di Salvo Palazzolo 3.8.2024 La Repubblica
L’ex magistrato, stretto collaboratore del giudice ucciso il 19 luglio 1992, racconta il clima all’interno della procura di Palermo diretta da Pietro Giammanco. “Lui e i suoi fedelissimi misero Borsellino in un angolo”
«Sono passati trentadue anni, ma lo ricordo come fosse ieri – dice Antonio Ingroia, all’epoca sostituto procuratore a Palermo – Al termine di una movimentata riunione nella stanza del procuratore Giammanco, Paolo Borsellino si avvicinò a Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, disse: “Voi due non me la raccontate giusta sul dossier mafia e appalti».
Loro cosa risposero?
«Fecero un sorriso e si allontanarono».
Quando si tenne quella riunione?
«Giammanco l’aveva convocata per il 14 luglio, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione di stralci del diario di Falcone, in cui si parlava della difficoltà di lavorare alla procura di Palermo».
Che cosa si disse in quell’incontro?
«Si fece il punto su diverse indagini, ma su quella riunione ho ricordi sbiaditi. La collega Antonella Consiglio raccontò qualche settimana dopo al Csm che Borsellino espresse un certo dissenso: lamentava che alcuni atti della procura di Marsala non erano stati acquisiti nel fascicolo su Angelo Siino».
Anche a Marsala vi eravate occupati di mafia e appalti?
«Dopo aver ricevuto il rapporto del Ros, Giammanco aveva fatto una sorta di spezzatino, inviandoci uno stralcio che riguardava il porto di Pantelleria. Il procuratore Borsellino aveva incaricato me di occuparmene, arrivammo ad arrestare il sindaco. Ricordo pure che eravamo stati a Palermo per parlare di alcuni aspetti dell’indagine con Giammanco».
Quando avvenne?
«Paolo era ancora il procuratore di Marsala, erano i giorni in cui stava meditando di fare domanda per ricoprire la funzione di procuratore aggiunto a Palermo, incarico che poi iniziò nel settembre 1991».
Cosa accadde in quest’altra riunione con Giammanco?
«Ricordo che nella stanza c’erano i colleghi Lo Forte e Pignatone, i più fedeli collaboratori di Giammanco. Parlammo dello stralcio di mafia e appalti che ci avevano inviato, ma Paolo lanciò anche una battuta a Giammanco: “Se faccio domanda a Palermo come procuratore aggiunto mi metti a occuparmi di esecuzioni in un sottoscala?”. Giammanco sorrise, disse che gli avrebbe dato la delega a seguire le indagini di mafia su Trapani e Agrigento. Tornando a Marsala, Paolo mi disse: “Questi qui cercheranno di mettermi in un angolo”. Ma fece comunque domanda per Palermo».
Aveva visto giusto Borsellino, si trovò presto isolato all’interno della procura di Giammanco.
«Dopo il delitto Lima, Falcone e Borsellino compresero che era accaduta una cosa epocale. Borsellino voleva indagare sulle dinamiche mafiose di Palermo e anche sull’omicidio dell’europarlamentare Dc, ma Giammanco glielo negò. Borsellino voleva anche andare negli Stati Uniti per interrogare Buscetta: pure questo Giammanco impedì. Il procuratore arrivò a nascondergli la notizia del pentimento di Gaspare Mutolo».
Inizialmente, chi era stato incaricato di interrogare quel collaboratore così importante?
«Aliquò, Lo Forte e anche Natoli, che all’epoca era vicino agli uomini di Giammanco, pure avendo trascorso un periodo importante all’ufficio istruzione di Falcone e Borsellino».
In quello che abbiamo dei diari di Falcone, ci sono molti riferimenti all’isolamento all’interno della procura di Giammanco. Cosa le disse Paolo Borsellino al proposito?
«Paolo era convinto che dietro ogni annotazione potesse nascondersi uno spunto importante per comprendere la causale della strage di Capaci. Per questo voleva indagare a fondo su ogni spunto».
Sono trascorsi trentadue anni, i reati contestati dalla procura di Caltanissetta sono tutti prescritti, è il segno che una verità processuale su quella stagione non potrà mai più esserci?
«Una verità processuale forse non potrà esserci, è vero, ma sono doverosi gli approfondimenti che la magistratura continua a fare su un periodo storico ancora carico di misteri.
Certo, per questo tipo di ricerche, forse la sede più adeguata dovrebbe essere quella di una commissione parlamentare d’inchiesta, ma nel nostro paese i veti incrociati della politica e le contrapposte “tifoserie” hanno sempre bloccato il lavoro delle commissioni.
Dunque, ben vengano le indagini della magistratura. E mi aspetterei che ci fosse collaborazione da parte di tutti».
A chi si riferisce?
«Mi ha colpito il silenzio di Natoli e Pignatone quando sono stati convocati per l’interrogatorio. Ovviamente, era un loro diritto tacere, ma quando ad essere interrogati sono personaggi pubblici, questi dovrebbero rendere conto alla collettività.
Così, ci siamo ritrovati a criticare Silvio Berlusconi, quando si è avvalso della facoltà di non rispondere al processo Dell’Utri.
Certi silenzi agli occhi dei cittadini appaiono ancor più pesanti».”