“Enzuccio” ha parlato. Fu lui ad imbottire di tritolo l’ auto che massacrò Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Ha deciso di collaborare con i giudici di Caltanissetta. Da un mese Vincenzo Scarantino, il carrozziere della Guadagna arrestato qualche mese dopo la strage di via D’ Amelio, sta facendo nomi e cognomi di esecutori e mandanti. La notizia, “sparata” ieri nella prima edizione del Tg5, circolava da qualche giorno negli ambienti giudiziari senza trovare conferme. Sarebbe stata la famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù ad uccidere Paolo Borsellino. Una risposta ai corleonesi di Totò Riina che due mesi prima avevano massacrato sull’ autostrada Giovanni Falcone e tre agenti. Riina, secondo quanto ha detto Scarantino ai magistrati nisseni, non avvertì le cosche palermitane. Per questo Pietro Aglieri, capomandamento di Santa Maria del Gesù, organizzò con i suoi uomini la strage del 19 luglio del ‘ 92. L’ attentato di via D’ Amelio, dunque, sarebbe stato una dimostrazione di forza della mafia di Palermo e un segnale preciso per far capire ai corleonesi che in città non comandavano solo loro. Nell’ estate del ‘ 92, secondo Scarantino, stava per scoppiare una nuova sanguinosa guerra di mafia. Poi però ci fu il chiarimento tra Riina e le famiglie palermitane. Rivelazioni del tutto nuove, anche perché la fedeltà di Aglieri al capo dei capi non era stata mai messa in discussione da altri collaboratori della giustizia. I magistrati, inoltre, stanno confrontando le dichiarazioni di Scarantino con quelle di Salvatore Cancemi, il boss di Porta Nuova e che ha indicato la Cupola come mandante delle stragi dell’ estate del ‘ 92. In centinaia di pagine di verbali Vincenzo Scarantino ha raccontato ai giudici di Caltanissetta le fasi dell’ agguato di via D’ Amelio: quella torrida domenica di luglio, la trappola contro il procuratore aggiunto di Palermo era stata preparata nei minimi dettagli. Poi, alle 16.58 del 19 luglio, la Fiat 126 color amaranto, posteggiata proprio davanti all’ abitazione della madre del giudice Borsellino, saltò in aria con i suoi trecento chili di tritolo piazzati sul cofano. “Enzuccio” Scarantino ha indicato tutti i responsabili di quell’ attentato: si tratterebbe di alcuni boss latitanti delle famiglie mafiose palermitane. Sarebbero stati loro a chiedere al carrozziere della Guadagna di procurarsi un’ auto da imbottire di esplosivo. Una scelta mirata: Scarantino, infatti, è cognato di Salvatore Profeta, condannato nel primo maxi-processo per associazione mafiosa, ritenuto uomo di fiducia di Pietro Aglieri. Profeta, arrestato a Piombino nell’ ottobre dello scorso anno mentre, da uomo libero, stava andando a trovare un amico rinchiuso nel carcere di Pianosa, è uno dei quattro presunti killer di Borsellino alla sbarra nel processo che comincerà a Caltanissetta il 4 ottobre prossimo. Gli altri imputati, oltre allo stesso Scarantino, sono Pietro Scotto, il tecnico che intercettò l’ ultima telefonata del giudice alla madre, ed il garagista Giuseppe Orofino che avrebbe procurato la targa falsa della Fiat 126. Già prima di pentirsi, Vincenzo Scarantino si era rivelato un collaboratore importantissimo per i giudici siciliani. Rinchiuso nel carcere di Rebibbia, “Enzuccio” aveva tentato di tagliarsi le vene: “Da quando sono lontano dalla mia famiglia – disse in quell’ occasione – mi trovo in uno stato di profonda prostrazione morale”. Venne messo in cella con Francesco Andriotta, un altro uomo d’ onore al quale raccontò le fasi della strage di via D’ Amelio. Poi Andriotta decise di collaborare con la giustizia e ai magistrati riferì quelle confessioni. Fu la svolta alle indagini: uno dopo l’ altro vennero arrestati Vincenzo Scotto, Pietro Orofino e Salvatore Profeta. La fuga di notizie sul “pentimento” di Vincenzo Scarantino ha fatto andare su tutte le furie i giudici di Caltanissetta: “Non posso né confermare né smentire – ha detto il procuratore aggiunto Paolo Giordano – ma queste indiscrezioni sono molto pericolose perché i familiari di Scarantino non sono protetti”. L’ avvocato Mario Zito, legale dell’ imputato, ha spiegato di aver avuto sabato un colloquio con il suo cliente nel carcere di Pianosa: “Abbiamo parlato del processo e della linea difensiva. Era tranquillo, e non ho alcun elemento per confermare questa indiscrezione”. Stesso commento da parte del giudice Piero Grasso, della Direzione nazionale antimafia: “In ogni caso – ha affermato – trovo pericoloso che questo genere di notizie vengano diffuse per televisione”. La Repubblica