Matteo Messina Denaro, dalla latitanza all’arresto: la storia del boss della mafia

 

Nato a Castelvetrano nel ‘62, è rimasto irreperibile dal 1993 fino al suo arresto, avvenuto il 16 gennaio 2023. L’ultima volta era stato visto in vacanza a Forte dei Marmi. Poi di lui, ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Di Matteo, si erano perse le tracce. L’8 agosto le sue condizioni di salute si sono aggravate ed è stato trasferito nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Il 22 settembre il coma irreversibile, muore il 25 settembre

Diabolik, U siccu (il secco). Oppure Alessio, come si firmava nei pizzini ritrovati dagli investigatori nel covo di Binnu Provenzano, a Montagna dei Cavalli. Sono questi alcuni dei soprannomi con cui era conosciuto Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa Nostra rimasto latitante per 30 anni e arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo. L’8 agosto le condizioni di salute di Messina Denaro, affetto da un tumore, sono peggiorate ed è stato trasferito nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Il 22 settembre la notizia del coma irreversibile e la decisione dei medici di sospendere l’alimentazione: il boss è morto il 25 settembre 2023 (IL VIDEO ESCLUSIVO DI SKY TG24 DELLA CATTURA DI MESSINA DENARO – LE IMMAGINI DI UNA GIORNATA STORICA – LE DONNE NELLA VITA DEL BOSS).
 

È nato a Castelvetrano nel 1962

Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. Era nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Il papà Francesco, don Ciccio, era il capo mandamento della zona. Da lui Messina Denaro ha imparato anche i segreti della latitanza: dopo anni di ricerche, l’uomo fu trovato solo nel 1998 – morto stroncato da un infarto – nelle campagne vicino al paese. Da allora ha comandato Matteo. Prima nella provincia di Trapani, poi in Sicilia. Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto del boss si è messo agli ordini di Provenzano, padrino con cui scambiava pizzini pieni di rispetto e di affetto, ma che in realtà seguiva solo in parte. Perché Messina Denaro preferiva l’azione. Poi, quando i boss sopra di lui sono caduti a uno a uno, Diabolik ha iniziato a contare sempre di più. Ed è diventato tra gli uomini più ricercati al mondo.

La latitanza iniziata nell’estate 1993

La sua latitanza era iniziata nell’estate del 1993. L’ultima volta era stato visto in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Poi nei suoi confronti era stato emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. E da allora Messina Denaro è rimasto irreperibile, fino all’arresto del 16 gennaio 2023. Nessuna traccia. C’era chi assicurava che viveva in Sicilia, spostandosi di continuo. Chi parlava di interventi chirurgici al viso e ai polpastrelli. Chi diceva che fosse protetto dalla ‘ndrangheta. Chi di volta in volta lo collocava sulle tribune di uno stadio o in una spiaggia all’estero.

Le ricerche

Polizia e carabinieri più volte sono stati a un passo dalla cattura, ma per molti anni è riuscito a farla franca, potendo contare su una fitta rete di protezione in Sicilia e nel Nord Italia. Non solo picciotti, ma anche gente che conta. Si sospetta che avesse legami persino con personaggi vicini ai servizi segreti, con i quali – come emerso da alcune indagini – avrebbe avuto rapporti. Attorno al boss mafioso, ritenuto il più pericoloso in circolazione, polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno fatto negli anni terra bruciata. In carcere sono finiti decine di fiancheggiatori e uomini d’onore che ne hanno garantito la latitanza, ma anche suoi familiari (come la sorella).

L’amore per il lusso

Difficile, comunque, distinguere il vero e il falso, la realtà e le leggende, in quello che di lui dicevano informatori e pentiti. Boss della new generation, di Matteo Messina Denaro si racconta che amasse il lusso, le donne, i viaggi, le auto, i vestiti. E i soldi, montagne di soldi che gli hanno permesso di fare il salto da Castelvetrano ai salotti che contano. Insomma, Matteo U siccu sarebbe stato lontano anni luce dallo stereotipo del capomafia semi-analfabeta, che mangia pane e cicoria, che si nasconde in tuguri sotterranei in chissà quale rudere sperduto di campagna.

Il tesoro del boss

Quel che ha sempre sorpreso più di tutto gli inquirenti è l’immenso tesoro accumulato dal boss. Miliardi di euro, frutto di attività illecite in ogni campo, che hanno fatto di Matteo Messina Denaro uno tra i mafiosi più abili nella gestione dei proventi criminali. Negli ultimi anni, gli investigatori hanno sequestrato centinaia di beni mobili e immobili riconducibili al latitante. I suoi interessi spaziavano dalle grande distribuzione organizzata all’edilizia. Persino un grande parco eolico è finito coi sigilli. Nelle mani di Messina Denaro sarebbe finito persino un risarcimento di 2 milioni di euro a vittime di mafia. Le tante inchieste sul boss di Castelvetrano hanno permesso allo Stato di acquisire palazzi, ville, appartamenti, terreni, magazzini, autovetture e decine di conti correnti bancari e polizze assicurative: tutti beni, per milioni di euro, a lui riconducibili.

l blitz dell’arresto e l’abbraccio tra i carabinieri

L’arresto

Matteo Messina Denaro era stato arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo, mentre si trovava in una clinica privata per sottoporsi ad alcune terapie. “È la fine di un incubo e l’inizio di un’era nuova che coinvolga l’intera città”, aveva commentato il sindaco di Castelvetrano, Enzo Alfano. “È la vittoria dello Stato, del diritto – aveva aggiunto il sindaco – non se ne poteva più di associare la città a questo latitante che è nato qui. È un momento di grande vittoria e dobbiamo festeggiare perché oggi si segna una data storica per la nostra città”. “Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia”, ha detto anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “I miei più vivi ringraziamenti, assieme a quelli di tutto il governo, vanno alle forze di polizia, e in particolare al Ros dei Carabinieri, alla Procura nazionale antimafia e alla Procura di Palermo per la cattura dell’esponente più significativo della criminalità mafiosa”. “Il governo – aveva concluso Meloni – assicura che la lotta alla criminalità mafiosa proseguirà senza tregua, come dimostra il fatto che il primo provvedimento di questo esecutivo – la difesa del carcere ostativo – ha riguardato proprio questa materia”.

La malattia e l’interrogatorio dopo l’arresto

Matteo Messina Denaro era affetto da un tumore e dal giorno dell’arresto è stato in cura all’interno del supercarcere de l’Aquila dove era detenuto al 41 bis. Lì era stata allestita per lui una stanza per la chemioterapia. Le sue condizioni di salute erano peggiorate l’8 agosto 2023 ed era stato trasferito nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Salvatore della città. “Si è aggravato, le sue condizioni sono disperate”, aveva detto il suo legale. Nel frattempo era stato depositato l’interrogatorio del boss dopo l’arresto, nel quale negava di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ammetteva di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano: “Io non mi farò mai pentito”, aveva detto Messina Denaro. “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia”. Poi aveva aggiunto: “Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali. La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, aveva detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. “Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro”, aveva aggiunto Messina Denaro parlando dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido.