L’intervista nascosta

 

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Paolo Borsellino. L’intervista nascosta. di Marco Travaglio 17.12.2009. Ieri sera a Palermo il Fatto Quotidiano ha presentato il dvd  Paolo Borsellino. L’intervista nascosta, la versione integrale del lungo colloquio fra il giudice antimafia e i giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, nella sua casa di Palermo, il 21 maggio 1992. Molte persone non sono riuscite a entrare a causa del grande afflusso di gente. Vi ringraziamo per il vostro sostegno costante e ci riproponiamo di organizzare una nuova iniziativa nella città di Palermo quanto prima. Sarà possibile acquistare l’intervista (con presentazione di Marco Travaglio) da domani, venerdì 18 dicembre, in edicola insieme a il Fatto Quotidiano

Borsellino le verità nascoste L’ intervista scomparsa di Paolo Borsellino, che Il Fatto distribuisce in edicola da venerdì (18 dicembre), è un documento eccezionale e assolutamente inedito. E’ la versione integrale, filmata, del lungo colloquio fra il giudice antimafia, all’epoca procuratore aggiunto a Palermo, e i giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, nella sua casa di Palermo, il 21 maggio 1992: due giorni prima della strage di Capaci e 59 giorni prima di via D’Amelio. I due reporter stanno girando un film sulla mafia in Europa. I due intervistano agenti segreti, mafiosi pentiti e non, magistrati, avvocati. Ottengono il permesso di seguire l’eurodeputato andreottiano Salvo Lima nei suoi viaggi dalla Sicilia al Parlamento europeo. Almeno finché,nel marzo ’92, Lima viene assassinato. Intanto Calvi e Moscardo si sono imbattuti nella figura di Vittorio Mangano, il mafioso che aveva prestato servizio come fattore nella villa di Berlusconi ad Arcore fra il 1974 e il 1976, assunto da Marcello Dell’Utri. Così abbandonano il reportage che doveva ruotare attorno a Lima e si concentrano sui rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra. Intervistando, fra gli altri, Borsellino. Il tema interessa molto la pay-tv francese, anche perché il Cavaliere imperversa in Francia con La Cinq e si affaccia sul mercato della tv criptata, in concorrenza con Canal Plus. Poi però il suo sponsor Mitterrand perde le elezioni e il nuovo presidente Chirac mette i bastoni fra le ruote a La Cinq, che di lì a poco fallisce. Canal Plus perde ogni interesse sulla figura di Berlusconi: il reportage non andrà in onda. 

Ma i tre quarti d’ora di chiacchierata con Borsellino tornano d’attualità quando, nel gennaio ’94, Berlusconi entra in politica. Calvi contatta Leo Sisti dell’Espresso, che pubblica la trascrizione integrale nella primavera ’94. All’Espresso viene inviato un pre-montaggio ufficioso e un po’ sbrigativo di una decina di minuti, con sottotitoli in francese, per attestare la genuinità dell’intervista. La vedova Borsellino, Agnese, chiede una copia della cassetta come ricordo personale. E la consegna ai pm di Caltanissetta che indagano su Berlusconi e Dell’Utri come possibili “mandanti esterni” di via D’Amelio. Una copia finisce nelle mani di Sigfrido Ranucci e Arcangelo Ferri, che nel 2000 preparano uno Speciale Borsellino per RaiNews24

Lo speciale va in onda notte tempo il 19 settembre 2000, dopo che tutti i direttori dei tg e dei programmi di approfondimento Rai hanno rifiutato di mandare in onda il video. Ma viene visto da pochissimi telespettatori. Per questo, con Elio Veltri, decidiamo di inserirla nel libro L’odore dei soldi, uscito nel 2001. Nel libro ovviamente c’è solo la trascrizione del montaggio breve e ufficioso, non l’integrale rimasto in mano a Calvi e Moscardo. Ora Il Fatto Quotidiano ha acquistato il filmato integrale e lo mette a disposizione dei lettori. Senza tagliare nulla, nemmeno i momenti preparatori che riprendono Borsellino nell’intimità della sua casa, fra telefonate di lavoro e confidenze riservate. Abbiamo aggiunto due intercettazioni telefoniche di fine novembre 1986, in cui Berlusconi, Dell’Utri e Confalonieri commentano l’attentato mafioso appena verificatosi nella villa del Cavaliere in via Rovani a Milano. E dimostrano di aver sempre conosciuto la caratura criminale di Mangano. Perché l’intervista è importante? Intanto perché Borsellino parla, pur con estrema prudenza, di Berlusconi e di Dell’Utri in un reportage dedicato alla mafia. Poi perché lascia chiaramente intendere di non potersi addentrare nei rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri e Mangano perché c’è ancora un’inchiesta in corso e non è lui ad occuparsene, ma un collega del vecchio pool Antimafia, rimasto solo nell’Ufficio istruzione (ormai soppresso dal nuovo Codice di procedura penale del 1990) a seguire gli ultimi processi avviati fino al 1989 col vecchio rito processuale. 

In ogni caso, Borsellino ricorda di aver conosciuto Mangano negli anni Settanta in vari processi: quello per certe estorsioni a cliniche private e il famoso maxiprocesso alla Cupola di Cosa Nostra, avviato a metà degli anni Ottanta grazie alle dichiarazioni dei primi pentiti Buscetta, Contorno e Calderone. Aggiunge che Falcone l’aveva pure processato e fatto condannare per associazione a delinquere al processo Spatola, mentre nel “maxi” Mangano fu condannato per traffico di droga: 13 anni di galera in tutto, che Mangano scontò fra il 1980 e il ‘90. Borsellino sa che Mangano era già un mafioso a metà anni Settanta, uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, implicato addirittura in un omicidio con Saro Riccobono mentre stava ad Arcore. L’avevano pure intercettato al telefono con un mafioso, Inzerillo, mentre trattava partite di cavalli e magliette che nel suo gergo volevano dire “eroina”. Non era uno stalliere o un fattore: era la “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa al nord”. 

Borsellino, prima dell’arrivo dei giornalisti, s’è fatto stampare tutte le schede con le posizioni processuali di Mangano e Dell’Utri, le consulta spesso durante l’intervista e alla fine le passa ai due giornalisti, pregandoli di non dire in giro che gliele ha date lui, perché non sa quali siano ostensibili e quali ancora coperte dal segreto istruttorio. E’ la prova che Borsellino ritiene utile che nel documentario si parli di Mangano e Dell’Utri. Ma l’intervista è importante anche per un altro motivo: nel 2002 la Corte d’assise di appello di Caltanissetta, nel processo per la strage di via D’Amelio, infligge 13 ergastoli ad altrettanti boss e include l’intervista tra le cause che spinsero Totò Riina a uccidere Borsellino poco dopo Falcone. 

Ricordano che, dopo lo choc per Capaci, il Parlamento aveva già accantonato il decreto antimafia Scotti-Martelli. Un’altra azione eclatante rischiava di costringere la classe politica al giro di vite e di rivelarsi unboomerang per Cosa Nostra. Eppure Riina si mostrava tranquillo e diceva agli altri boss, come ha raccontato il pentito Cancemi, di aver avuto garanzie per il futuro direttamente da Berlusconi e Dell’Utri. Per questo, secondo i giudici, l’intervista è fondamentale: Borsellino, “pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato come testa di ponte della mafia in quel medesimo ambiente”. 

Non si può escludere “che i contenuti dell’intervista siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno ne abbia informato Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che questa Corte ritiene… che il Riina possa aver tenuto presente , per decidere la strage, gli interessi di persone che intendeva ‘garantire per ora e per il futuro’”. Cioè Berlusconi e Dell’Utri. L’intervista è “il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. (Bisognava) agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario”.

L’Ultimo Borsellino. Si preferiscono le fiction ai filmati veri. DOCUMENTO INEDITO  L19 Luglio 2017  di Sigfrido Ranucci 19 luglio 2017 Premio Roberto Morrione

Pubblichiamo oggi in esclusiva il documento inedito scritto dall’attuale conduttore di Report in occasione dell’uscita nel 2010 del libro “Il patto. Da Ciancimino a Dell’Utri. La trattativa Stato e mafia nel racconto inedito di un infiltrato”  (edizioni Chiarelettere) scritto insieme a Nicola Biondo. Nel 2000 Ranucci era nella redazione di RaiNews24 diretta da Roberto Morrione. Il direttore di Rai News24 decide di preparare lo speciale di un’ora sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio con la messa in onda dell’ultima intervista al giudice Borsellino realizzata dai giornalisti Calvi e Moscardo. Nel suo racconto la ricostruzione di quanto accadde (e quanto invece restò silente e immobile) nelle stanze Rai, nei mezzi di informazione del nostro Paese e nei palazzi del potere a seguito di questa coraggiosa decisione.

E’ la primavera  del  2000, il direttore di RaiNews24, Roberto Morrione, decide di preparare uno speciale di un’ora in occasione dell’ottavo anniversario delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e incarica Arcangelo Ferri e me. Tra le “concause” dell’accelerazione dell’attentato al giudice gli inquirenti segnalano  anche un’intervista che Paolo Borsellino ha rilasciato a due giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, il 21 maggio del ’92, ad appena 48 ore da Capaci. I due francesi avevano realizzato un’inchiesta sui canali utilizzati dalla mafia per riciclare. Borsellino parla dei rapporti tra Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, del fatto che Vittorio Mangano era considerato la “testa di ponte” dei finanziamenti di Cosa nostra al nord. Dopo la morte di Falcone e Borsellino, i due giornalisti accelerano il lavoro. L’inchiesta dei francesi però non andrà mai in onda: viene acquistata da Canal plus, all’epoca in affari con la Fininvest per i diritti delle partite di calcio, e rimane in archivio. Due anni dopo, nel marzo 1994, a pochi giorni dalle elezioni, Calvi chiama l’Espresso e offre uno stralcio dell’intervista inviandone anche una copia su Vhs. L’articolo viene pubblicato a firma di Chiara Beria di Argentine. Il video viene inutilmente offerto ai vari tg della Rai. Alla fine Beria di Argentine si rassegna e pensa che forse quel video può avere un valore affettivo e lo regala alla famiglia del giudice scomparso. L’intervista pubblicata dall’Espresso suscita anche l’attenzione di Brusca che chiede conferma a Mangano su quanto scritto e lo stalliere di Arcore gli conferma tutto.

IL RITROVAMENTO DEL VHS  Per sei lunghi anni il vhs con quell’intervista cade nel dimenticatoio. Lo trovo io casualmente nella primavera del 2000 nell’archivio del giudice. É Fiammetta Borsellino a consegnarmelo. É un filmato dal valore incredibile. La voce di Borsellino è calma e serena; a volte il giudice abbozza anche qualche sorriso. Totalmente diversa dall’immagine che appare in tv dopo la morte di Falcone, pervasa dal dolore e dalla tensione per la consapevolezza che la stessa sorte sarebbe toccata a lui.

Ma poi ci sono i contenuti dell’intervista. In quel periodo Dell’Utri  è sotto inchiesta a Palermo per i suoi presunti rapporti con la mafia. Mentre la Procura di Caltanissetta sta per archiviare la sua posizione e quella di Berlusconi, quali mandanti esterni alle stragi di mafia. Decido quindi di portare la mia copia alla Procura. Il Pm Luca Tescaroli che indaga sui mandanti a volto coperto delle stragi, quando vede l’intervista a Borsellino compie un balzo sulla sedia e acquisisce copia del filmato.

MORRIONE: SI VA AVANTI!  Intanto bisogna pensare a come mandare in onda l’eccezionale e sconosciuto documento. Al direttore Morrione tocca decidere: “si va avanti” – è la sua risposta. L’intervista fa parte dello speciale sulle stragi del ‘92, dove si parla anche di tutto quanto sarebbe poi emerso nella sentenza che sette anni dopo avrebbe condannato Dell’Utri a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’inchiesta ci sono due interviste inedite a Salvatore Cancemi e a Ezio Cartotto. E poi una ricostruzione sulla base di testimonianze della trattativa tra Stato e Mafia e sulla strategia di Cosa nostra di liberarsi dei vecchi referenti politici e agganciarne nuovi.

Quell’intervista a Borsellino, che con la sua voce parlava di Mangano, Dell’Utri e Berlusconi si incastra perfettamente. Tutto deve essere pronto per il 19 luglio anniversario della morte del giudice e della sua scorta. Ma Morrione, trattandosi di materiale delicato, decide di farlo vedere al Direttore generale della Rai, Pier Luigi Celli, che, durante la visione, sprofonda sempre di più nella poltrona. Alla fine decide di far venire da Palermo un giornalista esperto delle vicende giudiziarie siciliane, per sapere se quel filmato rappresenta un rischio per la Rai. Ma anche dopo le rassicurazioni del perito, Celli decide ugualmente di non mandare in onda lo speciale. Mentre per l’intervista a Borsellino si può fare un’eccezione e s’impegna a divulgarla il più possibile sui tg nazionali.

IL NO DEL TG1 E DI TUTTE LE REDAZIONI DEI TG RAI  E’ ormai vicino il 19 luglio, lo speciale sulla mafia rimane per sempre in un cassetto, Morrione decide di mettere in atto quanto suggerito da Celli e comincia a fare il giro delle redazioni dei telegiornali. Parte dal Tg1 dove c’è Gad Lerner. Lerner dopo un consulto con il suo vice Mario Giordano, che poi passerà a guidare le testate Mediaset e il Giornale di Paolo Berlusconi, decide di non trasmettere l’intervista. Così il 19 luglio il Tg1 apre il notiziario con la notizia della guarigione di Silvio Berlusconi dal cancro alla prostata. L’intervista di Borsellino non viene  trasmessa dai tg nazionali. Ma la notizia inizia a girare. Il primo agosto un articolo sul “Foglio” di Giuliano Ferrara, dal titolo ambiguo denuncia: “Gli ultimi complottisti che non mollano a Palermo e dintorni”. Viene anche tirato in ballo il giudice nisseno Tescaroli: “Anche a Caltanissetta –scrive il Foglio- non manca chi rincorre i complotti. Il pm Luca Tescaroli, trasferito sulla carta da tempo a Roma , ma tuttora in attività in  Sicilia continua a indagare…”. Il pezzo ha tutte le caratteristiche di quello che nell’ambiente viene definito “un articolo preventivo”.

RAINEWS24 MANDA IN ONDA L’INTERVISTA E LO SPECIALE  Alla fine, il 21 settembre l’intervista inedita di Borsellino viene  trasmessa da RaiNews24, su satellite e  alle 23.05. La vede solo chi è munito di parabola e sofferente d’insonnia. Alla trasmissione partecipano Antonio Ingroia, sostituto procuratore a Palermo e braccio destro di Borsellino, e Luca Tescaroli. Sono invitati anche Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi che ringraziano ma fanno sapere che preferiscono non intervenire. Viene delegato Enrico Trantino  difensore di Dell’Utri.

L’INVIO ALL’ANSA DEL TESTO DELL’INTERVISTA A BORSELLINO  Pochi sanno quello che è accaduto nei momenti  precedenti la messa in onda del servizio. Il giorno prima della trasmissione, la Rai invia all’Ansa il lancio della puntata con il testo dell’intervista di Borsellino: nel video il magistrato siciliano è seduto dietro la sua scrivania e indossa una Lacoste verde, davanti a lui sono seduti i due francesi che gli fanno le domande:

… e questo Vittorio Mangano faceva traffico di droga a Milano?

“Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa tra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio mafioso delle famiglie palermitane,  preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente  secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche come “magliette” o “cavalli” .

Comunque lei in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di Cavalli al telefono vuol dire droga…

“Si, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu avanzata dalla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tant’è che Mangano fu condannato  al dibattimento del Maxi processo per traffico di droga”.

Dell’Utri non c’entra in questa storia?

“ Dell’Utri non è stato imputato nel Maxi processo per quanto io mi ricordi, so che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme a Mangano” .

A Palermo?

“Si, credo che ci sia stata un’indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mano de giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari”.

Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri?

“Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto, cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto,  di entrambi”…

Quelli della Publitalia?

“Si”.

Perché c’è nell’inchiesta della San Valentino, un’intercettazione tra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di cavalli.

“Beh, nella conversazione inserita nel Maxi Processo  si parla di cavalli da consegnare in Albergo, quindi non credo potesse trattarsi effettivamente di cavalli, se qualcuno mi deve recapitare due  cavalli, me li recapita nell’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo”.

C’è un socio di Marcello Dell’Utri, tal Filippo Alberto Rapisarda, che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade.

“Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose, si è parlato addirittura in un certo periodo di almeno 2000 uomini d’onore, con famiglie numerosissime, la famiglia di Stefano Bontade sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200, si trattava comunque di famiglie appartenenti ad un un’unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, i cui membri in gran parte si conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera….”

Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell’Utri,  siano collegati a uomini d’onore tipo Vittorio Mangano?

“ All’inizio degli anni ’70, Cosa nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa, un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole che a un certo punto diventò addirittura monopolistico nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cercò lo sbocco, cercò lo sbocco perché questi capitali venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa nostra e finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitale”.

Lei mi dice che è normale che Cosa nostra si interessa a Berlusconi?

“E’ normale che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per poter impiegare questo denaro, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro”.                

Mangano era un pesce pilota?

“Si, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco, erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia”. 

Si dice che ha lavorato per Berlusconi?

“Non le saprei dire in proposito, anche se le debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo, so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco quali atti sono ormai conosciuti, ostensibili, e quali debbano rimanere segreti, questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene, non sono io il magistrato che se ne occupa quindi non mi sento autorizzato a dire nulla” ….

C’è un’inchiesta ancora aperta?    

“So che c’è un’inchiesta ancora aperta”

Su Mangano e Berlusconi? A Palermo?   

“Si.”  

TARDIVI LANCI DI AGENZIA E LA MINACCIA DI SEQUESTRO DEL VHS  Il lancio d’agenzia esce solo  a tarda sera, quando cioè nessun giornale può riprenderlo e pubblicarlo. Infatti il giorno seguente la notizia non compare sui quotidiani, nessuna reazione, l’unica a muoversi è la Procura di  Caltanissetta,  guidata all’epoca da Giovanni Tinebra che il 20 settembre del 2000 dispone il sequestro, su richiesta inviata via fax dal difensore di Dell’Utri, il quale pur essendo estraneo in quel momento agli atti di indagine, teme  che la messa in onda da parte della Rai il giorno dopo potesse recare danno al suo assistito che è sotto processo a Palermo per concorso esterno alla mafia. Così due agenti della DIA partono dalla Sicilia per sequestrare il video di Borsellino. Rainews24 pensa di opporsi minacciando una denuncia per interruzione di pubblico servizio. E’ un susseguirsi frenetico di telefonate e tutto si gioca sul filo delle ore, anzi dei minuti. Alla fine quel mandato di sequestro ordinato dalla procura di Caltanissetta si trasforma, durante la strada per Roma, in un’acquisizione di copia. Ma a che scopo? Visto che la Procura ne aveva già acquisita una copia a giugno proprio dai  giornalisti della Rai. Insomma alla fine la Procura di Caltanissetta acquisisce una copia che già possiede.

SILENZIO STAMPA IN ITALIA E LE ACCUSE DI MANIPOLAZIONE  Nella stessa serata la trasmissione con il video di Borsellino va in onda, ma, come già detto,  il giorno dopo nessuno ne parla. E neppure il giorno seguente. Ed è così per un mese fino a quando Elio Veltri, all’epoca membro della Commissione parlamentare antimafia in quota Italia dei Valori, mi chiama, chiede spiegazioni su quel video e ne acquisisce una copia. Ma non segue nessuna iniziativa parlamentare. Dopo pochi giorni, nel mese di ottobre del 2000 viene battuta un’agenzia stampa in cui si annuncia che Antonio Di Pietro porterà l’intervista di Borsellino al Parlamento Europeo per presentarla in una conferenza stampa visto il silenzio stampa in Italia. Il giorno dopo uno dei legali di Dell’Utri inoltra alle agenzie un comunicato.L dove si dice che l’intervista a Borsellino mandata in onda da RaiNews24 è manipolata. In sostanza si tratterebbe della risposta di  Borsellino sulla telefonata tra Dell’Utri e Mangano sui “cavalli”. Secondo Dell’Utri, nel suo caso si trattava di cavalli veri e non droga. L’avvocato di Dell’Utri giunge a quella conclusione facendo un paragone con quanto era stato scritto nel 1994 dall’Espresso da Chiara Beria. In trasmissione nessuno però ha obiettato nulla. Ora che Di Pietro minaccia di portare il video davanti la stampa europea si parla di manipolazione e il giorno dopo il Giornale della famiglia Berlusconi rincara la dose. Esce il primo di una serie di articoli a firma di Paolo Guzzanti dove accusa RaiNews24 di aver mandato in onda un’intervista manipolata  e parla di un “giallo nei tagli”.  In realtà quell’intervista trasmessa è la versione che era stata montata dai giornalisti francesi pronta per essere trasmessa, è una versione di circa 12 minuti che RaiNews24 non ha mai modificato.  L’unica operazione fatta dalla Rai è stata quella di dividerla  in tre parti per facilitare il dibattito durante la trasmissione con i magistrati e con l’avvocato Trantino. E quando Morrione, direttore di Rainews24, risponde alle accuse di “manipolazione” proponendo un’intera trasmissione  su quella che veniva considerata la versione “integrale ” dell’intervista a Borsellino pubblicata dall’ Espresso nel ’94, il suo invito cade nel vuoto.

LA ROTTURA DEL SILENZIO NELLA TRASMISSIONE “SATYRICON” E SCOPPIA IL PUTIFERIO  Il quotidiano di Berlusconi un risultato intanto lo ottiene: Di Pietro non fa la conferenza stampa annunciata. Tutta la vicenda cade nuovamente nel dimenticatoio, almeno apparentemente, perché qualcuno prende il testimone da RaiNews24 e lavora in silenzio fino alla sera del 14 marzo del 2001. A pochi giorni dalle elezioni, Marco Travaglio presenta il suo libro “L’odore dei soldi” scritto a quattro mani con Elio Veltri, nella trasmissione Satyricon condotta da Daniele Luttazzi. Travaglio è un fiume in piena, parla delle origini della Fininvest, del meccanismo delle 22 holding che la controllavano e della gestione finanziaria  per come era stata ricostruita da un perito della Banca d’Italia. Ma proprio Cosa nostra è il piatto forte servito nella trasmissione.  Travaglio ricorda le origini del partito Forza Italia, le dichiarazioni di Cartotto, la partecipazione alla creazione di Forza Italia di Craxi. Ma parla anche del boss Vittorio Mangano, assunto come stalliere ad Arcore e dell’intervista a Borsellino che RaiNews24 ha trasmesso mesi prima e che è stata oscurata dai media.  Luttazzi chiude la trasmissione ringraziando Travaglio: “Con questo libro dimostri di essere un uomo libero. E non è facile trovare uomini liberi in quest’Italia di merda”.  Pochi minuti dopo scoppia il putiferio. I centralini della Rai impazziscono. Il Polo attacca la Rai e chiede le dimissioni dei vertici. Gianfranco Fini invoca l’intervento del Presidente della Repubblica Ciampi, Cossiga dice che è stato  “un crimine politico in Tv”. Interviene anche il noto ex-dissidente sovietico Vladimir Bukovskij che parla di “uno sporco artificio dei comunisti, che tendono a dipingere l’avversario politico come l’autore di crimini contro l’umanità”.  Invece Silvio Berlusconi sorprendentemente se la prende con il meno comunista di tutti, ha una certezza assoluta: è stata una trappola del “guru americano” consulente della campagna elettorale di Rutelli, Stan Greenberg, poi  afferma che l’intervista a Borsellino è “notoriamente manipolata, lo sanno tutti”,  e conclude vietando ai suoi di partecipare alle trasmissioni della Rai.

LA PRIMA MESSA IN ONDA INTEGRALE SUL CANALE NAZIONALE E LA TELEFONATA DEL CAVALIERE   Così, quando il 16 marzo Michele Santoro decide di trasmettere  per la prima volta su un canale nazionale l’intera intervista di Borsellino, la trasmissione si apre indicando tre sedie vuote, quelle che sarebbero spettate agli uomini di Berlusconi. Ma nel corso della trasmissione, mentre dibattono Di Pietro, il direttore di RaiNews24 Morrione  e Paolo Guzzanti sull’intervista al magistrato appena trasmessa, arriva una telefonata in diretta. Sono le 22.15 e dall’altro filo del telefono c’è il Cavaliere. Rompe la sua stessa consegna: il divieto per tutti gli esponenti del Polo di partecipare a trasmissioni. Berlusconi saluta con voce squillante ma è furioso e attacca. “Complimenti, la Rai continua  i suoi processi televisivi…” Ma  prima di dargli la linea Santoro l’ha fatto aspettare dieci minuti. Giusto il tempo di mandare in onda un’altra tranche dell’inedita intervista a Borsellino, quella in cui il giudice siciliano spiega i motivi del perché la mafia “che negli anni settanta si era fatta impresa essa stessa” si mette in contatto con imprenditori del calibro di Berlusconi, e indica in Vittorio Mangano la testa di ponte di Cosa nostra per i finanziamenti che arrivano nel Nord Italia. Berlusconi è furibondo anche per questo ma perde la pazienza quando Santoro gli chiede se aveva interrotto l’embargo. “Non partecipiamo a trasmissioni trappola” dice Berlusconi. Santoro minaccia: “Allora chiudo il collegamento”. Il Cavaliere alza il tono: “Lei è un dipendente pubblico, si contenga”. E Santoro, duro: “Appunto, non sono un suo dipendente”. Poi i toni si placano e l’oggetto della discussione diventano le Holding della Fininvest. Il  cavaliere spiega che è tutto regolare, che non sono state fondate da sconosciuti ma da un noto  commercialista milanese, il dott. Minna, dalla sua segretaria e dalla figlia, che i versamenti non erano in contanti ma fatti attraverso assegni circolari o di conto corrente, che dopo vent’anni le banche non hanno più la documentazione perché è andata al macero.  Ricorda che i procedimenti su riciclaggio che lo vedono coinvolto sono stati archiviati e che i magistrati di Palermo non l’hanno mai cercato per chiedergli queste cose. Ma su quest’ultimo punto viene smentito in diretta da Sandro Ruotolo che nel frattempo ha fatto una verifica con i Pm siciliani. Quando poi i Pm palermitani lo interrogheranno  presso la sede istituzionale nel processo Dell’Utri in qualità di indagato per reato connesso,  si avvarrà della facoltà di non rispondere.

L’ECO INTERNAZIONALE, LE ACCUSE A RAINEWS24 E LA VOCE DELLA FAMIGLIA BORSELLINO SULL’INTERVISTA  Il giorno dopo le polemiche si fanno ancora più infuocate. An e Dell’Utri tornano alla carica, “quell’intervista è manipolata”, il presidente di Mediaset Confalonieri chiede 50 miliardi di danni alla Rai. Il Messaggero scrive un articolo in cui raccoglie le indiscrezioni di una gola profonda della Procura di Caltanissetta: “L’ipotesi del ‘Patto Scellerato’ è  vicina all’archiviazione…due anni di indagini del procuratore Tinebra sui mandanti occulti delle stragi del ’92, ma l’inchiesta non ha fatto passi avanti”. Nell’articolo si legge che, per le posizioni di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, la procura nissena “sarebbe sul punto di fare richiesta al Gip di archiviazione”. La storia finisce oltre confine, e ne parlano The Independent, El Pais e il Guardian. Ma le reti Mediaset e Il Giornale continuano a parlare e scrivere per giorni di “manipolazione”. Per la prima volta nella vicenda entra la voce di un componente della famiglia del giudice: “Quell’intervista  la conosco bene, è autentica” dice la sorella del magistrato, Rita Borsellino.

Interviene, su richiesta dei legali di Dell’Utri, la Procura di Roma che invia gli ufficiali giudiziari a sequestrare, presso la redazione di RaiNews24, copia della trasmissione e apre un’inchiesta contro ignoti con l’ipotesi di reato di falsificazione e manipolazione di documenti e attentato ai diritti politici del cittadino. Anche la Procura di Palermo vuole vederci chiaro e apre un’inchiesta proprio per accertare se la cassetta sia stata manipolata.

Il 19 marzo l’Ansa batte un’agenzia dal titolo: “Figlia Borsellino su video cassetta, nessuna difformità”. E poi all’interno si specifica: “ Fiammetta Borsellino, figlia minore di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia nel ’92, ha confermato oggi al pubblico ministero di Palermo Antonio Ingroia la sostanziale autenticità della videocassetta che riproduce l’intervista del padre… avrebbe detto di non avere riscontrato difformità tra la versione in suo possesso e quella trasmessa dalla tv”.

Una notizia importante che però non viene ripresa da nessun organo di stampa, come non sarà ripresa un anno dopo anche un’altra agenzia in prossimità del decimo anniversario della strage di via D’Amelio: quella del 16 luglio 2002, dal titolo “ RAI NON MANIPOLO’ INTERVISTA A BORSELLINO “. All’interno poi si specifica che “la Procura di Palermo ha prodotto nel processo a Marcello Dell’Utri la videocassetta integrale dell’ intervista resa da Paolo Borsellino”. I pm hanno prodotto una perizia comparativa del contenuto dell’intervista mandata in onda lo scorso anno dal canale satellitare ‘RaiNews24’, con la quale escludevano la manipolazione da parte dei giornalisti Rai. Ormai le elezioni sono lontane e la vicenda non interessa più, su quel video hanno indagato di volta in volta le procure di Roma, Palermo, Caltanissetta, Catania, Milano, si sono tutte concluse con un nulla di fatto escludendo manipolazioni, falsi, violazioni di segreto istruttorio.

IL RUOLO DELLA PROCURA DI CATANIA  Ma la vicenda del nastro di Borsellino ha una coda velenosa, di cui pochi sono a conoscenza. Una disputa che si svolge in un’arena particolare: la Procura di Catania, dove si mette in scena la resa dei conti tra il procuratore Giovanni Tinebra e uno dei suoi sostituti più bravi: Luca Tescaroli che aveva indagato sui mandanti a volto coperto delle stragi del ’92 e ’93. Era accaduto che il 12 marzo 2001, cioè pochi giorni prima della trasmissione del Raggio Verde dove veniva riproposta l’intervista del giudice Borsellino, la Procura di Catania, competente sui magistrati nisseni, proprio su input di quella di Caltanissetta aveva aperto un’inchiesta contro ignoti per violazione del segreto istruttorio. La violazione sarebbe consistita nel far uscire dagli uffici la videocassetta contenente l’intervista del giudice! L’obiettivo neppure tanto nascosto era il pm Luca Tescaroli. Quella violazione però non c’è mai stata in quanto quel video non è mai uscito dagli uffici giudiziari nisseni, al contrario era stato portato in procura  proprio da me. Così il procedimento viene archiviato.

Ma la Procura di Catania è costretta ad  aprire un altro fascicolo che coinvolge magistrati nisseni, stavolta al centro delle indagini è addirittura il capo della Procura Giovanni Tinebra, da poco scomparso. Le ipotesi di accusa per l’ex procuratore di Caltanissetta sono pesanti: favoreggiamento personale aggravato. Tinebra avrebbe ritardato di circa sei mesi l’iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi e Dell’Utri, disponendo poi, per evitare clamore, che le loro generalità fossero criptate con gli  pseudonimi di Alfa e Beta. L’iscrizione avviene solo verso fine  luglio ‘97 in seguito a una nota della Procura Nazionale Antimafia, inviata da Petralia. Tinebra poi avrebbe manifestato ai suoi sostituti il proposito mai attuato di togliere la protezione e procedere per calunnia nei confronti del collaboratore Salvatore Cancemi, che aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri. Sempre Tinebra, in seguito a una denuncia sporta da Berlusconi, risultata priva di fondamento giuridico, provvedeva a indagare i pm di  Palermo Nico Gozzo, Antonio Ingroia e Umberto de Giglio, per abuso d’ufficio in quanto avrebbero indotto l’imprenditore Rapisarda (rinviato a giudizio dallo stesso Tinebra per calunnia) ad accusare il premier e dell’Utri di riciclaggio di capitali mafiosi. Una mossa, quella dei legali di Berlusconi, che sarebbe servita a spostare i processi da Palermo a Caltanissetta dove evidentemente si sarebbe sentito più sereno. Ma le ipotesi di accusa nei confronti di Tinebra non finiscono qui. L’ex capo della procura nissena ha autorizzato il difensore di Dell’Utri a ottenere una copia della richiesta di archiviazione di questo procedimento, prima che venisse depositata e quindi facendo conoscere in anticipo gli elementi d’accusa prima che il giudice deliberasse. Alla fine, la Procura di Catania chiede l’archiviazione anche per Tinebra, perché, pur “non ritenendo fantasiose” le accuse del Pm Luca Tescarolireputa che il comportamento dell’ex procuratore di Caltanissetta  non abbia favorito Dell’Utri e Berlusconi, né abbia ostacolato le indagini.

Il 13 luglio del 2006, il Presidente dei Gip accoglie la richiesta di archiviazione e commenta che Giovanni Tinebra si è mosso “con la dovuta prudenza e attenzione, prudenza di cui dovrebbero far uso tutti i Pm – al fine di non arrecare inutili danni e provocare strumentalizzazioni politiche” – e poi il Gip conclude – Il procuratore della Repubblica Giovanni Tinebra, da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata con sacrifici per la propria libertà personale e con pericoli “quoad vitam”, ha agito a parere del Giudicante con prudenza, intelligenza e nel rigoroso rispetto delle leggi e soltanto per motivi di giustizia”.

BORSELLINO CONTINUA A ESSERE UNA MINACCIA  Polemiche, veleni e video cassette cadono nel dimenticatoio. Fino a quando Ciancimino junior ha parlato di “papelli” e ha evocato fantasmi e segreti del passato che sembravano ormai definitivamente tombati.

Fatti che portano l’8 settembre del 2009 il premier Silvio Berlusconi a gridare al complotto.  “E’ una follia che ci siano frammenti di Procura che da Palermo a Milano guardano ancora a fatti del ’92, del ’93, del ’94… quello che mi fa male è che gente così, con i soldi di tutti noi, faccia cose cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene comune del Paese”.

Il giorno dopo, il 10 settembre 2009, Davide Giacalone, ex sottosegretario alle Telecomunicazioni della fine della prima Repubblica, in un articolo dal titolo “La madre dei teoremi” raccoglie l’esternazione di Berlusconi sulle procure che complottano, e stavolta senza che nessuno l’abbia citata, fa nuovamente riferimento all’intervista di Borsellino che, scrive , è stata “opportunamente manipolata”.  Insomma quello che è certo che Paolo Borsellino fa paura anche da morto. E oggi che si paventa la possibilità che sia stato ucciso a causa di un’inconfessabile trattativa tra mafia e istituzioni, fa ancora più paura. Siccome non si poteva dire che le sue fossero esternazioni da “toga rossa”, vista le sue simpatie per la destra, e neppure che avesse rilasciato quell’intervista per motivi politici perché all’epoca né Dell’Utri, né Berlusconi avevano manifestato l’intenzione di scendere in politica, allora l’unica strada da percorrere era quella della delegittimazione dei giornalisti che avevano trasmesso l’intervista accusandoli di “manipolazione”.

QUEL CHE RESTA DELLA VOCE DEL GIUDICE BORSELLINO  Oggi quell’intervista ufficialmente non c’è più. É sparita incredibilmente anche la copia che aveva acquisito la Procura di Caltanissetta nel procedimento sui mandanti a volto coperto delle stragi, come si legge nel decreto che archivia le posizioni di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Perché è sparita? Certo è che chi l’ha portata via ha tolto un mezzo di prova, sicuramente non probante, ma altrettanto sicuramente ingombrante.  Ascoltare la voce di Paolo Borsellino che poche settimane prima di morire fa i nomi di Mangano, Dell’Utri e Berlusconi avrebbe potuto creare qualche imbarazzo a chi voleva scrivere la parola fine a tutta questa vicenda. Oggi il video si trova negli archivi Rai, ma un vincolo lo rende di fatto inutilizzabile, la voce del giudice morto per lo Stato, invece, sopravvive sulla memoria del web, come fosse un clandestino.

Borsellino non indagava su Dell’Utri. Nessuna inchiesta nel ’92 – Tutto quello che non torna nell’intervista a canal +, a 2 giorni da Capaci  La scorsa settimana alcuni organi di stampa hanno riportato la notizia che la procura di Caltanissetta sta svolgendo una indagine sulla famosa intervista fatta, per conto della Tv francese Canal +, a Paolo Borsellino.

L’intervista – realizzata esattamente due giorni prima della strage di Capaci -, secondo i giornalisti che l’hanno condotta, doveva far parte di un documentario sulla malavita organizzata in Europa. Ma, sempre secondo gli autori, il documentario non è stato mai trasmesso per motivi legati alla tv francese. I giornalisti sono due. Fabrizio Calvi, alias Jean- Claude Zagdoun, autore di numerosi libri, soprattutto sui servizi segreti. L’altro è Jean Pierre Moscardo, scomparso nell’ottobre 2010.

Borsellino non stava indagando su Dell’Utri  L’intervista, prima uscita nel 1994 sull’ Espresso in forma scritta, poi riportata non integralmente su Rainews 24 nel 2000 e infine nel 2009 nella cosiddetta versione integrale tramite un dvd de Il Fatto Quotidiano, suscitò numerose indignazioni popolari, perché Borsellino parlava di argomenti riguardanti Mangano, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Peccato però, come emerge in tutta evidenza, che Borsellino non se ne stesse assolutamente occupando e infatti, alle ripetute sollecitazioni dei giornalisti, ci ha tenuto sempre a precisare che erano argomenti che non conosceva, consultando atti non suoi.

Ma andiamo con ordine. Come detto, nel 1994 uscì su l’Espresso la prima trascrizione dell’intervista. Dopodiché, nel 2000, il giornalista Sigfrido Ranucci, ha trasmesso su Rainews una parte dell’intervista dove Borsellino parlava di Mangano e Dell’Utri. In questo contesto, è nata una prima polemica. Paolo Guzzanti ha scritto un articolo di fuoco contro Ranucci, osservando che l’intervista mandata in onda dalla Rai fosse falsificata all’evidente scopo di attribuire alle dichiarazioni di Borsellino significati diversi da quelli espressi dall’originale. A quel punto, sempre nel medesimo articolo, Guzzanti ha commentato: «Qualcuno l’ha manipolata. Se non è stata la Rai, chi ci ha messo le mani?».

Intervista manipolata  Ne è scaturita una querela da parte di Ranucci. I giudici, però, hanno assolto Guzzanti, hanno scritto, discolpando però Ranucci di essere stato lui l’autore della manipolazione, che è «obiettivamente vero, nei suoi elementi essenziali, il fatto che l’intervista mandata in onda da Rainews, è frutto di una alterazione».

Sempre nella medesima sentenza di assoluzione, emerge anche un altro aspetto degno di nota. Partiamo sempre dalla modalità dell’intervista. Le domande sono tutte volte, con insistenza, sul rapporto tra Dell’Utri e Mangano, in particolare la vicenda dei cavalli, nome in codice utilizzato da quest’ultimo per parlare di droga. Borsellino ha più volte ripetuto di non essere a conoscenza della vicenda, facendo riferimento esclusivamente a una vecchia indagine che seguì, dove emerse un contatto tra Mangano e la famiglia mafiosa degli Inzerillo.

I giornalisti, a questo punto, hanno inserito una domanda relativa al rapporto con Dell’Utri. Ed è qui che nasce un fraintendimento, ben chiarito dai giudici che hanno assolto Guzzanti. «Risulta evidente – sottolineano i giudici che l’ultima risposta data da Borsellino, anche se l’interlocutore formula la domanda (“sì ma quella conversazione con Dell’Utri poteva trattarsi di cavalli?”) in modo analogo rispetto a quello usato al principio del discorso, deve essere riferita alla conversazione del Mangano con uno della famiglia degli Inzerillo, chiaramente un soggetto diverso da Dell’Utri ( che non è stato imputato nel maxi processo), anche se l’interlocutore nella sua domanda, ha continuato ad individuare la telefonata intercettata come avvenuta con Dell’Utri».

I giudici quindi osservano: «Insomma, le esplicite precisazioni già fatte da Borsellino evidenziano che la sua risposta si riferisce alla telefonata del maxi processo, individuata anche dal contenuto ( il riferimento ai cavalli), essendo irrilevante che il suo intervistatore continui a riferirsi a Dell’Utri, anziché ad uno degli Inzerillo, malgrado quanto appena spiegato dal Magistrato».

Le riprese  Già due sono i punti che dovrebbero essere chiariti. Così come dovrebbe essere chiarita anche la modalità delle riprese durante l’intervista che si vede nel video cosiddetto “integrale”. Borsellino era al corrente di essere ripreso in alcune situazioni? I giornalisti inquadrano il campanello di casa sua, continuano la ripresa anche quando il giudice apre la porta. Viene inquadrato tutto il soggiorno e anche le sue gambe mentre cammina.

Arrivano telefonate durante l’intervista: ad una di queste, Borsellino fa cenno con la mano di non riprenderlo, ma la telecamera per un po’ rimane comunque accesa. Sempre nel video integrale si notano anche probabili tagli visto la presenza di “dissolvenze”. Così come, e questa è la parte più enigmatica della vicenda, Borsellino viene ripreso di lato nonostante chiede di mantenere il segreto quando passa degli atti in cui si parla anche delle indagini su Dell’Utri. Borsellino dice testualmente al giornalista che ha di fronte: «Io glieli do l’importante che non dica che glieli ho dati io». Lo fa con un sorriso, consapevole di farlo con fiducia.

Sappiamo che Borsellino ha avuto i documenti, su sua esplicita richiesta visto che è stato avvisato del tema dell’intervista, da un suo collaboratore. Parliamo, ripetiamo, di fogli con le schede di indagini nelle quali erano citati Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Indagini di cui Borsellino mai si era occupato, come lui stesso più volte ha tenuto a dire nel corso dell’intervista. Fogli che tuttora non sono stati resi pubblici dal giornalista. Ma l’enigma non finisce qui.

Da ribadire che, a domanda dei giornalisti, Borsellino esamina gli appunti e riferisce, leggendo i fogli, che è in corso un’inchiesta a carico dei fratelli Dell’Utri e che tale inchiesta era condotta con il vecchio rito processuale dal magistrato Leonardo Guarnotta. Parliamo dei fogli che poi Borsellino ha consegnato. Quando è uscito il dvd dell’intervista, lo stesso Marcello Dell’Utri ha chiesto l’annullamento del processo perché a giudicarlo è lo stesso Guarnotta che avrebbe condotto le indagini nel ’ 91. Il motivo è sia il principio ne ibis idem, sia perché un giudice che aveva condotto delle indagini su di lui non può certamente giudicarlo. Ma arriva il colpo di scena.

Non esisteva nessuna indagine  Il ricorso, nel 2010, è stato rigettato. Il motivo? Dagli stessi archivi della Procura risulta che non è mai esistita nessuna indagine. Dell’Utri è stato indagato dal 1994 in poi. Lo stesso Pg Nino Gatto ha infatti dichiarato in aula: «Nel nostro codice non esiste ancora il procedimento invisibile e se Dell’Utri avesse avuto un carico pendente già da prima ne sarebbe rimasta traccia». Dell’Utri quindi non aveva nessun carico pendente al momento dell’intervista. Chi ha inserito questi procedimenti probabilmente inesistenti negli archivi, che poi sono finiti nelle mani inconsapevoli di Borsellino? Tante sono le domande, diversi i punti da chiarire.

Un momento drammatico  Il tutto però è da inquadrare in un contesto drammatico. A due giorni di distanza dall’intervista, saltano in aria Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta. Meno di due mesi dopo, lo stesso destino è toccato a Borsellino. L’intervista però avrebbe potuto avere un valore importante, se i due giornalisti gli avessero fatto domande riguardanti la sua personale attività, anziché su inchieste che non erano neanche di sua competenza come lui stesso disse insistentemente. Perché esclusivamente domande su Dell’Utri ( all’epoca di scarsa notorietà) e Berlusconi?

Sappiamo che tale intervista poi verrà ampiamente utilizzata da vari giornali e programmi tv, per sostenere che Borsellino sarebbe stato fatto fuori per il suo interessamento ai due, che sarebbero poi diventati politici importanti. Altri erano i suoi interessi, soprattutto mafia- appalti ( dossier che ha voluto studiare fin da subito, anche se era procuratore a Marsala e non ancora a Palermo) come è emerso dagli atti e testimonianze. Tutto però è passato in sordina. Soprattutto dal 2000, in poi. IL DUBBIO 24.7.2019


Calvi: “La mia ultima intervista a Borsellino”. di Stefania Limiti  Come un ‘sali e scendi’ senza sosta lungo una scala tortuosa, le vicende legate alle stragi del ’92 tornano sempre di attualità. Normale, in un paese dove la verità è imprigionata. Sembra che anche i fatti conosciuti possano ancora parlare e svelare.

È il caso della famosa intervista a Paolo Borsellino, fatta nella sua casa palermitana nel maggio di quell’anno terribile, subito dopo la strage di Capaci.

“Sai che era la prima volta che mettevo piedi nella sua casa?”.  Parte da quel ricordo Fabrizio Calvi, il giornalista francese che lo intervistò insieme a Jean Pierre Moscardo, scomparso nel 2010, per un documentario commissionato dalla tv francese. Lo raggiungo al telefono dopo aver letto sul Il fatto che la Procura di Caltanissetta presto avvierà una rogatoria per ascoltarlo come testimone. Calvi – che in questo momento non può viaggiare con facilità a causa dei postumi di un grosso intervento chirurgico – apprende la notizia dalla nostra conversazione.

Tra i fondatori del quotidiano Liberation, conosce molto bene l’Italia e i suoi intrighi, non solo quelli mafiosi. Fu il primo a raccontare nel 1997, con Frederic Laurent, la rete di agenti atlantici, scoperta dall’inchiesta del giudice milanese Guido Salvini, che vigilava e manipolava i neofascisti di Ordine Nuovo responsabili dello stragismo nero.

“Devo proprio a Borsellino il mio primo best seller, La vita quotidiana della mafia dal 1950 ai nostri giorni, scritto nel 1986. Lo conoscevo da molto tempo, me lo aveva presentato il giudice Chinnici, purtroppo ammazzato pure lui nel luglio del 1983. Andavo spesso in Sicilia e ogni volta passavo molto tempo con Borsellino: avevamo lunghissime conversazioni, spesso accese, se toccavamo la politica, io piuttosto di sinistra, lui affatto, direi monarchico. Ci incontravamo nei ristoranti, in macchina o in Procura, anche quando era a Marsala. Ma mai ero stato a casa sua. Solo quella volta mi invitò ad andare, probabilmente non si sentiva tranquillo nel Palazzo di Giustizia, era diffidente. Mi disse subito sì, quando gli chiesi l’intervista, ma aggiunse ’non qui’. E ne riparlammo fuori. In effetti, ricordo il silenzio pesantissimo che regnava in quei giorni in un luogo in genere pieno di gente e di movimento”.

Nel 2002 la Procura di Palermo avrebbe voluto ascoltare la testimonianza di Calvi durante il processo a Marcello Dell’Utri ma rinunciò per problemi di carattere economico (<<Secondo il pm Nico Gozzo, il professionista vive in Francia e vi sarebbero problemi per il pagamento dell’albergo al quale dovrebbe ricorrere Calvi per il giorno della sua testimonianza>>, cit. Ansa, 4 novembre 2002).

<<Subito dopo la strage di via D’Amelio fui interrogato da Giuseppe Di Lello, ora attendo novità, naturalmente sarò lieto di dare il mio contributo>>.

La messa in onda dell’intervista, circa cinquanta minuti di registrazione, venne bloccata dai tragici eventi e la sua esistenza fu svelata da L’espresso nel 1994. Borsellino, tramite voi, volle rendere nota la figura di Vittorio Mangano, lo stalliere, è esatto?  <<Certamente Mangano è al centro della conversazione. In quel momento si trovava in galera ma era uno sconosciuto. Berlusconi non era ancora al centro dell’attenzione pubblica come poi lo sarà dopo, quando fece il suo partito e divenne presidente del Consiglio. Era un industriale non ancora al centro delle inchieste delle procure siciliane quanto di quelle del nord, dove era già scoppiata Tangentopoli. Ecco, Borsellino voleva evidentemente che fosse resa pubblica la storia di Mangano, accennando molto brevemente ad una inchiesta aperta anche a Palermo su Berlusconi, inchiesta di cui non si è saputo poi più nulla, per quanto io ne sappia. Penso che avrà senz’altro valutato i rischi delle sue parole per le indagini, se non per la sua stessa vita>>.

Davvero si può escludere che l’intervista sia stata la causa dell’urgenza con cui Cosa nostra e i suoi concorrenti esterni deciso di anticipare i tempi della strage?  “Tante volte mi sono fatto questa domanda, come puoi immaginare. Ad essere sincero tenderei ad escluderlo. Berlusconi in quel momento, in fondo, era uno dei tanti industriali che potevano orbitare nel mondo mafioso”.

Però Borsellino vi diede dei documenti, chiedendovi di tenere riservato il suo gesto.  “Si è tutto registrato e noi scegliemmo di non tagliare nulla, per non alterare l’affidabilità del documento. Si trattava in realtà dell’elenco di tutti i casi giudiziari nei quali era invischiato Berlusconi, tutti documenti giudiziari pubblici. Quando andai a cercarli mi resi conto che li avevo già quasi tutti nel mio archivio. Fu un gesto di cortesia e di fiducia che ancora mi commuove ARTICOLO 21 23.7.2019


Intervista di Fabrizio Calvi a Paolo Borsellino  Il 21 maggio 1992, due mesi prima della Strage di Via d’Amelio, i giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi intervistano Paolo Borsellino.

L’intervista

Dunque incominciamo. Lei si è occupato di questo maxiprocesso di Palermo, cos’ha fatto signor Giudice in questo maxiprocesso di Palermo?

Mah, io ero uno dei giudici istruttori. Inizialmente eravamo quattro che abbiamo raccolto le dichiarazioni di tutti i collaboratori che sono stati utilizzati in questo processo. Buscetta principalmente, ma anche tanti altri collaboratori minori che hanno dato un apporto dal punto di vista giudiziario, strettamente giudiziario, non meno consistente di quello di Buscetta. E poi ho redatto nell’estate dell’85, ho redatto il provvedimento conclusivo del processo che va come ordinanza, maxi ordinanza, sulla base della quale si è svolto poi il giudizio di primo grado

Conosce bene gli imputati?

Beh, pressoché tutti gli imputati.

Quanti sono?

Beh, gli imputati del Maxiprocesso erano circa 800. Ne furono rinviati a giudizio 475.

Tra questi 475 ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei lo conosce? Ha avuto a che fare con lui?

Si, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, precisamente negli anni tra il ’75 e l’80, ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava una delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane.

Borsellino al telefono: “Ah pronto, pronto, pronto… se possiamo sospendere un istante. Pronto Nino, senti volevo sapere com’è andata stamattina… si… si…”

Tra queste centinaia d’imputati ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei l’ha conosciuto?

Sì, Vittorio Mangano l’ho conosciuto in epoca addirittura antecedente al maxiprocesso perché fra il ’74 e il ’75 Vittorio Mangano restò coinvolto in un’altra indagine che riguardava talune estorsioni fatte in danno di talune cliniche private che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste erano inviati dei cartoni con all’interno una testa di cane mozzata. L’indagine fu particolarmente fortunata perché attraverso la marca dei cartoni e attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice, si poté rapidamente individuare chi li aveva acquistati e attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria, un negozio di vendita di salumi, che risultava avere acquistato questi cartoni si scoprirono all’interno sepolti in questo giardino i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere… Ora i miei ricordi sono un po’ affievoliti, di questa famiglia, credo che si chiamasse Guddo che era stata l’autrice materiale delle estorsioni. Fu processato, non ricordo quale sia stato l’esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano, che poi ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra.

Uomo d’onore di che famiglia?

Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano (ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento, cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso), che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.

E questo Mangano Vittorio faceva il traffico di droga a Milano?

Il Mangano… Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane preannuncia, o tratta, l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli. Mangano è stato poi sottoposto al processo dibattimentale ed è stato condannato proprio per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa, bensì per associazione semplice. Riportò in primo grado una pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione.

In che anno era?

In che anno riportò questa condanna? Riportò questa condanna in primo grado nel millenovecento… all’inizio del 1988. Ne aveva già scontato un buon numero di questa condanna e in appello, per le notizie che io ho, la pena è stata sensibilmente ridotta.

Dunque quando Mangano al telefono parlava di droga diceva cavalli?

Diceva cavalli e diceva magliette talvolta.

Perché se ricordo bene nell’inchiesta della San Valentino un’intercettazione tra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di cavalli…

Si, e comunque non è la prima volta che viene utilizzata. Probabilmente non so se si tratti della stessa intercettazione, se mi consente di consultare… No, questa intercettazione in cui si parla di cavalli è un’intercettazione che avviene tra lui e uno della famiglia degli Inzerillo.

Ma ce n’è un’altra nella San Valentino con lui e Dell’Utri.

Si, il processo di San Valentino, sebbene io l’abbia gestito per qualche mese poiché mi fu assegnato a Palermo allorché i giudici romani si dichiararono incompetenti e lo trasmisero a Palermo. Io mi limitai a sollevare a mia volta un conflitto di competenza davanti alla Cassazione. Conflitto di competenza che fu accolto, quindi il processo ritornò a Roma o a Milano, in questo momento non ricordo. Conseguentemente non è un processo che io conosca bene in tutti i suoi dettagli perché appunto non l’ho istruito, mi sono dichiarato incompetente.

Comunque lei, in quanto esperto, lei può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono vuol dire droga?

Si, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta a dibattimento. Tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga… Fu condannato esattamente a 13 anni e 4 mesi di reclusione più 70 mila lire… 70 milioni di multa. E la sentenza di corte d’appello confermò questa decisione del primo grado sebbene, da quanto io rilevo dalle carte, vi sia stata una sensibile riduzione della pena.

E Dell’Utri non c’entra in queste schede?

Dell’Utri non è stato imputato del maxiprocesso per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.

A Palermo?

Si, credo che ci sia un’ indagine che attualmente è a Palermo, con il vecchio rito processuale, nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.

Dell’Utri, Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri?

Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto… cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, entrambi.

Quelli della Publitalia insomma?

Si

E tornando a Mangano… la connessione tra Mangano e Dell’Utri?

Si tratta di atti processuali dei quali non mi sono personalmente occupato, quindi sui quali non potrei riferire nulla con cognizione di causa. Posso ulteriormente riferire che successivamente al maxiprocesso, o almeno all’istruzione del maxiprocesso, di questo Vittorio Mangano parlò pure Calderone che ribadì la sua posizione di uomo d’onore e parlò pure di un incontro con Mangano avuto da Calderone, credo nella villa di… nella tenuta agricola di Michele Greco. Insieme dove lo conobbe mentre si era ivi recato dopo aver compiuto un omicidio, almeno questo lo dice Calderone, assieme a Rosario Riccobono. Dello stesso Mangano ha parlato anche a lungo un pentito minore che è recentemente deceduto, un certo Calzetta, il quale ha parlato dei rapporti fra quel suddetto Mangano e una famiglia del Corso dei Mille, la famiglia Zancla i cui esponenti furono sottoposti a processo… erano tutti imputati nel maxiprocesso.

La prima volta che l’ha visto quando era?

La prima volta che l’ho visto…l’ho visto, anche se fisicamente non lo ricordo, l’ho visto fra il ’70 ed il ’75.

Per l’interrogatorio?

Per l’interrogatorio, si.

E dopo è stato arrestato?

Fu arrestato fra il ’70 ed il ’75. Fisicamente non ricordo il momento in cui lo vidi nel corso del maxiprocesso perché non ricordo neanche di averlo interrogato personalmente io. Comunque si tratta di ricordi che cominciano ad essere un po’ sbiaditi in considerazione del fatto che sono passati abbondantemente dieci anni, quasi dieci anni.

A Palermo?

Si. Si, a Palermo. La prima volta sicuramente a Palermo.

Quando?

Fra il ’70 ed il ’75 e dopo… cioè fra il ’75 e l’80. Probabilmente sarà stato a metà strada fra il ’75 e l’80.

Ma lui viveva già a Milano?

Beh, lui sicuramente era dimorante a Milano anche se risultò… lui stesso affermava di avere…di spostarsi frequentemente fra Milano e Palermo.

E si sa cosa faceva… lei sa cosa faceva a Milano?

A Milano credo che lui dichiarò di gestire un’agenzia ippica o qualcosa del genere. E comunque che avesse questa passione di cavalli risulta effettivamente la verità perché anche nel processo questo delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito, venivano fuori dei cavalli effettivamente cavalli, non cavalli come parola che mascherava il traffico di stupefacenti.

Si, ma quella conversazione con Dell’Utri poteva anche trattarsi di cavalli?

Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che devono essere mandati in un albergo… Quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo.

In un albergo dove?

Ho vaghi ricordi, ma probabilmente si tratta del Plaza o di qualcosa del genere, si.

Di che città?

Di Milano.

Ah, per di più!

Si.

E a Milano non ha altre precisioni sulla sua vita, su che cosa faceva?

Guardi se avessi possibilità di consultare gli atti del procedimento molti ricordi mi riaffiorerebbero, ma ripeto si tratta di ricordi ormai un po’ sbiaditi dal tempo.

Si è detto che ha lavorato per Berlusconi…

Non le saprei dire in proposito anche se dico… debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo poiché ci sono addirittura… so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali degli atti siano ormai conosciuti ed ostensibili e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda, che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.

Ma c’è un’inchiesta ancora aperta?

So che c’è un’inchiesta ancora aperta.

Su Mangano e Berlusconi? A Palermo?

Su Mangano credo proprio di si, o comunque ci sono delle indagini istruttorie che riguardano rapporti di polizia concernenti anche il Mangano. Questa parte dovrebbe essere richiesta a Guarnotta che ne ha la disponibilità, quindi non so io se sono cose che possono dirsi in questo momento.

Ma lui comunque era uomo d’onore negli anni 70, no?

Beh, secondo le dichiarazioni di Buscetta, Buscetta lo conobbe già come uomo d’onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo, periodo antecedente agli anni ’80. Ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quelle estorsioni del processo dei cani con le teste mozzate di cui ho parlato prima”.

Ma Buscetta come fa a dire che Mangano era un uomo d’onore?

Evidentemente Buscetta precisa ogni qualvolta indica una persona come uomo d’onore, precisa quali siano state le modalità di presentazione di cui lui ha parlato in generale nelle sue dichiarazioni e poi specificamente ne parla con riferimento a ogni singola persona accusata. Cioè la presenza di un terzo uomo d’onore che garantendo della qualità di entrambe le persone che si presentano, presenta l’uno all’altro e l’altro all’uno.

E’ un rito?

Secondo il rituale, si tratta proprio di un rituale, descritto non soltanto da Buscetta, ma descritto anche da Contorno e descritto da tutti i pentiti, descritto da Calderone e descritto da altri pentiti minori. Gli uomini d’onore non possono scambievolmente presentarsi se non vi è la presenza di un terzo uomo d’onore che già è stato presentato ad entrambi e quindi sia in grado di rivelare all’uno la qualità di uomo d’onore dell’altro. E’ un rito di Cosa Nostra del quale abbiamo trovato decine e decine di conferme.

Lei nelle sue carte non ha la data esatta dell’arresto di Mangano negli anni ’70?

Guardi le posso dire che non ho la data esatta dell’arresto di Mangano perché mi manca il documento. Però Buscetta parla di un incontro avvenuto nel carcere… con Mangano nel carcere di Palermo, un incontro avvenuto nel 1977. Mangano negò in un primo momento che vi fosse stata questa possibilità di incontro tra lui e Buscetta. Gli accertamenti espletati permisero di accettare che sia il Mangano che il Buscetta erano stati detenuti assieme all’Ucciardone proprio nel 1977 e probabilmente forse in qualche anno prima o dopo il ‘77.

‘77… vuol dire che era dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare per Berlusconi? (Paolo Borsellino fa cenno di non sapere o non potere rispondere)

Da quanto sappiamo lui ha cominciato a lavorare nel ’75.

Le posso dire che sia Mangano che Buscetta… ehm sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d’onore.

Lei sa come Mangano e dell’Utri si sono conosciuti?

No. Non lo so perché questa parte dei rapporti di Mangano, ripeto, non fa parte delle indagini che ho svolto io personalmente, conseguentemente quello che ne so io è quello che può risultare dai giornali o da qualsiasi altra fonte di conoscenza. Non è comunque mai una conoscenza professionale mia e sul punto peraltro non ho ricordi.

Sono di Palermo tutti e due?

Non è una considerazione che induce ad alcuna conclusione perché Palermo è una città, diversamente come ad esempio Catania dove le famiglie mafiose erano composte di non più di una trentina di persone, almeno originariamente, in cui gli uomini d’onore sfioravano, ufficiali, sfioravano duemila persone secondo quanto ci racconta ad esempio Calderone. Quindi il fatto che fossero di Palermo tutti e due non è detto che si conoscessero.

Un socio di Dell’Utri, un tale Filippo Rapisarda che dice che ha conosciuto Dell’Utri tramite qualcuno della famiglia di Stefano Bontate.

Guardi Mangano era della famiglia di Porta Nuova, cioè la famiglia di Calò. Comunque considerando che Cosa nostra è…

– (interruzione della Signora Borsellino per un’auto da spostare)-

Rifaccio la domanda: c’è un socio di Marcello Dell’Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade.

Beh considerato che Mangano ricordo appartenesse alla famiglia di Pippo Calò, evidentemente non sarà stato Mangano…non sarà stato qualcuno del… cioè non saprei individuare chi potesse averglielo presentato. Comunque tenga presente che nonostante Palermo sia la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose… si è parlato addirittura in certi periodi almeno di duemila uomini d’onore con famiglie numerosissime. La famiglia di Stefano Bontade sembra che in certi periodi ne contasse almeno duecento e si trattava comunque di famiglie appartenenti ad un’unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.

Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?

Rapisarda, so dell’esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente.

A Palermo c’è un giudice che se n’è occupato?

Credo che attualmente se ne occupi, se vi è una inchiesta aperta anche nei suoi confronti, se ne occupi il giudice istruttore. Cioè l’ultimo degli appartenenti, cioè il collega Guarnotta, cioè l’ultimo degli appartenenti al pool antimafia che è rimasto in quell’ufficio a trattare i processi che ancora si svolgono col rito… col vecchio codice di procedura penale.

Perché a quanto pare Rapisarda e Dell’Utri erano in affari con Ciancimino tramite un tale Alamia.

Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell’Utri e Rapisarda non so fornirle particolari indicazioni trattandosi, ripeto, sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.

Ma questo Ciancimino, ex sindaco di Palermo, è un mafioso?

Ciancimino è stato colpito da mandato di cattura, nel periodo in cui io lavoravo ancora a Palermo presso l’ufficio istruzione, proprio per la sua supposta appartenenza a Cosa Nostra. Procedimento che si è svolto a dibattimento in epoca estremamente recente e nel corso del quale è stato condannato, conseguentemente è stato accertato giudizialmente almeno in primo grado la sua appartenenza a Cosa Nostra.

A cosa è stato condannato?

Non ricordo esattamente. Si tratta di una sentenza di qualche mese fa della quale comunque non ricordo… Ricordo la condanna ma non ricordo gli anni relativi alla condanna. E’ chiaro che quando si fa riferimento a Cosa Nostra dal punto di vista dell’organo giudiziario penale italiano, non viene considerato sempre necessario che la persona sia uomo d’onore all’interno di Cosa Nostra perché queste sono regole dell’ordinamento giuridico mafioso. In Italia, secondo l’ordinamento giuridico statuale si può essere condannati per 416 bis, cioè per associazione mafiosa, anche se (ndr) non appartenenti ritualmente, a seguito di una regolare e rituale iniziazione, a Cosa Nostra. Faccio l’esempio, peraltro molto diffuso nelle indagini che sono state fatte, di una famiglia che si avvale di Cosa Nostra, che si avvale per la consumazione, abitualmente, per la consumazione di taluni delitti di sangue di giovani non ancora inseriti in Cosa Nostra.. diciamo in periodi di tirocinio. Questo secondo l’ordinamento giuridico statuale, questi giovani killer che vengono reclutati da Cosa Nostra, ma non ancora ritualmente inseriti secondo la rituale cerimonia nell’organizzazione, fanno comunque parte dell’organizzazione criminosa secondo l’ordinamento giuridico statuale.

Lei in quanto uomo, non più in quanto giudice, come giudica la fusione che si opera, che abbiamo visto operarsi, tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconi o Dell’Utri e uomini di onore di Cosa Nostra. Cioè Cosa Nostra si interessa all’industria?

Beh, a prescindere da ogni riferimento personale perché ripeto con riferimento a questi nominativi che lei ha fatto, io non ho personali elementi tali da poter esprimere opinioni. Ma considerando la faccenda nel suo atteggiarsi generale allorché l’organizzazione mafiosa, la quale sino agli anni ’70, sino all’inizio degli anni ’70 aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili, all’inizio degli anni ’70 in poi Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa.. un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole che a un certo punto diventò addirittura monopolistico nel traffico di sostanze stupefacenti… Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali naturalmente cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero. E allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nosta cominciò a porsi il problema e ad effettuare degli investimenti leciti o para leciti, come noi li chiamiamo, di capitali. Naturalmente per questa ragione cominciò a seguire vie parallele e talvolta tangenziali alla industria operante anche nel nord, della quale in un certo qual modo… alla quale in un certo qual modo si avvicinò per potere utilizzare le capacità… quelle capacità imprenditoriali al fine di far fruttare questi capitali dei quali si era trovata in possesso.

Dunque lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessa a Berlusconi?

E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente queste esigenze, queste necessità per le quali l’organizzazione criminosa a un certo punto della sua vita storica si è trovata di fronte, hanno portato ad una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per dover far trovare uno sbocco a questi capitali. E quindi non mi meraviglia affatto che a un certo punto della sua storia Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali.

E uno come Mangano può essere l’elemento di connessione tra questi due mondi?

Beh guardi Mangano è una persona che già in epoca, oramai diciamo databile abbondantemente di due decenni almeno, era una persona che già operava a Milano. Era inserita in un qualche modo in una attività commerciale. E’ chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone, di Cosa Nostra che erano in grado di gestire questi rapporti.

Però lui si occupava anche di traffico di droga, l’abbiamo visto, ma anche di sequestro di persona.

Mah, tutti quei mafiosi che in quegli anni (siamo probabilmente alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70), che approdarono a Milano e fra questi non dimentichiamo che c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali che poi investirono nel traffico delle sostanze stupefacenti, anche con i sequestri di persona. Lo stesso Luciano Liggio fu coinvolto in alcuni clamorosi processi che riguardavano sequestri di persona. Ora non ricordo se si trattasse ad esempio di quelli di Rossi di Montelera, ma probabilmente fu proprio uno di questi e diversi personaggi che ancora troviamo come protagonisti di vicende mafiose, a Milano si dedicarono a questo tipo di attività che invece, salvo alcuni fatti clamorosi che costituiscono comunque l’eccezione, sequestri di persona che invece ad un certo punto Cosa Nostra si diede come regola di non gestire mai in Sicilia.

Un investigatore ci ha detto che al momento in cui Mangano lavorava per Berlusconi, c’è stato un sequestro, non a casa di Berlusconi però, di un invitato che usciva dalla casa di Berlusconi.

Non sono a conoscenza di questo episodio.

E questo sequestro fu opera insomma, fu implicato dentro un tale Pietro Vernengo.

Ritengo possa trattarsi, anche perché non ne conosco altri con questo nome, del mafioso che è stato protagonista di alcune vicende che hanno avuto estremo risalto in stampa in questi ultimi tempi… cioè Pietro Vernengo, appartenente alla famiglia mafiosa credo di Santa Maria di Gesù che fu condannato all’ergastolo nel Maxiprocesso con sentenza confermata in appello per aver…era imputato addirittura di 99 omicidi e per qualcuno di essi è stato condannato. Pietro Vernengo, personaggio che fu sicuramente uno dei più importanti del maxiprocesso fra quelli coinvolti, sia nel traffico dei tabacchi lavorati esteri all’inizio che nel traffico delle sostanze stupefacenti poi. Anzi credo che un congiunto di Pietro Vernengo sia quel Di Salvo che risultò titolare di una delle raffinerie di droga scoperte a Palermo, proprio nella città di Palermo e precisamente nella zona di Romagnolo acqua dei corsari, una raffineria che fu scoperta mentre era ancora in funzione.

Avete detto maxiprocesso… Vernengo è stato giudicato con Mangano?

Vernengo è stato giudicato nel Maxiprocesso con Mangano.

Loro due si conoscevano?

Non lo ricordo se sono state fatte domande del genere o accertamenti del genere.

Mangano è più o meno un pesce pilota, non so come si dice, un’avanguardia.

Si, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia. Ce n’erano parecchi ma non moltissimi, almeno fra quelli individuati. Altro personaggio che risiedeva stabilmente a Milano era uno dei Bono. Credo che Alfredo Bono, che nonostante fosse capo della famiglia di Bolognetta, che è un paese vicino Palermo, risiedeva abitualmente a Milano. Nel maxiprocesso, in realtà debbo dire Mangano non appare come uno degli imputati principali. Non c’è dubbio comunque che, almeno con riferimento al maxiprocesso, è un personaggio che suscitò parecchio interesse anche per questo suo ruolo un po’ diverso da quello attinente specificatamente alla mafia militare, anche se le dichiarazioni di Calderone lo indicano anche come uno che non disdegnava neanche questo ruolo militare all’interno dell’organizzazione mafiosa. Se mal non ricordo, Calderone parla di un incontro con Mangano avvenuto in un fondo di Stefano Bontade, dove il Mangano e Rosario Riccobono sopravvenuti nel frangente, si dicevano reduci da un’operazione di sangue, o qualcosa del genere. Debbo dire che l’esito processuale però delle dichiarazioni di Calderone è stato un esito deludente poiché dal punto di vista strettamente giudiziario, cioè delle condanne con riferimento agli accusati, delle dichiarazioni di Calderone è rimasto ben poco. E’ rimasto ben poco probabilmente perchè in concomitanza con le dichiarazioni di Calderone è sopravvenuta quella dirompente sentenza, o decisione, della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha disconosciuto l’unitarietà della organizzazione criminosa Cosa Nostra, sostenendo che trattavasi invece di tante famiglie, o tante organizzazioni, aventi ognuna una propria collocazione territoriale cosicché il procedimento derivante dalla dichiarazione di Calderone è stato spezzettato, credo in dieci o dodici tronconi, pochi dei quali restano ancora in piede e nessuno dei quali credo abbia avuto sino ad ora un esito dibattimentale definitivo e soddisfacente dal punto di vista dell’accusa.

Dunque Mangano era uno capace di partecipare ad azioni militari?

Secondo le dichiarazioni di Calderone si.

Quali azioni militari non si sa?

Mah, ripeto… Calderone parla di un incontro con questo Mangano avvenuto nel fondo di Bontade, nel quale Mangano e Rosario Riccobono si dicevano reduci di un’azione di sangue.

Quando?

Il periodo credo che sia un periodo di poco precedente all’omicidio di Di Cristina, quindi dovremmo essere prima del 1978.

Subito dopo la sua scarcerazione?

Non saprei essere più preciso perché dovrei consultare gli atti. E’ citato in questo libro di Arlacchi questo episodio. Ne parla una sola volta in questo libro…. Ah, dice nel 1976. Un giorno del ’76 quindi, io ricordavo nel ’77. – Borsellino legge: Mi trovavo nella tenuta favarella insieme a Pippo, eravamo seduti a discutere con Michele Greco Ecco non è Bontade, è Michele Greco, ora che…. Io ricordavo la tenuta di Bontade, mentre si tratta della tenuta di Michele Greco. […a discutere con Michele Greco quando arrivarono Rosario Riccobono e Vittorio Mangano, uomo d’onore di Pippo Calò, che avevo già incontrato a Milano. Erano venuti per informare Greco dell’avvenuta esecuzione di un ordine, avevano appena eliminato il responsabile di un sequestro di una donna e avevano pure liberato l’ostaggio]. Penso di ricordare anche a quale delitto si riferisce il Calderone. Perché in quell’epoca credo che venne sequestrata a Monreale una certa Gabriella o Graziella Mandalà, la quale qualche giorno dopo, appena otto giorni dopo ricomparve, fu liberata. E subito dopo si verificarono tutta una serie di delitti estremamente raccapriccianti, un tizio che probabilmente era sospettato di aver partecipato al sequestro fu ritrovato addirittura nella circonvallazione dentro un sacco di [interruzione] …con riferimento al suo incontro con Mangano.

Fatto da Mangano?

Calderone lascia capire in questo modo. Almeno da queste dichiarazioni che vedo riportate nel libro di Arlacchi. Anzi credo che Calderone cita proprio questo fatto che mi ha fatto ricordare…(interruzione)… Dell’uccisione fatta da Liggio di due donne della quale una viene stuprata e uccisa, una ragazza di 14 anni o 15 anni, che viene stuprata e uccisa subito dopo. Si tratterebbe di un delitto analogo a quello per cui un tizio stamattina è…(interruzione).

Ci sono tutta una serie di appunti, di schede e di computer attraverso le quali occorre però risalire alla documentazione, delle quali alcuni sono sicuramente ostensibili perché fanno parte del maxiprocesso e ormai il maxiprocesso è conosciuto, è pubblico. Alcuni non lo sono perché riguardano indagini in corso, li dovrei fare esaminare da Guarnotta per…

No dicevo solo quei fogli di computer.

Eh si però qualcuno di questi fogli di computer riguarda, per esempio, sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi, e non so sino a che punto sono ostensibili… Io glieli do, l’importante che lei non dica che glieli ho dati io… Sono soltanto…ecco questo computer è organizzato in questo modo, questo è un indice sostanzialmente perché attraverso queste indicazioni noi cerchiamo “Vittorio Mangano” ed il computer ci tira fuori tutti gli indici degli atti dove sappiamo che c’è il nome Vittorio Mangano. Però non sono gli atti, è l’indicazione di come si possono andare a trovare perché poi il processo è microfilmato, c’è lì una cosa, si cerca il microfilm e si tirano fuori. Cosa non sempre facile perché ormai ‘ste bobine microfilm sono diventate numerosissime. WIKIMAFIA 


 

Borsellino, il mistero dell’ultima intervista  Il giudice ucciso dalla mafia aveva parlato con due giornalisti francesi due mesi prima della morte   Il centrosinistra insorge: “Lo scandalo non è Satyricon questo documento doveva andare in onda in prima serata” La polemica nella polemica. Nella tempesta esplosa con la puntata di Satyricon di ieri sera, un punto di contrasto particolare riguarda l’ultima intervista rilasciata dal giudice Paolo Borsellino, ucciso da Cosa nostra nel 1992, poche settimane dopo la strage di Capaci in cui morì il suo amico Giovanni Falcone. L’intervista fu rilasciata da Borsellino il 19 maggio di quell’anno a due giornalisti francesi, autori di numerosi libri di inchieste, Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi. Adesso, però, Silvio Berlusconi afferma che l’intervista è stata manipolata: “Tutti sanno – ha detto il Cavaliere -, e
soprattutto lo sa la Rai che la mandò in onda nel settembbre 2000, che quella cassetta è stata manipolata, come risulta dalla trascrizione integrale dell’intervista pubblicata da ‘l’Espresso’ dell’8 aprile 1994 da pagina 80 a pagina 84″.
Le parole di Borsellino sono state abbondantemente citate ieri sera da Luttazzi e Travaglio che ha parlato nel suo libro dei presunti rapporti di Berlusconi con Cosa nostra. E se il centrodestra insorge e parla di una “vergognosa strumentalizzazione” di Borsellino “in funzione elettorale”, il centrosinistra protesta invece perché quell’intervista al magistrato non è mai andata in onda in televisione in un orario accessibile al grande pubblico. E’ stata trasmessa solo da un’emittente locale (Telelombardia) e dal canale satellitare della Rai “Rai News 24” nel settembre scorso a mezzanotte.
Per il Ds Fabio Mussi lo scandalo sta proprio qui. “In qualunque sistema informativo – ha detto Mussi – sarebbe stata mandata in onda ad un orario di massimo ascolto e poi sarebbero stati invitati i protagonisti a parlarne. Invece la cassetta è scomparsa: è questo lo scandalo”
Ma che cosa dice Borsellino in questa intervista? Nulla che non fosse già contenuto negli atti giudiziari delle inchieste aperte sulla Fininvest e su Berlusconi. Innanzitutto parla di Vittorio Mangano, indicato da Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno come uomo d’onore legato al boss Pippo Calò e assunto poi nella villa del Cavaliere ad Arcore come stalliere.
Si parla anche delle intercettazioni telefoniche che indicherebbero Mangano legato al traffico di eroina. Ma Borsellino perla soprattutto di un aspetto della Cosa nostra degli anni Settanta: il bisogno che avevano i boss di riciclare denaro. E per fare questo, dice il giudice, si servivano di “teste di ponte” che creavano i canali con il Nord Italia.(15 marzo 2001 LA REPUBBLICA)


LA TRASCRIZIONE DELL’INTERVISTA IN VERSIONE INTEGRALE (a cura di Valentina Curcasi)

  • Fabrizio Calvì (FC): “Dunque incominciamo.  Lei si è occupato di questo maxiprocesso di Palermo, cos’ha fatto signor Giudice in questo maxiprocesso di Palermo?”
  • Paolo Borsellino (PB): “Mah, io ero uno dei giudici istruttori. Inizialmente eravamo quattro che abbiamo raccolto le dichiarazioni di tutti i collaboratori che sono stati utilizzati in questo processo. Buscetta principalmente, ma anche tanti altri collaboratori minori che hanno dato un apporto dal punto di vista giudiziario, strettamente giudiziario, non meno consistente di quello di Buscetta. E poi ho redatto nell’estate dell’85, ho redatto il provvedimento conclusivo del processo che va come ordinanza, maxi ordinanza, sulla base della quale si è svolto poi il giudizio di primo grado”.
  • FC: “Conosce bene gli imputati?”
  • PB: “Beh, pressoché tutti gli imputati”.
  • FC: “Quanti sono?”
  • PB: “Beh, gli imputati del maxiprocesso erano circa 800. Ne furono rinviati a giudizio 475”.
    FC: “Tra questi 475 ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei lo conosce? Ha avuto a che fare con lui?”
  • PB “Si, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, precisamente negli anni tra il ’75 e l’80, ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava una delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane”.
  • {PB al telefono: “Ah pronto, pronto, pronto… se possiamo sospendere un istante. Pronto Nino, senti volevo sapere com’è andata stamattina… si… si…”}
  • FC: “Tra queste centinaia d’imputati ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei l’ha conosciuto?”
  • PB: “Sì, Vittorio Mangano l’ho conosciuto in epoca addirittura antecedente al maxiprocesso perché fra il ’74 e il ’75 Vittorio Mangano restò coinvolto in un’altra indagine che riguardava talune estorsioni fatte in danno di talune cliniche private che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste erano inviati dei cartoni con all’interno una testa di cane mozzata. L’indagine fu particolarmente fortunata perché attraverso la marca dei cartoni e attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice, si poté rapidamente individuare chi li aveva acquistati e attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria, un negozio di vendita di salumi, che risultava avere acquistato questi cartoni si scoprirono all’interno sepolti in questo giardino i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere… Ora i miei ricordi sono un po’ affievoliti, di questa famiglia, credo che si chiamasse Guddo che era stata l’autrice materiale delle estorsioni. Fu processato, non ricordo quale sia stato l’esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano, che poi ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra”.
    FC: “Uomo d’onore di che famiglia?”
  • PB: “Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano (ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento, cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso), che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane”.
  • FC: “E questo Mangano Vittorio faceva il traffico di droga a Milano?”
  • PB: “Il Mangano… Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane preannuncia, o tratta, l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli. Mangano è stato poi sottoposto al processo dibattimentale ed è stato condannato proprio per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa, bensì per associazione semplice. Riportò in primo grado una pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione”.
  • FC: “In che anno era?”
  • PB: “In che anno riportò questa condanna? Riportò questa condanna in primo grado nel millenovecento… all’inizio del 1988. Ne aveva già scontato un buon numero di questa condanna e in appello, per le notizie che io ho, la pena è stata sensibilmente ridotta”.
    FC: “Dunque quando Mangano al telefono parlava di droga diceva cavalli?”
  • PB: “Diceva cavalli e diceva magliette talvolta”.
  • FC: “Perché se ricordo bene nell’inchiesta della San Valentino un’intercettazione tra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di cavalli…”
  • PB: “Si, e comunque non è la prima volta che viene utilizzata. Probabilmente non so se si tratti della stessa intercettazione, se mi consente di consultare… No, questa intercettazione in cui si parla di cavalli è un’intercettazione che avviene tra lui e uno della famiglia degli Inzerillo”.
  • FC: “Ma ce n’è un’altra nella San Valentino con lui e Dell’Utri”.
  • PB: “Si, il processo di San Valentino, sebbene io l’abbia gestito per qualche mese poiché mi fu assegnato a Palermo allorché i giudici romani si dichiararono incompetenti e lo trasmisero a Palermo. Io mi limitai a sollevare a mia volta un conflitto di competenza davanti alla Cassazione. Conflitto di competenza che fu accolto, quindi il processo ritornò a Roma o a Milano, in questo momento non ricordo. Conseguentemente non è un processo che io conosca bene in tutti i suoi dettagli perché appunto non l’ho istruito, mi sono dichiarato incompetente”. 
    FC: “Comunque lei, in quanto esperto, lei può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono vuol dire droga?”
  • PB: “Si, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta a dibattimento. Tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga… Fu condannato esattamente a 13 anni e 4 mesi di reclusione più 70 mila lire… 70 milioni di multa. E la sentenza di corte d’appello confermò questa decisione del primo grado sebbene, da quanto io rilevo dalle carte, vi sia stata una sensibile riduzione della pena”.
    FC: “E Dell’Utri non c’entra in queste schede?”
  • PB: “Dell’Utri non è stato imputato del maxiprocesso per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano”.
    FC: “A Palermo?”
  • PB: “Si, credo che ci sia un’ indagine che attualmente è a Palermo, con il vecchio rito processuale, nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari”.
  • FC: “Dell’Utri, Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri?”
  • PB: “Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto… cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, entrambi”.
  • FC: “Quelli della Publitalia insomma?”
  • PB: “Si”.
  • FC: “E tornando a Mangano… la connessione tra Mangano e Dell’Utri?”
  • PB: “Si tratta di atti processuali dei quali non mi sono personalmente occupato, quindi sui quali non potrei riferire nulla con cognizione di causa. Posso ulteriormente riferire che successivamente al maxiprocesso, o almeno all’istruzione del maxiprocesso, di questo Vittorio Mangano parlò pure Calderone che ribadì la sua posizione di uomo d’onore e parlò pure di un incontro con Mangano avuto da Calderone, credo nella villa di… nella tenuta agricola di Michele Greco. Insieme dove lo conobbe mentre si era ivi recato dopo aver compiuto un omicidio, almeno questo lo dice Calderone, assieme a Rosario Riccobono. Dello stesso Mangano ha parlato anche a lungo un pentito minore che è recentemente deceduto, un certo Calzetta, il quale ha parlato dei rapporti fra quel suddetto Mangano e una famiglia del Corso dei Mille, la famiglia Zancla i cui esponenti furono sottoposti a processo… erano tutti imputati nel maxiprocesso”.
    FC: “La prima volta che l’ha visto quando era?”
  • PB: “La prima volta che l’ho visto…l’ho visto, anche se fisicamente non lo ricordo, l’ho visto fra il ’70 ed il ’75”.
  • FC: “Per l’interrogatorio?”
  • PB: “Per l’interrogatorio, si”.
    FC: “E dopo è stato arrestato?”
  • PB: “Fu arrestato fra il ’70 ed il ’75. Fisicamente non ricordo il momento in cui lo vidi nel corso del maxiprocesso perché non ricordo neanche di averlo interrogato personalmente io. Comunque si tratta di ricordi che cominciano ad essere un po’ sbiaditi in considerazione del fatto che sono passati abbondantemente dieci anni, quasi dieci anni”.
  • FC: “A Palermo?”
  • PB: “Si. Si, a Palermo. La prima volta sicuramente a Palermo”.
    FC: “Quando?”
  • PB: “Fra il ’70 ed il ’75 e dopo… cioè fra il ’75 e l’80. Probabilmente sarà stato a metà strada fra il ’75 e l’80”.
  • FC: “Ma lui viveva già a Milano?”
  • PB: “Beh, lui sicuramente era dimorante a Milano anche se risultò… lui stesso affermava di avere…di spostarsi frequentemente fra Milano e Palermo”.
    FC: “E si sa cosa faceva… lei sa cosa faceva a Milano?”
  • PB: “A Milano credo che lui dichiarò di gestire un’agenzia ippica o qualcosa del genere. E comunque che avesse questa passione di cavalli risulta effettivamente la verità perché anche nel processo questo delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito, venivano fuori dei cavalli effettivamente cavalli, non cavalli come parola che mascherava il traffico di stupefacenti”.
  • FC: “Si, ma quella conversazione con Dell’Utri poteva anche trattarsi di cavalli?”
  • PB: “Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che devono essere mandati in un albergo… Quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo”.
    FC: “In un albergo dove?”
  • PB: “Ho vaghi ricordi, ma probabilmente si tratta del Plaza o di qualcosa del genere, si”.
  • FC: “Di che città?”
  • PB: “Di Milano”.
  • FC: “Ah, per di più!”
  • PB: “Si”.
  • FC: “E a Milano non ha altre precisioni sulla sua vita, su che cosa faceva?”
  • PB: “Guardi se avessi possibilità di consultare gli atti del procedimento molti ricordi mi riaffiorerebbero, ma ripeto si tratta di ricordi ormai un po’ sbiaditi dal tempo”.
  • FC: “Si è detto che ha lavorato per Berlusconi…”
  • PB: “Non le saprei dire in proposito anche se dico… debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo poiché ci sono addirittura… so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali degli atti siano ormai conosciuti ed ostensibili e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda, che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla”.
  • FC: “Ma c’è un’inchiesta ancora aperta?”
  • PB: “So che c’è un’inchiesta ancora aperta”.
  • FC: “Su Mangano e Berlusconi? A Palermo?”
  • PB: “Su Mangano credo proprio di si, o comunque ci sono delle indagini istruttorie che riguardano rapporti di polizia concernenti anche il Mangano. Questa parte dovrebbe essere richiesta a Guarnotta che ne ha la disponibilità, quindi non so io se sono cose che possono dirsi in questo momento”.
  • FC: “Ma lui comunque era uomo d’onore negli anni 70, no?”
  • PB: “Beh, secondo le dichiarazioni di Buscetta, Buscetta lo conobbe già come uomo d’onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo, periodo antecedente agli anni ’80. Ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quelle estorsioni del processo dei cani con le teste mozzate di cui ho parlato prima”.
  • FC: “Ma Buscetta come fa a dire che Mangano era un uomo d’onore?”
  • PB: “Evidentemente Buscetta precisa ogni qualvolta indica una persona come uomo d’onore, precisa quali siano state le modalità di presentazione di cui lui ha parlato in generale nelle sue dichiarazioni e poi specificamente ne parla con riferimento a ogni singola persona accusata. Cioè la presenza di un terzo uomo d’onore che garantendo della qualità di entrambe le persone che si presentano, presenta l’uno all’altro e l’altro all’uno”.
    FC: “E’ un rito?”
  • PB: “Secondo il rituale, si tratta proprio di un rituale, descritto non soltanto da Buscetta, ma descritto anche da Contorno e descritto da tutti i pentiti, descritto da Calderone e descritto da altri pentiti minori. Gli uomini d’onore non possono scambievolmente presentarsi se non vi è la presenza di un terzo uomo d’onore che già è stato presentato ad entrambi e quindi sia in grado di rivelare all’uno la qualità di uomo d’onore dell’altro. E’ un rito di Cosa Nostra del quale abbiamo trovato decine e decine di conferme”.
  • FC: “Lei nelle sue carte non ha la data esatta dell’arresto di Mangano negli anni ’70?”
  • PB: “Guardi le posso dire che non ho la data esatta dell’arresto di Mangano perché mi manca il documento. Però Buscetta parla di un incontro avvenuto nel carcere… con Mangano nel carcere di Palermo, un incontro avvenuto nel 1977. Mangano negò in un primo momento che vi fosse stata questa possibilità di incontro tra lui e Buscetta. Gli accertamenti espletati permisero di accettare che sia il Mangano che il Buscetta erano stati detenuti assieme all’Ucciardone proprio nel 1977 e probabilmente forse in qualche anno prima o dopo il ‘77”.
  • FC: “‘77… vuol dire che era dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare per Berlusconi?”
  • (Paolo Borsellino fa cenno di non sapere o non potere rispondere)
  • FC: “Da quanto sappiamo lui ha cominciato a lavorare nel ’75”.
  • PB: “Le posso dire che sia Mangano che Buscetta… ehm sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d’onore”.
    FC: “Lei sa come Mangano e dell’Utri si sono conosciuti?”
  • PB: “No. Non lo so perché questa parte dei rapporti di Mangano, ripeto, non fa parte delle indagini che ho svolto io personalmente, conseguentemente quello che ne so io è quello che può risultare dai giornali o da qualsiasi altra fonte di conoscenza. Non è comunque mai una conoscenza professionale mia e sul punto peraltro non ho ricordi”.
  • FC: “Sono di Palermo tutti e due?”
  • PB: “Non è una considerazione che induce ad alcuna conclusione perché Palermo è una città, diversamente come ad esempio Catania dove le famiglie mafiose erano composte di non più di una trentina di persone, almeno originariamente, in cui gli uomini d’onore sfioravano, ufficiali, sfioravano duemila persone secondo quanto ci racconta ad esempio Calderone. Quindi il fatto che fossero di Palermo tutti e due non è detto che si conoscessero”.
  • FC: “Un socio di Dell’Utri, un tale Filippo Rapisarda che dice che ha conosciuto Dell’Utri tramite qualcuno della famiglia di Stefano Bontade”.
  • PB: “Guardi Mangano era della famiglia di Porta Nuova, cioè la famiglia di Calò. Comunque considerando che Cosa nostra è…” – (interruzione della Signora Borsellino per un’auto da spostare)-
  • FC: “Rifaccio la domanda: c’è un socio di Marcello Dell’Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade”.
  • PB: “Beh considerato che Mangano ricordo appartenesse alla famiglia di Pippo Calò, evidentemente non sarà stato Mangano…non sarà stato qualcuno del… cioè non saprei individuare chi potesse averglielo presentato. Comunque tenga presente che nonostante Palermo sia la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose… si è parlato addirittura in certi periodi  almeno di duemila uomini d’onore con famiglie numerosissime. La famiglia di Stefano Bontade sembra che in certi periodi ne contasse almeno duecento e si trattava comunque di famiglie appartenenti ad un’unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera”.
    FC: “Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?”
    PB: “Rapisarda, so dell’esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente”.
  • FC: “A Palermo c’è un giudice che se n’è occupato?”
  • PB: “Credo che attualmente se ne occupi, se vi è una inchiesta aperta anche nei suoi confronti, se ne occupi il giudice istruttore. Cioè l’ultimo degli appartenenti, cioè il collega Guarnotta, cioè l’ultimo degli appartenenti al pool antimafia che è rimasto in quell’ufficio a trattare i processi che ancora si svolgono col rito… col vecchio codice di procedura penale”.
    FC: “Perché a quanto pare Rapisarda e Dell’Utri erano in affari con Ciancimino tramite un tale Alamia”.
  • PB: “Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell’Utri e Rapisarda non so fornirle particolari indicazioni trattandosi, ripeto, sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente”.
    FC: “Ma questo Ciancimino, ex sindaco di Palermo, è un mafioso?”
  • PB: “Ciancimino è stato colpito da mandato di cattura, nel periodo in cui io lavoravo ancora a Palermo presso l’ufficio istruzione, proprio per la sua supposta appartenenza a Cosa Nostra. Procedimento che si è svolto a dibattimento in epoca estremamente recente e nel corso del quale è stato condannato, conseguentemente è stato accertato giudizialmente almeno in primo grado la sua appartenenza a Cosa Nostra”.
  • FC: “A cosa è stato condannato?”
  • PB: “Non ricordo esattamente. Si tratta di una sentenza di qualche mese fa della quale comunque non ricordo… Ricordo la condanna ma non ricordo gli anni relativi alla condanna. E’ chiaro che quando si fa riferimento a Cosa Nostra dal punto di vista dell’organo giudiziario penale italiano, non viene considerato sempre necessario che la persona sia uomo d’onore all’interno di Cosa Nostra perché queste sono regole dell’ordinamento giuridico mafioso. In Italia, secondo l’ordinamento giuridico statuale si può essere condannati per 416 bis, cioè per associazione mafiosa, anche se (ndr) non appartenenti ritualmente, a seguito di una regolare e rituale iniziazione, a Cosa Nostra. Faccio l’esempio, peraltro molto diffuso nelle indagini che sono state fatte, di una famiglia che si avvale di Cosa Nostra, che si avvale per la consumazione, abitualmente, per la consumazione di taluni delitti di sangue di giovani non ancora inseriti in Cosa Nostra.. diciamo in periodi di tirocinio. Questo secondo l’ordinamento giuridico statuale, questi giovani killer che vengono reclutati da Cosa Nostra, ma non ancora ritualmente inseriti secondo la rituale cerimonia nell’organizzazione, fanno comunque parte dell’organizzazione criminosa secondo l’ordinamento giuridico statuale”.
  • FC: “Lei in quanto uomo, non più in quanto giudice, come giudica la fusione che si opera, che abbiamo visto operarsi, tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconi o Dell’Utri e uomini di onore di Cosa Nostra. Cioè Cosa Nostra si interessa all’industria?”
  • PB: “Beh, a prescindere da ogni riferimento personale perché ripeto con riferimento a questi nominativi che lei ha fatto, io non ho personali elementi tali da poter esprimere opinioni. Ma considerando la faccenda nel suo atteggiarsi generale allorché l’organizzazione mafiosa, la quale sino agli anni ’70, sino all’inizio degli anni ’70 aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili, all’inizio degli anni ’70 in poi Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa.. un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole che a un certo punto diventò addirittura monopolistico nel traffico di sostanze stupefacenti… Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali naturalmente cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero. E allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nosta cominciò a porsi il problema e ad effettuare degli investimenti leciti o para leciti, come noi li chiamiamo, di capitali. Naturalmente per questa ragione cominciò a seguire vie parallele e talvolta tangenziali alla industria operante anche nel nord, della quale in un certo qual modo… alla quale in un certo qual modo si avvicinò per potere utilizzare le capacità… quelle capacità imprenditoriali al fine di far fruttare questi capitali dei quali si era trovata in possesso”.
    FC: “Dunque lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessa a Berlusconi?”
  • PB: “E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente queste esigenze, queste necessità per le quali l’organizzazione criminosa a un certo punto della sua vita storica si è trovata di fronte, hanno portato ad una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per dover far trovare uno sbocco a questi capitali. E quindi non mi meraviglia affatto che a un certo punto della sua storia Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali”.
  • FC: “E uno come Mangano può essere l’elemento di connessione tra questi due mondi?”
  • PB: “Beh guardi Mangano è una persona che già in epoca, oramai diciamo databile abbondantemente di due decenni almeno, era una persona che già operava a Milano. Era inserita in un qualche modo in una attività commerciale. E’ chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone, di Cosa Nostra che erano in grado di gestire questi rapporti”.
    FC: “Però lui si occupava anche di traffico di droga, l’abbiamo visto, ma anche di sequestro di persona”.
  • PB: “Mah, tutti quei mafiosi che in quegli anni (siamo probabilmente alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70), che approdarono a Milano e fra questi non dimentichiamo che c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali che poi investirono nel traffico delle sostanze stupefacenti, anche con i sequestri di persona. Lo stesso Luciano Liggio fu coinvolto in alcuni clamorosi processi che riguardavano sequestri di persona. Ora non ricordo se si trattasse ad esempio di quelli di Rossi di Montelera, ma probabilmente fu proprio uno di questi e diversi personaggi che ancora troviamo come protagonisti di vicende mafiose, a Milano si dedicarono a questo tipo di attività che invece, salvo alcuni fatti clamorosi che costituiscono comunque l’eccezione, sequestri di persona che invece ad un certo punto Cosa Nostra si diede come regola di non gestire mai in Sicilia”.
  • FC: “Un investigatore ci ha detto che al momento in cui Mangano lavorava per Berlusconi, c’è stato un sequestro, non a casa di Berlusconi però, di un invitato che usciva dalla casa di Berlusconi”.
  • PB: “Non sono a conoscenza di questo episodio”.
  • FC: “E questo sequestro fu opera insomma, fu implicato dentro un tale Pietro Vernengo”.
  • PB: “Ritengo possa trattarsi, anche perché non ne conosco altri con questo nome, del mafioso che è stato protagonista di alcune vicende che hanno avuto estremo risalto in stampa in questi ultimi tempi… cioè Pietro Vernengo, appartenente alla famiglia mafiosa credo di Santa Maria di Gesù che fu condannato all’ergastolo nel maxiprocesso con sentenza confermata in appello per aver…era imputato addirittura di 99 omicidi e per qualcuno di essi è stato condannato. Pietro Vernengo, personaggio che fu sicuramente uno dei più importanti del maxiprocesso fra quelli coinvolti, sia nel traffico dei tabacchi lavorati esteri all’inizio che nel traffico delle sostanze stupefacenti poi. Anzi credo che un congiunto di Pietro Vernengo sia quel Di Salvo che risultò titolare di una delle raffinerie di droga scoperte a Palermo, proprio nella città di Palermo e precisamente nella zona di Romagnolo acqua dei corsari, una raffineria che fu scoperta mentre era ancora in funzione”.
  • FC: “Avete detto maxiprocesso… Vernengo è stato giudicato con Mangano?”
  • PB: “Vernengo è stato giudicato nel maxiprocesso con Mangano”.
  • FC: “Loro due si conoscevano?”
  • PB: “Non lo ricordo se sono state fatte domande del genere o accertamenti del genere”.
  • FC: “Mangano è più o meno un pesce pilota, non so come si dice, un’avanguardia”.
  • PB: “Si, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia. Ce n’erano parecchi ma non moltissimi, almeno fra quelli individuati. Altro personaggio che risiedeva stabilmente a Milano era uno dei Bono. Credo che Alfredo Bono, che nonostante fosse capo della famiglia di Bolognetta, che è un paese vicino Palermo, risiedeva abitualmente a Milano. Nel maxiprocesso, in realtà debbo dire Mangano non appare come uno degli imputati principali. Non c’è dubbio comunque che, almeno con riferimento al maxiprocesso, è un personaggio che suscitò parecchio interesse anche per questo suo ruolo un po’ diverso da quello attinente specificatamente alla mafia militare, anche se le dichiarazioni di Calderone lo indicano anche come uno che non disdegnava neanche questo ruolo militare all’interno dell’organizzazione mafiosa. Se mal non ricordo, Calderone parla di un incontro con Mangano avvenuto in un fondo di Stefano Bontade, dove il Mangano e Rosario Riccobono sopravvenuti nel frangente, si dicevano reduci da un’operazione di sangue, o qualcosa del genere. Debbo dire che l’esito processuale però delle dichiarazioni di Calderone è stato un esito deludente poiché dal punto di vista strettamente giudiziario, cioè delle condanne con riferimento agli accusati, delle dichiarazioni di Calderone è rimasto ben poco. E’ rimasto ben poco probabilmente perchè in concomitanza con le dichiarazioni di Calderone è sopravvenuta quella dirompente sentenza, o decisione, della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha disconosciuto l’unitarietà della organizzazione criminosa Cosa Nostra, sostenendo che trattavasi invece di tante famiglie, o tante organizzazioni, aventi ognuna una propria collocazione territoriale cosicché il procedimento derivante dalla dichiarazione di Calderone è stato spezzettato, credo in dieci o dodici tronconi, pochi dei quali restano ancora in piede e nessuno dei quali credo abbia avuto sino ad ora un esito dibattimentale definitivo e soddisfacente dal punto di vista dell’accusa”.
  • FC: “Dunque Mangano era uno capace di partecipare ad azioni militari?”
  • PB: “Secondo le dichiarazioni di Calderone si”.
  • FC: “Quali azioni militari non si sa?”
  • PB: “Mah, ripeto… Calderone parla di un incontro con questo Mangano avvenuto nel fondo di Bontade, nel quale Mangano e Rosario Riccobono si dicevano reduci di un’azione di sangue”.
  • FC: “Quando?”
  • PB: “Il periodo credo che sia un periodo di poco precedente all’omicidio di Di Cristina, quindi dovremmo essere prima del 1978”.
  • FC: “Subito dopo la sua scarcerazione?”
  • PB: “Non saprei essere più preciso perché dovrei consultare gli atti. E’ citato in questo libro di Arlacchi questo episodio. Ne parla una sola volta in questo libro….  Ah, dice nel 1976. Un giorno del ’76 quindi, io ricordavo nel ’77. [PB legge:  Mi trovavo nella tenuta favarella insieme a Pippo, eravamo seduti a discutere con Michele Greco]. Ecco non è Bontade, è Michele Greco, ora che…. Io ricordavo la tenuta di Bontade, mentre si tratta della tenuta di Michele Greco. […a discutere con Michele Greco quando arrivarono Rosario Riccobono e Vittorio Mangano, uomo d’onore di Pippo Calò, che avevo già incontrato a Milano. Erano venuti per informare Greco dell’avvenuta esecuzione di un ordine, avevano appena eliminato il responsabile di un sequestro di una donna e avevano pure liberato l’ostaggio]. Penso di ricordare anche a quale delitto si riferisce il Calderone. Perché in quell’epoca credo che venne sequestrata a Monreale una certa Gabriella o Graziella Mandalà, la quale qualche giorno dopo, appena otto giorni dopo ricomparve, fu liberata. E subito dopo si verificarono tutta una serie di delitti estremamente raccapriccianti, un tizio che probabilmente era sospettato di aver partecipato al sequestro fu ritrovato addirittura nella circonvallazione dentro un sacco di [interruzione] …con riferimento al suo incontro con Mangano”.
  • FC: “Fatto da Mangano?”
  • PB: “Calderone lascia capire in questo modo. Almeno da queste dichiarazioni che vedo riportate nel libro di Arlacchi. Anzi credo che Calderone cita proprio questo fatto che mi ha fatto ricordare…(interruzione)… 
  • Dell’uccisione fatta da Liggio di due donne della quale una viene stuprata e uccisa, una ragazza di 14 anni o 15 anni, che viene stuprata e uccisa subito dopo. Si tratterebbe di un delitto analogo a quello per cui un tizio stamattina è…(interruzione).”
  • PB: “Ci sono tutta una serie di appunti, di schede e di computer attraverso le quali occorre però risalire alla documentazione, delle quali alcuni sono sicuramente ostensibili perché fanno parte del maxiprocesso e ormai il maxiprocesso è conosciuto, è pubblico. Alcuni non lo sono perché riguardano indagini in corso, li dovrei fare esaminare da Guarnotta per…”
    FC: “No dicevo solo quei fogli di computer”.
  • PB: “Eh si però qualcuno di questi fogli di computer riguarda, per esempio, sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi, e non so sino a che punto sono ostensibili… Io glieli do, l’importante che lei non dica che glieli ho dati io… Sono soltanto…ecco questo computer è organizzato in questo modo, questo è un indice sostanzialmente perché attraverso queste indicazioni noi cerchiamo “Vittorio Mangano” ed il computer ci tira fuori tutti gli indici degli atti dove sappiamo che c’è il nome Vittorio Mangano. Però non sono gli atti, è l’indicazione di come si possono andare a trovare perché poi il processo è microfilmato, c’è lì una cosa, si cerca il microfilm e si tirano fuori. Cosa non sempre facile perché ormai ‘ste bobine microfilm sono diventate numerosissime”.

Far conoscere il contenuto di questa intervista non vuole essere un atto di accusa nei riguardi dei personaggi politici ivi citati, ma da moglie di Paolo Borsellino mi chiedo da tempo senza riuscire a darmi alcuna risposta: perché due giorni prima della strage di Capaci i due giornalisti francesi hanno intervistato mio marito chiedendogli di Berlusconi, Dell’Utri e Mangano? E’ stata solo una coincidenza?

Mi auguro che chiunque vuol fare chiarezza su una delle pagine più buie della nostra Repubblica non sia criminalizzato, questa iniziativa ed altre analoghe pertanto sono per me ed i miei figli un atto di amore.

  

Solo quando la verità sull’assassinio di mio marito e dei suoi ragazzi verrà alla luce  e si interromperà una volta per tutte la contiguità tra criminalità e pezzi deviati dello Stato, scompariranno definitivamente le mafie.

Con questo auspicio rivolgo a vuoi tutti gli auguri di un Sereno e Santo Natale.  Agnese Borsellino
fonte 19luglio1992.it