ROSA AMATO, da camorrista collaboratrice di giustizia

Rosa Amato

 

 

 

 

VIDEO il boss che voleva diventare avvocato

La vita di Rosa Amato, studentessa di giurisprudenza che voleva diventare avvocato, è cambiata in una notte. La notte del 20 marzo 1999 in cui suo fratello Carlo venne ucciso da uno scagnozzo del clan dei casalesi durante una serata in discoteca. Carlo morì dissanguato a causa di diverse coltellate, davanti agli occhi di tanti che lo vedevano morire senza soccorrerlo. A quella festa c’era anche Walter Schiavone, figlio minore di Francesco “Sandokan”Schiavone, accompagnato dalla sua scorta. I responsabili di quell’omicidio non sono mai stati individuati: nessun testimone, nemmeno i suoi amici, sono disposti a raccontare. Tutti hanno paura dei “Casalesi”.

Rosa Amato, figlia di un boss e collaboratrice di giustizia.
Suo padre Salvatore Amato fonda il clan Amato principalmente per vendetta e per cercare la verità sulla morte di suo figlio. La sua rabbia era anche dettata dall’omertà dei concittadini, che per paura di mettersi contro i Casalesi non hanno fatto nulla, ignorando la cosa, così suo padre pensò: “Dovranno avere paura anche di me”.
All’inizio il padre faceva favori al clan Belforte di Marcianise, con lo scopo di ottenere informazioni in più sulla morte di Carlo, ma loro si mostrarono disinteressati a quell’argomento.Si circondò di ragazzi armati e si buttò nel settore del videopoker,truccati per frodare le casse dello Stato. A quel punto decise di mettersi per conto suo. In quel momento Rosa entra a far parte del clan; inizialmente si occupava della parte contabile, ovvero del pagamento dei vari affiliati, successivamente si è specializzata nella manipolazione delle slot machine. Era molto in gamba, e desiderava esserlo sempre di più per essere ammirata da suo padre.
Dopo anni passati ad allargare i loro traffici, espandendosi sempre di più, Salvatore Amato venne arrestato. Inizialmente sarà Rosa a portare avanti gli affari del clan, ma successivamente, in seguito a delle intercettazioni telefoniche, verrà arrestata anche lei. Venne arrestata, detenuta in un regime di carcere duro e soprattutto venne allontanata dai figli; è proprio per amore verso di loro, che rischiavano l’affidamento, che diventerà una collaboratrice di giustizia, testimoniando anche, con tanto dolore, contro il padre. Oggi, Rosa vive proprio con loro, i suoi due figli, in una località segreta, dove cerca di ricostruire la sua vita.


Camorra, Rosa Amato sfida Schiavone jr: «Devi dire la verità sull’omicidio di mio fratello»

Camorra, Rosa Amato sfida Schiavone jr: «Devi dire la verità sull'omicidio di mio fratello»

Ha deciso per la prima volta di mostrarsi a volto scoperto Rosa Amato, 40 anni, ex camorrista ed ex collaboratrice di giustizia. In una intervista all’emittente campana Tv Luna, Rosa “affronta” per la prima volta Nicola Schiavone oggi pentito, ma fino a ieri l’erede temutissimo del clan dei casalesi nonché primogenito del capo dei capi, Francesco Schiavone detto Sandokan detenuto dal 1998 e sottoposto al carcere duro del 41 bis.

Appena ha saputo del pentimento di Nicola, Rosa è scoppiata a piangere: «Ho subito pensato che Nicola potrà finalmente raccontare la verità sulla uccisione di mio fratello Carlo e così restituire un po’ di pace alla mia famiglia segnata per sempre da quella tragedia». Carlo Amato fu ucciso a soli diciannove anni il 19 marzo del 1999 in un “Disco club” di Santa Maria Capua Vetere, dove era in corso la festa del liceo. Malgrado gli sforzi dei familiari e il lavoro degli inquirenti il nome del vero colpevole non venne mai fuori. Un muro di omertà senza precedenti «favorito – dice Rosa -, dal fatto che a quella festa erano presenti i figli del boss Francesco Schiavone. Walter che all’epoca era uno studente del liceo ma anche Nicola con i suoi guardaspalle tra cui Michele Della Gatta ucciso poi in un agguato».

Un clan quello degli Amato nato “per vendetta”, per contrastare gli affari dei casalesi, colpevoli secondo Rosa e suo padre Salvatore di aver contribuito a ostacolare la ricerca dei veri colpevoli dell’omicidio di Carlo:
«Di tutti i presenti a quella tragedia nessun testimone», ha proseguito l’ex collaboratrice di giustizia. Il sangue che viene fatto lavare via dal pavimento della discoteca, sul delitto pesano ancora gravi ombre: «Nicola, solo tu – ha dichiarato Rosa rivolgendosi all’ex boss -, sei in grado di fare luce sulla uccisione di mio fratello. Ti prego, racconta la verità e cambia la tua vita. Te lo chiedo in nome della mia famiglia, di mia madre che è morta uccisa dal cancro e dallo strazio per la morte del figlio. Te lo chiedo in nome di tutte quelle persone che sono morte per causa della camorra».

Da oggi Rosa Amato è tornata alla clandestinità. È tornata al nord. Ha due figli da proteggere: Valery e Carlo e sa che una parte di Santa Maria Capua Vetere non la ama. Non ha un compagno, non ha un lavoro. Il biondo platino dei lunghi capelli tradisce il suo sogno, quello di fare la parrucchiera. Ma Rosa combatte anche con la burocrazia che non favorisce l’inserimento sociale dopo l’uscita dal programma. Un’ultima domanda:
«Un uomo può cambiare?». E Rossella risponde infine : «Un uomo può cambiare soltanto se passa attraverso un altro dolore. Non so quale sia stato il motivo del pentimento di Nicola Schiavone. Ma so che, in ogni caso, l’omicidio di mio fratello ha scosso molte coscienze. E questo malgrado l’omertà. Sono convinta che anche i casalesi, a lor modo, sono rimasti toccati dalla fine di mio fratello. Ed è per questo motivo che dico che sì, lui lo farà. Nicola Schiavone dirà finalmente la verità». IL MESSAGGERO


Un clan per vendetta: la storia di Rosa Amato, figlia di un boss e collaboratrice di giustizia

Prima di raccontarvi la storia di Rosa Amato, bisogna fare un salto all’indietro in una precisa data: 20 marzo 1999. Quella sera, il liceo “Amaldi” di Santa Maria Capua Vetere varcava la soglia della discoteca “Disco Club” per dare inizio alla festa. A quell’evento era presente anche il ventunenne Carlo Amato, un giovane ragazzo sammaritano, che non farà più ritorno a casa. Carlo morì dissanguato a causa di diverse coltellate, davanti agli occhi di tanti che lo vedevano morire senza soccorrerlo. Perché? Una risposta, forse, c’è: a quella festa vi era anche Walter Schiavone, figlio minore di Francesco “Sandokan” Schiavone, accompagnato dalla sua scorta; si afferma che Carlo abbia proprio “infastidito” uno degli scagnozzi di Schiavone. Della sua morte non c’è alcun colpevole, il potere logorante dei Casalesi riuscì a far tremare tutti, anche gli amici di Carlo. Rosa Amato è sua sorella e, da quella notte, per lei si apriranno le porte di una nuova vita al fianco di suo padre: il futuro boss di Santa Maria Capua Vetere Salvatore Amato.

Rosa, come nasce il clan Amato?
«Il clan Amato nasce dopo l’omicidio di Carlo. Mio padre (Salvatore Amato, ndr) lo fondò prima di tutto per cercare verità e vendetta sulla morte di mio fratello, ma la sua rabbia fu dettata anche dall’omertà dei nostri concittadini. Tutti a Santa Maria avevano paura dei Casalesi, tanto che nessuno ha mai parlato riguardo l’omicidio di Carlo. Mio padre pensò: “ora devono avere paura anche di me”».

Tu hai fatto attivamente parte del clan, fino ad essere arrestata nel 2010. Qual era il tuo ruolo?
«All’inizio mio padre faceva favoritismi al clan Belforte di Marcianise, con lo scopo di ottenere informazioni in più sulla morte di Carlo, ma loro si mostrarono disinteressati a quell’argomento. A quel punto decise di mettersi per conto suo, in quel momento entrai a far parte attivamente del clan. Mi occupavo inizialmente della parte contabile, ovvero del pagamento dei vari affiliati, successivamente mi sono specializzata nella manipolazione delle slot machine: una modifica che ci permetteva di avere più introiti».

Come sono stati gli anni della vita nel clan?
«In un primo momento avevo una profonda paura per le sorti di mio padre: si era scagliato estremamente contro il clan dei Casalesi, tant’è vero che Vargas (boss casalese e collaboratore di giustizia, ndr) parlò con i giudici dell’intenzione del clan di fare fuori mio padre. Quel momento l’ho vissuto con profonda tensione, certo, mi è anche piaciuto il senso di potere e comando che avevo».

Passiamo ora al giorno in cui hai deciso di collaborare con la giustizia. Per te la situazione era meno delicata, c’erano già diversi pentiti, ma hai dovuto comunque testimoniare contro Salvatore Amato, tuo padre.

«Ho studiato giurisprudenza e mi sono reso conto subito della situazione, avrei potuto testimoniare molto prima, ma restava il conflitto riguardo mio padre. C’è stata una forte guerra con me stessa, speravo che lui potesse capire, anche perché già condannato. Non nego di aver pianto moltissime volte, soprattutto quando seppi della sua delusione riguardo la mia collaborazione con la giustizia. Fortunatamente col tempo l’ha capito».

Parliamo della sera dell’omicidio. Cos’ha ucciso davvero Carlo?
«L’ha ucciso il silenzio. I nostri paesani non hanno mai parlato. Il popolo vorrebbe far a pezzi l’immigrato che uccide, tutto cambia se ad uccidere è colui che detiene il potere. Questo uccide: l’omertà. Come il poliziotto che ha fatto morire dissanguato mio fratello. Il magistrato mi disse che il pugnale non ammazzò mio fratello. Quel poliziotto, che ha lavato il sangue ed occultato le prove, è stato indagato e condannato a circa 7-8 mesi di domiciliari. Poco».

Qual è la cosa più importante per te, oggi, e cosa farai in futuro?
«La cosa più importante sono i miei figli. È uscito a marzo il libro che racconta la mia storia “Omisis 01” scritto dal giornalista Fabrizio Capecelatro. Nel futuro mi piacerebbe tornare giù e magari tenere incontri con ragazzi delle scuole, per far capire quanto il silenzio possa uccidere e del perché collaborare con la giustizia è motivo di orgoglio e non di disprezzo».

Rosa, oggi, è una donna che si è fatta forza sulle macerie del proprio passato, una madre con le spalle grosse e una sorella col cuore in fiamme.

di Antonio Casaccio

Tratto da Informare n° 183 Luglio 2018