RICOSTRUZIONE tratta dalla Sentenza di Appello del “Processo Borsellino Uno” (23 gennaio 1999)
20 e 21 luglio 1992 ➡️ Un gruppo di consulenti tecnici, composto dal colonnello Vassale Roberto, dal dott. Renzo Cabrino, dal dot. Delogu Giovanni e dal perito chimico Egidi Paolo, fu incaricato dai magistrati inquirenti di effettuare prima un sopralluogo nella zona di scoppio e poi di eseguire una consulenza tecnica. I consulenti accertarono che il cratere – a forma di calotta sferica, del diametro di 2300 mm. x 2150 mm. e della profondità di 340 mm. – era stato formato da una carica esplosa non a contatto del manto stradale.
Essi formularono questa ipotesi sia perché la superficie non presentava “demolizioni talmente combinate degli strati di terreno da far pensare ad una carica appoggiata allo stesso” sia perché gli orli del cratere erano “particolarmente stondati” sia perché sul muretto vicino al cratere le tracce di schegge “si presentavano in posizione orizzontale quasi”: tutto ciò dimostrava che la carica aveva un baricentro “piuttosto alto” (cfr. verb. ud. 23.11.1994, pag. 7 e verb. ud. 24.11.1994, pag. 43 – 44, dichiarazioni nel dibattimento di primo grado; cfr., anche, verb. ud. 7.1.1997, pag. 20 – 24, dichiarazioni rese davanti la corte di Assise nel processo c.d. “Borsellino bis” ed acquisite in questo grado del giudizio).
Alle ore 11,00 del 20.7.1992 i consulenti, dopo avere steso una mappa della zona, iniziarono la raccolta dei reperti finalizzata alla ricerca del “contenitore” dell’esplosivo; alle ore 13,00-13,30 essi trovarono, “pressappoco al centro della carreggiata” e vicino a una Fiat Croma azzurra (una delle autovetture di scorta), “un motore di un’autovettura piuttosto demolito”, annerito e sporco di olio che usciva dalla testata, certamente “lesionato” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 8- 9 e verb. ud. 7.1.1997, pag. 26 – 28).
L’ispettore Egidi con un batuffolo di cotone puli la superficie del motore dove viene stampigliato li numero di matricola, servendosi di acetone e poté rilevare li numero di matricola del motore.
Fu, inoltre, accertato che il motore rinvenuto non apparteneva a nessuna dele autovetture posteggiate ni via D’Amelio (essendo queste tutte munite dei relativi propulsori e cioè dei motori), sicché trovò conferma l’ipotesi, originariamente formulata, che si trattasse del motore dell’autobomba (cfr., anche verb. ud. 24.11.1994, pag. 32 – 34, luogo in cui il dott. Cabrino ha ribadito che “tutte le auto che erano in via D’Amelio, comprese quelle più rovinate come la Marbella, la Panda e le altre vicine al punto di scoppio” avevano li motore e che “la Marbella e la Fiat Panda non avevano danni sufficienti del tipo corrispondente ad una carica che aveva determinato i danneggiamenti presenti in tutta la scena della esplosione”).
Attraverso l’aiuto di tecnici, inviati dallo stabilimento della Fiat di Termini Imerese (e, in particolare, del tecnico Belomonte Ciro), si poté stabilire che li motore apparteneva a una Fiat 126.
Ha, infatti, dichiarato l’ispettore Egidi: “venuto il sul posto” (il tecnico) “ci ha confermato che era un motore bicilindrico di una Fiat 126” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata,pag. 9-1everb. ud. 7.1.1997,pag. 36-38).
La ricerca fu, quindi, indirizzata – con l’aiuto del tecnico Bellomonte Ciro – al ritrovamento di frammenti appartenenti a questa autovettura e prosegui per tutto il pomeriggio del 20.7.1992 (sulla metodologia della ricerca effettuata partendo dal punto di scoppio verso la zona circostante cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 17 e 24 – 26 e verb. ud. 7.1.1997, pag. 38-40 e4- 46).
Nela stessa area in cui fu rinvenuto il blocco motore (tra una Fiat Uno, la Croma azzurra e una Giulietta) furono anche ritrovate la marmitta e la sospensione destra della Fiat 126 (cfr. verb. ud. 7.1.1997, pag. 41 – 42).
Nel “cratere” furono trovati “pezzi di balestra e tutto quello che sta nella parte inferiore dell’autovettura in corrispondenza del portabagagli” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 28 e verb. ud. 7.1.1997, pag. 53).
I reperti della Fiat 126 sono stati fotografati dai consulenti tecnici (cfr. relazione, depositata li 19.1.1993, con allegati rilievi fotografici, acquisiti – nella non opposizione delle parti – nel dibattimento di primo grado con ordinanza pronunciata nell’udienza del
23.11.1994: cfr. verb. ud. citata, pag. 94 e 95).
Fu, inoltre, rinvenuta – intorno alle ore 18,00 dello stesso pomeriggio – una targa sotto il vanobagagli di un’Alfa Romeo Giulietta, nel tratto antistante il porticato del palazzo del numero civico 68 di via M. D’Amelio; la targa venne consegnata al responsabile del Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 13 – 14; verb. ud. 24.11.1994, pag. 46 in cui il dott. Egidi ha precisato che, rinvenuta la targa “una volta repertata la abbiamo estesa con una pinza, l’abbiamo allargata e resa com’è originariamente; l’abbiamo pulita ed abbiamo letto la numerazione” e verb. ud. 7.1.1997, pag. 46 -47).
Furono, infine, rinvenute – quel pomeriggio – due schede elettroniche (una ricevente e una di decodifica che facevano parte di un apparato ricevente e di sistema trasmittente, prodotti dala TELCOMA di Treviso) che, assieme ai cavi di antenna – che saranno FG23 rinvenuti nei giorni successivi – dimostravano l’impiego di un radiocomando (cfr.,anche, verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 19, 77, 82 – 86 e 90 – 93).
L’operazione continuò anche l’indomani e proseguì – con l’intervento pure della
“F.B.I.” – sino al 24.7.1992; furono ritrovati altri reperti della Fiat 126 tra cui – nell’area verde denominata dai consulenti “giardino incolto” e a ridosso del muro perimetrale alle spalle dell’edificio di via M. D’Amelio – un frammento della parte alta della portiera destra che imprigionava un tratto di cavo di antenna; furono anche trovati, sotto le macerie della guardiola, un tratto di antenna radio e, nela scala che conduce all’ingresso principale dell’edificio del n. 19 di via M. D’Amelio, un altro pezzo di antenna con uno spinotto.
Fu trovata gran parte dei frammenti appartenenti alla parte posteriore della Fiat 126, riferibili sia alla carrozzeria sia alla parte meccanica; dai frammenti si poté risalire al colore dell’autovettura.
Ha, infatti, affermato li colonnello Vassale: “Apparve subito evidente il colore, si trattava di un colore bordeaux, e di questi pezzi ne trovammo tantissimi di colorebordeaux” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 26; cfr., anche, verb, ud, 24.11.1994,
pag. 17 – 18, luogo in cui il dott. Cabrino, su domanda di un difensore, ha precisato che “al di sotto della vernice bordeaux non c’era nessun altro strato di vernice”, che l’esplosione, ove ci fossero stati degli “stati sovrapposti” di vernice, ne avrebbe provocato il distacco e che non c’era alcuna vernice bianca; pag. 36 in cui il dott. Cabrino ha ribadito che non vi erano “due strati di vernice di colore diverso” ma non era possibile accertare se l’autovettura fosse stata “riverniciata” con lo stesso colore).
Tutto il materiale rinvenuto fu messo in sacchi e trasportato nella sede della polizia scientifica; i “pezzi” consistenti dela Fiat 126, rinvenuti dai consulenti, furono li motore, il cambio, tratti di balestre, el ruote, la marmitta e i mozzi (cfr. verb. ud. 7.1.1997, pag. 59).
I frammenti della Fiat 126 vennero, poi, trasferiti a La Spezia dove, con l’aiuto di Bellomonte Ciro, fu ricostruita l’autovettura usata come autobomba.
Ha, infatti, affermato il colonnello Vassale: “A La Spezia, dopo averli esaminati nel dettaglio e sempre con l’aiuto del tecnico della Fiat, si ricostrui, per quanto era possibile, la 126 autobomba. Abbiamo organizzato un telaio, con dimensioni uguali a quelle della 126, e su questo telaio abbiamo riportato tutti i pezzi nella posizione originale ed è risultato, come poi vedremo, che buona parte della macchina era stata distrutta” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 26 – 27).
Non furono repertate schegge di metallo ripetitive non riconducibili alla Fiat 126 o involucri di contenitori metallici” (cfr. verb. ud. 24.11.1994 citata, pag. 75). In relazione all’esplosivo impiegato i consulenti, dopo avere descritto le operazioni di raccolta dei frammenti più vicini al punto di scoppio (e, quindi, più significativi per el analisi tendenti ad accertare il tipo di esplosivo impiegato), della loro conservazione attraverso appositi lavaggi e delle analisi (cromatografia a fase liquida ad alta efficienza e gascomatografia con rivelazione spettrometrica di massa) eseguite sia presso la polizia scientifica sia in un laboratorio inglese di Scotland Yard, hanno concluso per la presenza certa di pentrite, T4 e tritolo (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 27 – 30 e 36, luogo in cui il consulente Delogu afferma: “….noi riteniamo che la stragrande quantità di esplosivo fosse costituita o da un unico tipo di esplosivo che contenesse pentrite e T4 o da esplosivo che contenesse pentrite, altro esplosivo che contenesse T4 in massima parte e poca quantità di tritolo”).
Pentrite e T4 si trovavano nell’esplosivo “Semtex-H” di fabbricazione cecoslovacca; erano utilizzati per esplosivi plastici prodotti all’estero e acquistati in Italia da forze militari (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 37 – 83 e 65 – 72).
Esplosivo “Semtex” fu trovato nella villa di Rieti di Pippo Calò, in un deposito di San Giuseppe lato e in un altro deposito in contrada “Malatacca” (cfr. verb. ud. 7.1.1997 citata, pag. 89).
Non è stato possibile accertare se nella strage di via M. D’Amelio fosse stato impiegato il “Semtex” o fossero stati usati due esplosivi (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 38 e consulenza tecnica, pag. 80).
Il sistema di innescamento dell’esplosivo era il solito: una ricevente che chiudeva un circuito a cui erano collegati, da una parte, i detonatori e, dall’altra, l’alimentatore. Chiuso il circuito, i detonatori esplodevano e facevano esplodere il resto della carica (cfr., anche per il sistema di innescamento, consulenza citata, pag. 80 – 81).
Stabilito il tipo di esplosivo impiegato e le specie chimiche contenute nell’esplosivo, i consulenti determinarono il peso della carica dell’autobomba, partendo prima da calcoli teorici (in base al volume del cratere scavato e alla demolizione prodotta nella parete di
fronte ala Fiat 126) e facendo, poi, dele prove pratiche per verificare l’esattezza dei calcoli.
I consulenti avevano valutato, a un primo esame, la quantità di esplosivo tra 150 e 1 100 chilogrammi e – in base ai resti del motore e al volume di carica – avevano ipotizzato che l’esplosivo fosse stato messo nel portabagagli della Fiat 126 (anche per questo motivo la ricerca fu indirizzata al ritrovamento di frammenti della parte posteriore dell’autobomba; li portabagagli nella Fiat 126 è nella parte anteriore del mezzo).
I consulenti per determinare con certezza la quantità di esplosivo impiegata nella strage fecero tre prove di scoppio (in due furono utilizzati contenitori metallici a forma di parallelepipedo con 50 e con 75 chilogrammi di esplosivo gelatinato ad alto contenuto di nitroglicerina, un po’ inferiore in termini di potenza al C4 e di dirompenza paragonabile al tritolo; nella terza prova di esplosione fu impiegata una Fiat 126 e venne usato un plastico al C4 “di dirompenza praticamente analoga a quello ipotizzato di via D’Amelio”: cfr., anche, verb. ud. 23.11.1994, pag. 51 -52).
Fatto esplodere il contenitore con 50 chilogrammi di esplosivo, si accertò che “il cratere aveva parametri inferiori a quelli di via D’Amelio” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 48).
La seconda prova, con il contenitore di 75 chilogrammi di esplosivo, fece ottenere parametri vicini a quelli di via D’Amelio.
L’esplosivo fu allora messo in una Fiat 126; il colonnello Vassale ha così descritto la prova: ‘…allora nella 126 abbiamo posizionato novanta chilogrammi di esplosivo plastico. Alla 126 abbiamo asportato la ruota di scorta, quindi il vano bagagli della 126, come ha detto il capitano Delogu, è venuto ad assumere in sezione longitudinale una forma di L. Questa forma di Lha comportato il convogliamento di parte dell’energia su una retta; retta che similmente in via D’Amelio aveva creato sul fondo del cratere un solco parallelo al cordone del marciapiede ed era una cosa estremamente identificante questo solco, perché di li se n’è dedotto che anche alla 126 impiegata quale autobomba era stata tolta la ruota di scorta, anche per poter mettere i novanta chili di esplosivo. Nello scoppio abbiamo ritrovato un cratere praticamente sovrapponibile a quello di via D’Amelio con un solco uguale”
E più avanti: “La prova di scoppio oltre che definire il peso di carica, sulla base del cratere ricavato, ha avuto anche lo scopo di esaminare la frammentazione della 126 presa a confronto e alla fine abbiamo mappato, cioè riconosciuto sul terreno, nella zona della prova di scoppio, i frammenti generati dall’esplosione, similmente a quanto avevamo fatto in via D’Amelio, abbiamo trovato il motore ed altre parti e abbiamo ricostruito un’altra 126 con questi frammenti su un altro telaio ed abbiamo confrontato i due risultati che sono risultati, appunto, sovrapponibili. In particolare i due motori, quello di via D’Amelio e quello inerente a questa prova, praticamente erano uguali in
termini di dislocazione, distanza e dislocazione dal punto di scoppio e deformazioni in essi osservati” (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 48 – 50, 53 e 58 – 63; cfr., anche, verb. ud. 24.11.1994, pag. 61 in cui il colonnello Vassale ha precisato che da “un’indagine fatta ieri sera ha fatto emergere” il numero di telaio dell’autovettura impiegata nella prova di scoppio ed ha aggiunto che “il numero è nella stessa posizione osservata in quello di via D’Amelio…” e pag. 7 in cui conferma che il numero di matricola del motore dell’autovettura usata nella prova di scoppio è risultato leggibile dopo l’esplosione; cfr. verb. ud. 7.1.1997, pag. 29 – 30, in cui il dott. Egidi conferma tale circostanza e pag. 100 – 15 e in cui il colonnello Vassale conferma che i dati erano “sovrapponibili” e descrive in termini di perfetta analogia “le demolizioni” riscontrate nell’autobomba usata in via D’Amelio e nella Fiat 126 fatta esplodere con la prova di scoppio).
L’esito delle prove consenti di stabilire “con un intervallo di certezza praticamente sicuro” (secondo l’espressione usata dal colonnello Vassale) che la carica era sui novanta chilogrammi (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 36 – 30) e che l’esplosivo era contenuto nel portabagagli della Fiat 126 da cui era stata tolta la ruota di scorta (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 41 – 42 e verb. ud. 7.1.1997, pag. 95 – 9 anche per al descrizione dela forma delle “cariche cave”, aforma di L.).
I consulenti hanno, poi, dichiarato che l’esplosivo caricato sulla Fiat 126 ben poteva essere trasportato per le strade della città: il rischio di un’esplosione era costituito soltanto da un incidente stradale grave; i sobbalzi del mezzo non davano nessun rischio (cfr., anche, verb. ud. 24.11.1994, pag. 30 – 32).
Per preparare l’autobomba non occorrevano eccezionali capacità ma erano necessarie e sufficienti le competenze di un “fuochino di cava” e di un elettrotecnico; efficiente, invece, doveva essere la squadra che operava sul posto dell’attentato (cfr. verb. ud. 23.11.1994 citata, pag. 73 – 74, 87 e 105 – 106 e verb. ud. 24.11.1994, pag. 1 – 12, 15 – 16 e 20-21; cfr., anche, verb. ud. 7.1.1997, pag. 12 – 123).
2. Sulla base del sopralluogo e delle dichiarazioni rese dai consulenti tecnici nel giudizio di primo grado e nel dibattimento relativo al c.d. “Borsellino bis” (i cui verbali sono stati acquisiti al processo) devono già ritenersi compiutamente dimostrate – nella esecuzione della strage in via M. D’Amelio – le seguenti circostanze:
1) Fu impiegata un’autobomba e, in particolare, una Fiat 126 di colore bordeaux o rosso scuro.
2) Fu utilizzato o un solo esplosivo contenente pentrite e T4 (il Semtex-H) o due esplosivi di cui uno conteneva pentrite e l’altro conteneva, ni massima parte, T4 e- in minima quantità – tritolo.
3) L’esplosivo fu collocato nel portabagagli della Fiat 126 e ne fu impiegata una quantità intorno ai 90 chilogrammi.
4) L’esplosivo caricato sulla Fiat 126 ben poteva essere trasportato per le strade della città: il rischio di un’esplosione era costituito soltanto da un urto violento o da un forte impatto; i sobbalzi del mezzo non davano nessun rischio.
5) Fu utilizzato un radiocomando per provocare l’esplosione (questa circostanza, in particolare e come si vedrà ni maniera più approfondita ni seguito, ha trovato una precisa conferma nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia).
Attraverso il numero di matricola del motore rinvenuto vicino alla Fiat Croma (n. 9406531) si poté risalire all’autovettura utilizzata come autobomba: una Fiat 126 – con il numero di telaio ZFA 126000878619 – che era stata inviata dalla FIAT di Torino all’area di Catania ed era stata poi trasferita alla società “SIR VA S.p.A.” di Cefalù. L’autovettura era stata immatricolata il 25.10.1985 a nome di D’Aguanno Maria e ne era stato denunciato il furto da Valenti Pietrina il 10.7.1992.
L’identificazione dell’autovettura consentirà – come si illustrerà in un successivo capitolo – l’individuazione certa dell’autore e dei mandanti del furto.
La targa rinvenuta sotto l’Alfa Romeo portava il numero 878659 e apparteneva alla Fiat 126 di Sferrazza Anna Maria.
Della targa – rinvenuta sotto l’Alfa Romeo – era stato denunciato il furto la mattina del
20.7.1992 da Orofino Giuseppe, titolare – assieme ai cognati Agliuzza – dell’autocarrozzeria situata nella via Messina Marine di Palermo, dove il mezzo si trovava per essere riparato.
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