Fiammetta Borsellino attacca, facendo nomi e cognomi e chiede l’intervento del presidente della Repubblica e del Csm, perchè si accertino le responsabilità «dei magistrati che controllavano e coordinavano le indagini»
Chiede l’intervento del presidente della Repubblica e del Csm, Fiammetta Borsellino, facendo nomi e cognomi. All’indomani delle motivazioni della sentenza Borsellino quater sulla strage di via D’Amelio che costò la vita al padre, in cui i giudici hanno scritto che l’indagine fu inquinata da «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana», la famiglia Borsellino alza la voce, con un’intervista su Repubblica.
«Queste motivazioni non sono un punto d’arrivo, ma di partenza. Bisogna andare avanti processualmente per accertare le responsabilità di chi ha commesso i reati, ma anche dei magistrati che controllavano e coordinavano le indagini», ha detto Fiammetta, scandendo i nomi di quei magistrati che 26 anni fa avallarono il falso pentito Vincenzo Scarantino: «Anna Palma è avvocato generale di Palermo, Carmelo Petralia è procuratore aggiunto a Catania». Si rivolge poi anche a Ilda Boccassini, che nel 1992 era a Caltanissetta e «autorizzò dieci colloqui investigativi dell’allora capo della Mobile La Barbera proprio con Scarantino», e al magistrato Giuseppe Ayala, parlamentare all’epoca della strage che «fornì sette versioni diverse dei momenti successivi alla strage, in cui si trovò tra i primi in via D’Amelio a tenere in mano la borsa di papà». Proprio la borsa che conteneva la famosa agenda rossa, sparita misteriosamente e a cui – secondo i giudici d’appello di Caltanissetta – è legato anche Scarantino. Fiammetta Borsellino non parla di ipotesi di reato a carico degli inquirenti ma di «lacune gravissime e inaudite, sicuramente funzionali a quello che è successo». Per questo chiama in causa il Csm, chiedendosi il perchè del «reiterato silenzio sui magistrati che hanno avallato il falso pentito Scarantino», e lo stesso Mattarella, in qualità di presidente del Csm, perchè faccia da «garante che questo ( il Csm ndr) assolva i propri compiti istituzionali, cosa che fino a oggi non ha fatto». La richiesta è chiara: «Il fascicolo che a settembre era stato aperto sui magistrati non può restare vuoto. Bisogna fare chiarezza sulle gravi lacune procedurali che configurano addebiti di carattere disciplinare, messe in risalto dalle motivazioni del Borsellino quater». A rispondere positivamente alla fi- glia del magistrato è intervenuto il togato di Area al Csm, Antonello Addituro, il quale ha chiesto al Comitato di presidenza di «aprire una pratica in Sesta Commissione, competente anche sulla materia antimafia, relativa a quanto emerso dalla sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta nel processo Borsellino quater». Ardituro ha anche sollecitato l’acquisizione formale da parte di Palazzo dei Marescialli della sentenza in cui si parla di «gravi depistaggi» nelle indagini sulla strage di via D’Amelio. Intanto, la procura nissena ha chiesto il rinvio a giudizo per concorso in calunnia dei poliziotti infedeli Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, sottoposti dell’allora capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, morto 15 anni fa e pesantemente implicato in molti dei misteri che ancora si affollano intorno all’indagine sulla strage di via D’Amelio. La chiamata in causa della magistratura inquirente da parte della figlia di Borsellino è stata immediatamente raccolta dal Partito Democratico e da Liberi e Uguali, on il deputato dem Carmelo Miceli che ha chiesto che «il Parlamento vari entro il prossimo 19 luglio, anniversario della morte di Paolo Borsellino, la Commissione antimafia e questa, come primo atto, convochi in audizione la figlia Fiammetta». Anche Erasmo Palazzotto ( Leu) ha chiesto che la Commissione parlamentare antimafia «si occupi di ricostruire questa pagina oscura della storia d’Italia».
Fortificata dalla sentenza di Caltanissetta, Fiammetta Borsellino ha ribadito che insisterà per incontrare di nuovo in carcere i fratelli Graviano nonostante qualche magistrato, al momento del primo incontro, avesse ipotizzato il rischio di inquinamento delle prove: «Non sono un magistrato, in carcere non parlo di indagini. Vedo solo una grande speranza negata». Una speranza che, forse, potrebbe essere meno flebile, ora che i magistrati nisseni hanno per la prima volta squarciato il velo di silenzio sui depistaggi della strage.