Dopo Gioacchino Natoli un altro magistrato, Giuseppe Pignatone, finisce sotto inchiesta per favoreggiamento aggravato alla mafia.
Le contestazioni mosse dalla Procura di Caltanissetta sono le stesse perché lo stesso è il contesto in cui si muovevano. Nel 1992 erano entrambi sostituti alla Procura di Palermo allora diretta da Pietro Giammanco. Ed è assieme a Giammanco che Pignatone viene considerato una sorta di istigatore del presunto piano di insabbiamento di un’indagine.
Va fatto ogni sforzo per raggiungere la verità sulla strage Borsellino. Al contempo serve il rigore finora mostrato dagli investigatori per evitare di trascinare tutto e tutti nella palude delle ombre e dei sospetti.
I boss e il gruppo Ferruzzi
Secondo l’ipotesi dei pm nisseni si volle silenziare un’indagine che poteva svelare i rapporti fra gli imprenditori mafiosi Buscemi-Bonura e il gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini.
La Procura di Massa Carrara aveva scoperto le infiltrazioni mafiose nelle cave in Toscana e inviò le carte a Palermo dove sarebbe stata avviata una “indagine apparente”.
“Indagine finta”
Giammanco avrebbe fatto finta di indagare. Una messinscena giudiziaria sulla Calcestruzzi Spa, colosso delle opere pubbliche controllato dal gruppo Ferruzzi-Gardini, e sui siciliani che da lì a poco sarebbero stati scoperti, arrestati e condannati.
Paolo Borsellino aveva intuito il giro miliardario di interessi illeciti, ma non fece in tempo a sviluppare l’indagine. Lo aveva aveva capito prima di Tangentopoli, prima delle stragi del ’92 e del ’93.
Su questo è tornata a concentrarsi la Procura di Caltanissetta, sull’inchiesta “Mafia-appalti”. Pignatone è stato procuratore aggiunto a Palermo, poi capo dei pm a Reggio Calabria e Roma, oggi presiede il tribunale di Città del Vaticano.
A Caltanissetta è indagato per favoreggiamento alla mafia, reato che avrebbe commesso in concorso con Giammanco (morto nel 2018), considerato il regista principale anche per il ruolo che ricopriva.
Gli “esecutori materiali” dell’insabbiamento sarebbero stati Natoli e l’allora capitano della guardia di Finanza Stefano Screpanti, oggi generale al vertice del Nucleo frodi contro l’Ue.
Questi ultimi due non avrebbero trascritto intercettazioni rilevanti. Alcune talmente importanti, secondo i magistrati, “da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato”.
Natoli, incaricato di occuparsi della nota girata dai colleghi di Massa Carrara, chiese l’archiviazione il 9 giugno 1992. Tre decenni dopo è venuta fuori la storia delle bobine delle intercettazioni di cui era stata ordinata la distruzione, ma che in realtà sono state recuperate e ascoltate dai pm nisseni.
La famiglia Borsellino
Il primo a parlarne, nel settembre del 2023, è stato l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, che rappresenta come parte civile i figli del giudice ucciso in via D’Amelio.
Ha sottolineato che negli anni la magistratura ha colpevolmente tralasciato il dossier “mafia e appalti” come possibile movente della strage per seguire solo ed esclusivamente la pista della trattativa Stato-mafia.
Trizzino aveva aspramente criticato Natoli per avere chiesto di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli Buscemi. Accuse alle quali Natoli aveva replicato durante un’audizione alla commissione parlamentare Antimafia.
Il magistrato, oggi in pensione, aveva pure inviato una nota alla Procura di Caltanissetta in cui spiegava, per rafforzare la tesi della correttezza del suo operato, che anche altri colleghi, tra cui Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, chiesero l’archiviazione dell’inchiesta nata dalla nota dei colleghi di Massa Carrara.
Alcuni atti inviati da Massa Carrara passarono dalle mani di Paolo Borsellino, che era procuratore aggiunto, e smistati a Pignatone.
Cosa hanno detto nei processi
Circostanza per altro emersa nel processo sul cosiddetto depistaggio celebrato a Caltanissetta dove sono stati citati sia Lo Forte che Pignatone.
“Borsellino, almeno in mia presenza e a riunioni a cui partecipai io, non disse mai che sull’inchiesta mafia-appalti si sarebbe potuto fare di più.Cioè non si è mai lamentato che l’indagine non fosse stata valorizzata come meritava”, disse Pignatone, citato nel 2021 come testimone.
“Nessuno si è mai permesso di dirmi cosa fare dall’esterno o ha fatto pressioni – aggiunse – In caso contrario lo avrei denunciato. All’interno dell’ufficio l’allora procuratore Giammanco ci disse di lavorare e valorizzare gli elementi che andavano valorizzati, d’altro canto non si arrestano persone senza prove”.
Anche nel 1992, subito dopo le stragi, si iniziò a parlare di insabbiamento. Nel 2021 Pignatone, al processo sul depistaggio, negò che ciò fosse mai accaduto. Ora è da questa ipotesi che si deve difendere.
“Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato. Mi riprometto di contribuire, nei limiti delle mie possibilità, allo sforzo investigativo della Procura di Caltanissetta”, ha detto al termine dell’interrogatorio nel corso del quale si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il nome di Pignatone negli anni ’90 era già stato associato a quello dei Buscemi. Il padre di Pignatone presiedeva la Sirap, l’azienda regionale che si occupava di aree industriali, toccata dalla vecchia inchiesta. Spifferi, sospetti, i racconti smentiti dei pentiti e le indagini sul magistrato furono archiviate.
Ora la nuova inchiesta. Il lavoro del procuratore Salvatore De Luca, dell’aggiunto Pasquale Pacifico e dei sostituti Davide Spina, Claudia Pasciuti e Nadia Caruso è ancora lungo. Riccardo Lo Verso Live Sicilia 1.8.2024