso l’Ufficio istruzione un “pool antimafia”, ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme con Giovanni FalconeGiuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell’esplosione di un’autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnetto nominato al suo posto.

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue, cosa che avrebbe potuto consentire una maggiore efficacia nell’esercizio della azione penale il cui coordinamento avrebbe consentito di fronteggiare meglio il fenomeno mafioso nella sua globalità.[22] Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che Caponnetto aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero “quasi delle dispense sulla lotta alla mafia“. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, “si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza[22]. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio; nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, la cui attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra PalermoRomaBari e Bologna[23].

Senza il camino fa freddo…Pochi giorni prima di essere assassinato Borsellino incontrò lo scrittore Luca Rossi, cui raccontò diversi aneddoti della sua esperienza professionale, fra i quali uno riguardante degli accertamenti che insieme a Falcone aveva condotto in merito ad alcune delle rivelazioni di Tommaso Buscetta, che aveva descritto minuziosamente la villa dei cugini Salvo. Tale descrizione, cruciale per attestare l’attendibilità del teste (e ancora più cruciale dato il ruolo assai rilevante che quest’ultimo stava acquisendo nell’azione complessiva del pool, che su questo spendeva la sua credibilità operativa), parlava di un grande salone che aveva al centro un grande camino. Durante il sopralluogo nella villa, però, quasi tutto corrispondeva al racconto del pentito, meno che il camino, che non c’era.

Falcone allora, guardando costernato Borsellino, fece il gesto della pistola alla tempia e gli disse “adesso possiamo spararci tutt’e due“. La discrepanza poteva infatti in rapida successione rendere inattendibile il teste, privare l’impianto dell’indagine di uno dei suoi tasselli centrali, esporre l’intero pool alle accuse già ventilate di approssimazione professionale o, peggio, di intenti persecutori nei confronti di cittadini estranei ai fatti.

Borsellino avvicinò il custode della villa e, dopo averci chiacchierato di cose insignificanti, a un certo punto gli chiese per curiosità cosa usassero per scaldarsi d’inverno. Il custode rispose: “Col camino. Ma d’estate lo spostiamo in giardino”[24].

Il periodo all’Asinara e il maxiprocesso di Palermo

Lo stesso argomento in dettaglio: Maxiprocesso di Palermo.

Per ragioni di sicurezza, nell’estate 1985 Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati in base alle indagini del pool.[25] Per tale periodo, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso.[26] Intanto il maxiprocesso di Palermo che scaturì dagli sforzi del pool cominciò in primo grado il 10 febbraio 1986, presso un’aula bunker appositamente costruita all’interno del carcere dell’Ucciardone a Palermo per accogliere i numerosi imputati e numerosi avvocati.[27], concludendosi il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli[28]

La nomina a procuratore a Marsala

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese e ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all’anzianità di servizio[29].

Secondo il collega Giacomo Conte[30] la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva a una sua intuizione per la quale l’accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell’azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, “solo apparentemente periferica”, fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

Di parere difforme fu Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che “nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso“, a conclusione di un’esposizione principiata con due autocitazioni[31]. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti “professionisti dell’antimafia”. Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 a un dibattito, organizzato da La Rete e da MicroMega, sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: “Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia[32][33].

In seguito a due puntate della trasmissione Rai di Corrado Augias Telefono giallo trasmesso su Rai 3, durante il suo periodo a Marsala si occupò anche del caso della Strage di Ustica, e del caso del triplice rapimento e omicidio di tre bambine avvenuto nel 1971 a Marsala, noto con il nome di Mostro di Marsala, che riapri nel 1989, casi trattati tutte e due dalla trasmissione del giornalista Augias.

«Il vero obiettivo del CSM era eliminare al più presto Giovanni Falcone»
(Durante il Convegno de La Rete del 25 giugno 1992)
«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Consiglio superiore della magistratura, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli.»
(Durante il Convegno de La Rete del 25 giugno 1992)

La fine del pool e la stagione dei veleni

Nel 1987, mentre il maxiprocesso di Palermo si avviava alla sua conclusione, Antonino Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Consiglio superiore della magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.

Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, in occasione conviviale il 25 gennaio 1988, riconciliati dopo la polemica sui “professionisti dell’antimafia”.

Borsellino parlò allora in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla Procura della Repubblica di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a la Repubblica e a L’Unità, riferendosi al CSM, dichiarò tra l’altro espressamente: “si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio“, “hanno disfatto il pool antimafia“, “hanno tolto a Falcone le grandi inchieste“, “la squadra mobile non esiste più“, “stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa“. Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta)[34]. A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di giustizia.

Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme con giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Cominciava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l’istituzione della Superprocura.

Nel settembre 1990 intervenne alla festa nazionale del Fronte della Gioventù a Siracusa, insieme al parlamentare regionale del MSI Giuseppe Tricoli, e agli allora dirigenti giovanili Gianni Alemanno e Fabio Granata[35].

Gli attentati progettati e il trasferimento a Palermo

Nel settembre del 1991Cosa nostra aveva già abbozzato progetti per l’uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano a cui il suo capo Francesco Messina Denaro aveva detto di tenersi pronto per l’esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare mediante un fucile di precisione o con un’autobomba[36]. Tuttavia Calcara fu arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fece assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle “regole” mafiose e sufficiente a costargli la vita; se da latitante poteva ancora essere utilizzato per “lavori sporchi”, da carcerato invece gli restava solo la condanna a morte emessa dall’organizzazione. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l’incarico, disse: “lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla“. Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: “nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d’onore mi abbracciasse[37].

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto, insieme con il sostituto procuratore Antonio Ingroia.[19]

Elezione del Presidente della Repubblica e Capaci

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Capaci.

Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1992, l’allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze[38]. Al sedicesimo scrutinio (avvenuto dopo la strage di Capaci) fu eletto Oscar Luigi Scalfaro.

Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio MontinaroVito Schifani e Rocco Dicillo. Falcone morì fra le sue braccia in ospedale, senza però riprendere conoscenza.[39] Dichiarò, citando Ninni Cassarà:

«Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.
Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”
(Paolo Borsellino, intervista rilasciata a Lamberto Sposini il 24 giugno 1992)

Le dichiarazioni sul ruolo della politica

«L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. e NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.»
(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

Borsellino rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l’isolamento dei giudici e l’incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all’omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice “sovraesposto” è destinato a fare.[40]

Alla presentazione di un libro[41] alla presenza dei ministri dell’interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla “Superprocura”; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso e invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: “dal suo viso trapela una indignazione senza confini”[42]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: “La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento[43].

«All’inizio degli anni settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso»
(Paolo Borsellino, intervista a Canal+, 21 maggio 1992.)

In questa sua penultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra cosa nostra e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. Alla domanda se Mangano fosse un “pesce pilota” della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era sicuramente una testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, benché esplicitamente sollecitato dall’intervistatore, si astenne da qualsiasi giudizio, poiché coperto dal segreto istruttorio.

C’era chi non aveva interesse che questa intervista venisse diffusa e diventasse popolare in Italia, tanto che viene anche indicata come “L’intervista nascosta”.[45], la quale venne acquisita eccezionalmente nel 2000 da Rai News 24, dopo un fortunoso ritrovamento del nastro da parte della famiglia Borsellino, e fu proposta per essere trasmessa in vari programmi e telegiornali Rai di prima e seconda serata, incontrando però la ritrosia dei vari conduttori che non vollero trasmetterla (fu poi trasmessa solo sul canale satellitare Rai News 24 il 19 settembre 2000 alle ore 23).

La strage di via D’Amelio e la morte

Via D’Amelio dopo l’attentato a Borsellino del 19 luglio 1992.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela LoiAgostino CatalanoVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina[46].

L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.[47]

Il 24 luglio circa 10 000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese infatti accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco CossigaGianfranco FiniClaudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche applauso. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all’arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neopresidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l’ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: “Fuori la mafia dallo Stato”. Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.[48]

La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.

Tutto è finito…“, intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che “Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze[49].

Riguardo l’ultima intervista concessa dal magistrato italiano, nel numero de L’Espresso dell’8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell’intervista[50].

L’intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell’Utri:

«Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal Dott. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l’indubbio rilievo di un simile documento.»
(Dalla sentenza di condanna di Dell’Utri pag. 431[51])

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l’intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di “cavalli in albergo” per indicare un traffico di droga, non si riferiva a una telefonata fra Dell’Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell’intervistatore (che faceva riferimento a un’intercettazione dell’inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma a una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[52]

Nella sentenza Dell’Utri fu poi riportato il brano dell’intervista relativo all’uso del termine “cavalli” per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l’intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell’Utri[53], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un “cavallo”, a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell’intervista a Borsellino.[54]. La sentenza specificava però che:

«Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell’Utri e i diversi personaggi all’attenzione degli investigatori.»

La versione dell’ultima intervista a Borsellino venne mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. La trascrizione dell’intervista integrale è stata pubblicata sul sito web 19luglio1992.org.[55]

Il dibattito sulla strage di Stato

Via D’Amelio: l’albero che ricorda il luogo dell’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Diversi autori hanno parlato della strage di via D’Amelio come strage di stato:

«Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.»
(Lirio AbbatePeter Gomez[56])

Nell’introduzione del libro L’agenda rossa di Paolo Borsellino Marco Travaglio scrive:

«Oggi, quindici anni dopo, non è cambiato nulla. L’impressione è che, ai piani alti del potere, quelle verità indicibili le conoscano in tanti, ma siano d’accordo nel tenerle coperte da una spessa coltre di omissis. Per sempre. L’agenda rossa è la scatola nera della Seconda Repubblica. Grazie a questo libro cominciamo a capire qualcosa anche noi»
(Marco Travaglio[57])

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, parla esplicitamente di “strage di Stato”:

«Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. […] Hanno messo in galera un po’ di persone – tra l’altro condannate per altri motivi e per altre stragi – e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull’argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa – televisione e giornali – è caduta in questa chiamiamola “trappola” […] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente […] è che questa è una strage di stato, nient’altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ’92»
(Salvatore Borsellino[58])

Il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, ritiene che la trattativa stato mafia ci sia stata e che Paolo Borsellino fu ucciso perché secondo il boss Salvatore Riina, ostacolava questa trattativa,[59]:

«”deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta ‘trattativa’ tra appartenenti alle istituzioni e l’organizzazione criminale Cosa nostra”.»

dopo aver interrogato Salvino Madonia, il capomafia che ha partecipato alla riunione di Cosa nostra nella quale i mafiosi decisero l’avvio della strategia stragista[60].

Nel 2012 in base ad alcune dichiarazioni rilasciate dal colonnello dell’Arma dei Carabinieri Umberto Sinico, sentito come testimone, si può stabilire che Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di cosa nostra, ma che preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che l’organizzazione scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia.[61]

In occasione della ricorrenza dei 25 anni dalla strage di via D’Amelio Fiammetta Borsellino, ultimogenita del magistrato Paolo, in un’intervista dice:

«Ai magistrati in servizio dopo la strage di Capaci rimprovero di non aver sentito mio padre nonostante avesse detto di voler parlare con loro. Dopo via D’Amelio riconsegnata dal questore La Barbera la borsa di mio padre pur senza l’agenda rossa, non hanno nemmeno disposto l’esame del DNA. Non furono adottate le più elementari procedure sulla scena del crimine. Il dovere di chi investigava era di non alterare i luoghi del delitto. Ma su via D’Amelio passò la mandria di bufali.[62]»

La zia Rita Borsellino ribadisce l’autorevolezza di queste affermazioni dicendo:

((citazione|Fiammetta ha l’autorevolezza per dire queste cose, anche perché fino adesso non ha mai detto niente, per cui quello che dice è Vangelo. La ricerca della verità si fa sempre.[62]}

Tutto questo però resta a livello di mera speculazione in quanto non si è mai trovata prova certa del coinvolgimento di pezzi dello Stato nella preparazione ed esecuzione della strage. Dubbi sussistono tuttora anche sul fatto che Borsellino avesse con sé l’agenda rossa al momento della strage, in quanto molti collaboratori del magistrato assicurano che Borsellino portasse con sé il documento solo quando aveva appuntamenti di lavoro, quando era fuori servizio l’agenda veniva tenuta nella cassaforte del suo ufficio.

Riconoscimenti e influenza

Francobollo commemorativo.

«Io accetto la… ho sempre accettato il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il… la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare… dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.»
(Paolo Borsellino, intervista a Sposini, inizio luglio 1992)

Alla memoria del magistrato italiano furono intitolate numerose scuole e associazioni, nonché (insieme all’amico e collega) l’aeroporto internazionale “Falcone e Borsellino” (ex “Punta Raisi”, Palermo), l’aula principale (aula I) della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza – Università di Roma e l’aula del consiglio comunale della città di Castellammare di Stabia.

La facoltà universitaria di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia intestò una delle sue aule più suggestive di Palazzo dei Mercanti ai giudici Falcone e Borsellino. Dal 2011, l’aula delle udienze della Corte d’Appello di Trento è dedicata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.[63][64]. A Torino il Palazzo di Giustizia si trova tra via Giovanni Falcone e via Paolo Borsellino.

«Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un’altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.»

(Antonino Caponnetto, intervista a Gianni Minà, maggio 1996[49])

Teatro, cinema, televisione, musica.

Anche il teatro, il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano. Tra i più rilevanti:

Nella musica, il magistrato è ricordato nelle seguenti composizioni originali a lui ispirate:

Onorificenze

  Medaglia d’oro al valor civile
 

«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.[65]»
— Palermo, 19 luglio 1992

 

note

  1. ^ Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, La mafia fa schifo, Mondadori, 2011 – ISBN 88-520-2117-5
    Visualizzazione limitata su Google Libri: La mafia fa schifo, Edizioni Mondadori. URL consultato il 15 febbraio 2019 (archiviato il 15 febbraio 2019).
  2. ^ Pier Giorgio Pinna, Storia di Emanuela morta in divisa a ventiquattro annila Repubblica, 21 luglio 1992. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 12 giugno 2018).
  3. ^ a b Italia: Ministero dell’educazione nazionale, Bollettino ufficiale, 1935, p. 871.
  4. ^ Il valore di una vita
  5. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia N. 227 del 29 Settembre 1933, su augusto.agid.gov.it. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 15 marzo 2017).
  6. ^ È morta la madre di Borsellino, il giudice ucciso in via D’Amelio, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 22 agosto 2012 (archiviato il 10 novembre 2012).
  7. ^ Palermo, Paolo Borsellino, su partecipiamo.it. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 9 agosto 2017).
  8. ^ Umberto Lucentini, Il mio mal d’Africa, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 37, ISBN 88-215-4968-2.
  9. ^ Umberto Lucentini, Paolo Borsellino, 2003, Edizioni San Paolo
  10. ^ Paolo Borsellino, Il fine dell’azione delittuosa. Tesi di laurea di Paolo Emanuele Borsellino. Anno accademico 1961-1962, Milano, Giuffrè Editore, 2011, ISBN 978-88-14-15759-2OCLC 848924710. URL consultato il 19 luglio 2016 (archiviato il 17 agosto 2016).
  11. ^ Il valore di una vita, pag. 35
  12. ^ È morta Agnese Borsellino, su fanpage.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 13 marzo 2020.
  13. ^ Morta Agnese, moglie di Paolo Borsellino, su corriere.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 13 marzo 2020 (archiviato il 30 aprile 2020).
  14. ^ Archivio biografico comunale Palermo Archiviato il 4 novembre 2012 in Internet Archive.
  15. ^ Ciro Pellegrino, È morta Agnese Borsellino, Fanpage.it, 5 maggio 2013. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 4 marzo 2016).
  16. ^ Temi assegnati – Saranno Magistrati, su sarannomagistrati.it. URL consultato il 18 dicembre 2010 (archiviato il 23 dicembre 2010).
  17. ^ La Storia siamo noi – Paolo Borsellino Archiviato il 27 novembre 2007 in Internet Archive.
  18. ^ Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia con 5 agenti della sua scorta nella strage di via D’AmelioIl Sole 24 ORE, 16 luglio 2015. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 22 luglio 2015).
  19. ^ a b Paolo Borsellino in Enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 2 febbraio 2014).
  20. ^ ‘ UCCISE IL CAPITANO BASILE’ PER RIINA È IL CARCERE A VITA – La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 9 dicembre 2019).
  21. ^ Umberto Lucentini, Hanno ucciso il capitano, in Paolo Borsellino, 3ª ed., Druento, Edizioni San Paolo, 2006 [2004], pp. 57, ISBN 88-215-4968-2.
  22. ^ a b c La Storia siamo noi – Paolo Borsellino, su rai.tv. URL consultato il 20 luglio 2009 (archiviato il 28 settembre 2011).
  23. ^ Giuseppe Cerasa, Un altro pentito parla, 56 arrestila Repubblica, 26 ottobre 1984. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 15 luglio 2018).
  24. ^ Riassunto dal relato di Enrico DeaglioRaccolto rosso: la mafia, l’Italia e poi venne giù tutto, Feltrinelli, 1993 – ISBN 88-07-12010-0
  25. ^ Falcone sfuggiva ai mafiosi, lo Stato presentava il conto Archiviato il 2 febbraio 2014 in Internet Archive. Corriere della Sera, 17 giugno 1992
  26. ^ Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l’assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, pag. 121
  27. ^ Palermo è una città blindata, i giudici temono l’isolamento – La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 6 gennaio 2014).
  28. ^ I giudici hanno creduto a Buscetta – La Repubblica.it, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato il 6 gennaio 2014).
  29. ^ “Notiziario straordinario” n. 17 del 10 settembre 1986 del Consiglio superiore della magistratura:
  1. ^ Giacomo Conte (procuratore a Gela), Lo sdegno e la speranza: la lezione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in (a cura di) Franco Occhiogrosso, Ragazzi della mafia: storie di criminalità e contesti minorili, voci dal carcere, le reazioni e i sentimenti, i ruoli e le proposte, FrancoAngeli, 1993 – ISBN 88-204-7972-9
  2. ^ Leonardo SciasciaI professionisti dell’antimafia, ItaliaLibri, 2 luglio 2007. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 24 giugno 2001).
  3. ^ Una fra le numerose fonti online, su societacivile.it. URL consultato il 20 luglio 2009 (archiviato il 25 marzo 2009).
  4. ^ Trascrizione intervento Archiviato il 17 luglio 2010 in Internet Archive.
  5. ^ Disse lo stesso Borsellino durante la serata alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno 1992: “per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime, e forse questo lo avevo pure messo nel conto, ma quel che è peggio il Consiglio superiore immediatamente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfittando del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l’opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio. L’opinione pubblica fece il miracolo, perché ricordo quella caldissima estate dell’agosto 1988, l’opinione pubblica si mobilitò e costrinse il Consiglio superiore della magistratura a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi di agosto, tant’è che il 15 settembre, se pur zoppicante, il pool antimafia fu rimesso in piedi. “. Nello stesso intervento commentò la mancata nomina di Falcone: “Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli.
  6. ^ Eduardo Di Blasi, Un “destro” da Rauti a Borsellino, in Il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2010. URL consultato il 19 luglio 2011 (archiviato dall’url originale il 1º agosto 2012).
  7. ^ Umberto Rosso, ‘ Cosi’ quel sicario mi abbraccio’ e disse: lei doveva morire’la Repubblica, 7 maggio 1992. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 4 marzo 2016).
  8. ^ Relato testuale del pentito in La Storia siamo noi – Paolo Borsellino Archiviato il 28 settembre 2011 in Internet Archive. (fonte per l’intero paragrafo)
  9. ^ 20 maggio: I parlamentari del MSI votano Paolo Borsellino alle elezioni per la Presidenza della Repubblica. La replica di Borsellino non si fa attendere: “Avevo già appreso la notizia – ribatte il Procuratore aggiunto con una dichiarazione al Gr1 – perché il mio vecchio compagno di scuola nonché amico, l’onorevole Guido Lo Porto, mi aveva telefonato dicendo che il Msi aveva l’intenzione di candidarmi e domandandomi se io gradivo una votazione del genere”… cifr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere
  10. ^ Giovanni Falcone comunista del PCI di Berlinguer dal 1976 (PDF), su iskra.myblog.it, 21 aprile 2012. URL consultato il 13 marzo 2020.
  11. ^ Trecce di uomini – Paolo Borsellino
  12. ^ “Gli uomini del disonore”, di Pino Arlacchi
  13. ^ Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994
  14. ^ e Paolo rifiuto’ il posto di Falcone Archiviato il 10 novembre 2012 in Internet Archive. Corriere della Sera, 16 gennaio 1994
  15. ^ Video dell’intervista, su agoravox.it. URL consultato il 3 maggio 2019 (archiviato il 13 dicembre 2017).
  16. ^ Testo dell’intervista, su 19luglio1992.com. URL consultato il 27 febbraio 2017 (archiviato il 16 maggio 2017).
  17. ^ Mafia strikes one more from its enemy hit list. John Phillips. The Times (London, England), Monday, July 20, 1992; pg. 10; Issue 64389.
  18. ^ l’agente superstite: ” vivo per miracolo” Corriere della Sera, 21 luglio 1992, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 12 febbraio 2010 (archiviato il 22 febbraio 2010).
  19. ^ In ricordo di Paolo Borsellino da giovanicislcatania.wordpress.com, 19 luglio 2012., su giovanicislcatania.wordpress.com. URL consultato il 2 maggio 2015 (archiviato il 4 marzo 2016).
  20. ^ a b Intervista di Minà a Caponnetto, su giannimina.it. URL consultato il 20 luglio 2009 (archiviato il 4 marzo 2016).
  21. ^ trascrizione dell’intervista Archiviato il 4 luglio 2009 in Internet Archive. pubblicata su L’Espresso dell’8 aprile 1994, dal sito di Rai News 24
  22. ^ sentenza Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive. dell’11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell’Utri
  23. ^ 
  24. ^ Rapporto 0500/CAS del 13 aprile 1981 della Criminalpol di Milano.
  25. ^ Trascrizione di un’intercettazione telefonica tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri, sentenza Archiviato il 28 settembre 2007 in Internet Archive. dell’11 dicembre 2004, relativa al procedimento contro Marcello Dell’Utri, pag. 483 e seguenti, proveniente dal rapporto 0500/CAS dell’aprile 1981 della Criminalpol di Milano
  26. ^ Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, 19luglio1992.org. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato dall’url originale l’11 maggio 2017).
  27. ^ Lirio AbbatePeter GomezI complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento, p. 36
  28. ^ L’agenda rossa di Paolo Borsellino, su chiarelettere.ilcannocchiale.it. URL consultato il 18 marzo 2009 (archiviato il 5 marzo 2009).
  29. ^ Intervista RAI a Salvatore Borsellino fratello di Paolo Borsellino[collegamento interrotto]
  30. ^ Svolta su via D’Amelio, 4 arresti. Il Gip: Borsellino ucciso perché ostacolava la trattativa tra Stato e mafia Archiviato il 4 novembre 2014 in Internet Archive.. Tiscali. Cronaca. 8 marzo 2012.
  31. ^ Il generale Subrannila Repubblica, 10 marzo 2012. URL consultato il 6 febbraio 2019 (archiviato il 4 novembre 2014).
    «Dice Subranni: «Le notizie di stampa sulla strage Borsellino, con riferimento alle accuse a me rivolte, sono totalmente false e in sede giudiziaria, ove necessario, fornirò ampie e incontrovertibili prove in tal senso»».
  32. ^ “Borsellino sapeva di morire ma scelse di sacrificarsi”la Repubblica, 3 febbraio 2012. URL consultato il 5 febbraio 2012 (archiviato il 13 febbraio 2018).
  33. ^ a b Le accuse della figlia di Borsellino. Rita: ‘Sue parole Vangelo’ANSA, 19 luglio 2017. URL consultato il 3 febbraio 2019 (archiviato il 22 ottobre 2018).
  34. ^ Targa per i magistrati, «Trentino», 22 maggio 2011, 17
  35. ^ L’aula della corte d’appello intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, «L’Adige», 22 maggio 2011, 15
  36. ^ Medaglia d’oro al valor civile, su quirinale.it. URL consultato il 12 marzo 2020.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Agnese Borsellino e Salvo PalazzoloTi racconterò tutte le storie che potrò , Feltrinelli, Milano, 2013, ISBN 978-88-07-07030-3.
  • Maurizio Calvi, Crescenzo Fiore, Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l’assassinio di G. Falcone e P. Borsellino, Dedalo, 1992, ISBN 978-88-220-6137-9.
  • Giustizia e Verità. Gli scritti inediti di Paolo Borsellino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Ed. Associazione Culturale Falcone e Borsellino, 2003.
  • Rita Borsellino, Il sorriso di Paolo, EdiArgo, Ragusa, 2005.
  • Umberto LucentiniPaolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori 1994, riedito San Paolo 2004.
  • Giammaria MontiFalcone e Borsellino: la calunnia il tradimento la tragedia, Editori Riuniti, 1996.
  • Leone Zingales, Paolo Borsellino – una vita contro la mafia, Limina, 2005.
  • Rita BorsellinoFare memoria per non dimenticare e capire, Maria Pacini Fazzi Editore, 2002.
  • Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, L’agenda rossa di Paolo BorsellinoChiarelettere, 2007.
  • Fondazione Progetto Legalità Onlus in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia, La memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuolePalumbo Editore, 2005.

Voci correlate

COLLEGAMENTI ESTERNI
Paolo Borsellino
, su Treccani.it – Enciclopedie on lineIstituto dell’Enciclopedia Italiana.