Cade l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo depistaggio Borsellino: prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei mentre Michele Ribaudo è stato assolto. La prescrizione salva due dei tre poliziotti per i quali l’accusa aveva chiesto pene altissime. In sostanza i giudici hanno ritenuto che almeno Bo e Mattei fossero consapevoli delle false accuse di Scarantino, ma che non abbiano agito allo scopo di favorire la mafia. Il Tribunale, nel frattempo, ha trasmesso alla Procura gli atti delle dichiarazioni rese a processo da Scarantino “per le valutazioni di competenza in ordine all’eventuale esercizio dell’azione penale” nei suoi confronti per il reato di calunnia. Trasmessi con l’ipotesi di falsa testimonianza anche gli atti relativi alle deposizioni dei poliziotti Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi. Nella requisitoria, l’accusa aveva chiesto pesanti condanne per i poliziotti imputati: 11 anni e 10 mesi per Bo, e nove anni e mezzo per Ribaudo e Mattei perché, a detta della procura, avrebbero costruito a tavolino una falsa verità sull’attentato costata la condanna a otto persone innocenti. I poliziotti, secondo i pm, hanno costretto, anche con la violenza, personaggi come Scarantino, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all’attentato. Per i tre imputati era stata chiesta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. “Hanno avuto molteplici condotte e tutte estremamente gravi che rendono tangibile il grado di compenetrazione nelle vicende, avete ulteriori elementi che provano la sussistenza di questo elemento, la condotta che caratterizza l’illecito. Non è una condotta illecita di passaggio ma che dal primo momento fino all’ultimo si ripete e si reitera”, ha detto il pm Stefano Luciani – che ha rappresentato la pubblica accusa insieme a Maurizio Bonaccorso – durante la requisitoria. Per l’accusa “è dimostrato in maniera assoluta il protagonismo del dottor Mario Bo sulle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e nella illecita gestione di Scarantino nella località protetta”. “C’era una fiduciarietà del rapporto tra i tre imputati e Arnaldo La Barbera, che rende concreta l’ipotesi che abbiano avuto la reale rappresentazione degli scopi sottesi delle condotte poste in essere”. Secondo l’accusa è stato La Barbera il dominus del depistaggio: i tre poliziotti imputati erano suoi uomini di fiducia. Per la Procura “ci sono elementi che dimostrano convergenze che certamente ci sono state nella ideazione della strage di via D’Amelio tra i vertici e gli ambienti riferibili a Cosa nostra e ambienti esterni ad essa”, ha aggiunto sempre Luciani nel suo atto d’accusa.