Nostra nota
E invece scomparve proprio nel nulla da Via D’Amelio. Non é rimasta sempre in Procura. E’ l’unica cosa certa. Quello che ancora non è stato accertato è chi l’ha fatta sparire.
La borsa di Paolo Borsellino e soprattutto la sua agenda rossa sono sempre rimaste in Procura a Palermo. È ormai quasi certo, infatti, che l’agenda dove il giudice siciliano annotava i suoi appunti più riservati non scomparve nel nulla dopo la strage di via D’Amelio del 19 luglio del 1992.
La circostanza che l’agenda fosse nella stanza del magistrato in Procura a Palermo è riportata nel libro di recente pubblicazione scritto da Vincenzo Ceruso e dal titolo La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio, edito da Newton Compton Editor.
“Sono stati apposti i sigilli alla stanza dell’ufficio del procuratore Borsellino, dove era collocata un’agenda rossa”, ricorda Salvatore Pilato, all’epoca pm di turno alla Procura di Palermo, di cui Ceruso ha recuperato l’inedita testimonianza.
Per la sparizione dell’agenda venne indagato l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, diventato suo malgrado famoso dopo che una foto l’immortalò con in mano la borsa di Borsellino. Si trattava di un fotogramma, scattato tra le 17,20 e le 17,30 del 19 luglio 1992, scoperto casualmente solo nel 2005.
Dopo la sua pubblicazione venne aperta un’inchiesta penale e Arcangioli,nel 1992 in servizio al Nucleo operativo del comando provinciale di Palermo, finì indagato per il furto dell’agenda da cui sarà prosciolto definitivamente nel 2009.
“Prelevai (l’agenda) e (la) portai dove stavano in attesa il dottore Ayala (Giuseppe) e il dottore Teresi (Vittorio)”, disse Arcangioli. “Uno dei due predetti magistrati – specificò l’ufficiale – aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati. Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”.
La dinamica è dunque chiara. Arcangioli consegnò la borsa all’ispettore di polizia Giuseppe Lo Presti, che stava procedendo per competenza, il quale ordinò poi al collega Armando Infantino di collocarla nell’auto di servizio guidata dall’agente Francesco Maggi.
Da quel momento i ricordi si confondono e non è chiaro se la borsa sia stata portata direttamente in Questura o se ci sia stato un passaggio nella Procura di Palermo. C’è solo la versione di Maggi che dice di averla consegnata a un funzionario della questura che poi l’avrebbe data al questore Arnaldo La Barbera.
Sul punto il vice questore palermitano Andrea Grassi testimoniando a Caltanissetta affermò che “nell’immediatezza dell’evento non ho redatto atti di P.G. o, quanto meno, non ne ho ricordo, mentre ricordo che, credo nella tarda serata di quel giorno, ho coadiuvato magistrati della Procura di Palermo nell’ispezione dell’ufficio del dottor Borsellino, presso la Procura di Palermo, per essere più precisi”.
A tal proposito è importate ricordare la testimonianza di Lucia e Manfredi Borsellino. Il giorno dopo la strage infatti, raccontarono i figli del magistrato, avevano partecipato all’inventario dell’ufficio del padre alla Procura di Palermo, notando la mancanza di tutti i fascicoli delle ultime inchieste che stava seguendo.
Circostanza successivamente confermata anche dalla moglie Agnese. In questa ricostruzione manca dunque un particolare fondamentale: le testimonianze dei magistrati di Palermo che non solo erano sul posto subito dopo la strage ma, come emerge dai verbali al Csm del 1992 e, in particolare, dalle parole degli ex pm Gioacchino Natoli e Vittorio Aliquò, hanno anche visto il contenuto della borsa, fra cui il verbale delle dichiarazioni di Gaspare Mutolo.
Sono stati sentiti? Hanno redatto una annotazione di servizio? E l’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco è stato mai interrogato prima di morire? La risposta, purtroppo, è negativa ed apre scenari quanto mai inquietanti.
La procura di Caltanissetta adesso ha deciso di procedere nei confronti di La Barbera, morto nel 2002, e ritenuto responsabile della sparizione dell’agenda.
Sarebbe opportuno, invece, interrogare tutti i colleghi ancora in vita di Borsellino, iniziando proprio da Pilato, attualmente presidente della Corte dei conti siciliana, che in maniera disarmante ad oltre trent’anni di distanza ha affermato che l’agenda è sempre stata nell’ufficio del magistrato. Prima che qualcuno la facesse sparire.
Paolo Comi L’UNITA’ 6.12.2023