Caro professor Fiandaca, sul dossier “Mafia-appalti” la sua tesi è deludente

Il giurista difende gli ex pm di Palermo e considera l’informativa dei Ros un “mito” opposto alla “trattativa”: è la retorica del “senno di poi” cara anche all’ex magistrato Natoli e al legale di Salvatore Borsellino

Giovanni Fiandaca, in un articolo su Il Foglio, sostanzialmente accusa la procura di Caltanissetta di aver discreditato due valorosi magistrati dell’allora procura di Palermo. Addirittura, sempre secondo l’analisi del giurista, le intercettazioni “insabbiate” risultano rilevanti, ma solo con “il senno di poi”.

Fiandaca sembra sposare l’argomentazione generale dell’ex magistrato Gioacchino Natoli in audizione alla commissione Antimafia, quando ha sottolineato che non bisogna giudicare quel che allora fece la procura di Palermo sulla base delle conoscenze emerse dopo. Peccato che questa argomentazione non l’abbia potuta replicare quando è stato interrogato dai pm nisseni.

Altro argomento sostenuto da Fiandaca è quello di definire la questione del dossier mafia-appalti (lo definisce un “mito”) una tesi contrapposta e alternativa alla trattativa Stato-mafia. E qui sembrano sostanzialmente le parole dell’avvocato Fabio Repici, il legale di Salvatore Borsellino e parte integrante degli sponsor dei teoremi dietrologici.

Entrambi gli assunti appaiono infondati. Dalle intercettazioni riascoltate, non emergono reati che possono essere compresi solo con “il senno di poi”. Solo per fare un esempio, l’aggiustamento di un processo per un duplice omicidio che era in corso, può essere definito rilevante solo ora? Senza evocare l’obbligatorietà dell’azione penale, in questo caso parliamo di una gravissima notizia di reato in corso in quel preciso momento. Ma non è solo questo.

Proprio in quel periodo, Salvatore Buscemi – al momento delle intercettazioni – per un altro precedente e antico procedimento viene condannato definitivamente per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Sono sicuro che se il professor Fiandaca fosse stato il pubblico ministero, come minimo lo avrebbe sentito per chiedergli dove avesse preso i soldi per fare investimenti con il gruppo Ferruzzi a Massa Carrara. Nulla di tutto questo. Probabilmente per il giurista si tratterebbe dell’ennesimo semplice errore di valutazione. Dettagli.

Da ricordare che parliamo dello stesso Salvatore Buscemi che poi, nel 2008, verrà condannato come mandante della strage di Via D’Amelio. È chiaro che se l’attuale indagine di Caltanissetta si limita esclusivamente al filone di Massa Carrara, sia Natoli che Pignatone non possono e non devono essere i capri espiatori. Su questo non c’è assolutamente alcun dubbio. Se c’è stata volontà di coprire i Buscemi e taluni gruppi imprenditoriali, limitarsi solo a quel filone non avrebbe alcun senso.

L’altro punto debole dell’analisi di Fiandaca è la sua affermazione che l’indagine mafia-appalti vista come movente delle stragi del 1992 sarebbe un mito alternativo per rimpiazzare il circo mediatico-giudiziario scaturito dall’allora processo sulla (non) trattativa Stato-mafia.
Dispiace leggere questa affermazione che sembra derivare da una conoscenza non approfondita della questione su un giornale che ha ospitato articoli e corsivi di Massimo Bordin e, non per ultimo, anche quelli di Lino Jannuzzi scomparso qualche giorno fa.

Tra l’altro, quest’ultimo l’ha pagata cara anche attraverso querele da parte di diversi ex magistrati palermitani. È un male che ora la procura nissena stia approfondendo questa vicenda delicatissima e aderente ai fatti, non alle fantomatiche “entità”, attraverso nuovi elementi? L’interessamento di Paolo Borsellino al dossier redatto dai Ros sotto la spinta di Giovanni Falcone che, tra l’altro, all’epoca stava per essere archiviato (con tre righe striminzite proprio sui Buscemi), è esattamente la causa scatenante dell’accelerazione. E questo non nasce in contrapposizione con il teorema trattativa, ma è scritto nero su bianco in tutte le sentenze sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, ben prima del teorema trattativa partorito proprio da taluni ex procuratori palermitani.

Considerare mafia- appalti come un “mito” (e nel contempo sposare, di fatto, le spiegazioni di Roberto Scarpinato, l’uomo che da trent’anni ha elaborato teorie su entità e terzi livelli) potrebbe essere interpretato come una mancanza di rispetto non solo nei confronti delle decine di giudici, ma anche nei confronti di quei rarissimi giornalisti che, controcorrente, hanno studiato e analizzato ogni singola carta. Non cito l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino, che ha speso ore in Antimafia a spiegare ogni singolo dettaglio dell’indagine, ma forse è più attrattivo e meno noioso chi parla di teorie astruse. Quelle sono facili da commentare, sia in positivo che in negativo.

Il pensiero va nuovamente a Bordin che sulle pagine de Il Foglio ha magistralmente spiegato la complessità del problema entrando nel merito. Cosa che ovviamente non si evince nell’articolo del professor Fiandaca. In fondo, una diversità tra quest’ultimo e Bordin, citati perché entrambi hanno scritto su Il Foglio, è proprio sull’approccio al teorema della trattativa Stato-mafia, nato, quello sì, in contrapposizione con il discorso mafia-appalti che parla di fatti concreti e non di dietrologie spicce.

Il giurista Fiandaca non è mai entrato nel merito del processo, ma – giustamente criticando il ridicolo capo d’accusa, quello sull’attentato al corpo politico dello Stato – è partito dal presupposto che se trattativa c’è stata, è sbagliato che un potere giudiziario metta becco sulle legittime scelte politiche. Ragionamento perfetto e sposato, in parte, dalla sentenza d’appello dove gli ex Ros, giustamente, nonostante l’assoluzione, non hanno pienamente gioito per le motivazioni. Infatti, come documentava abilmente Bordin, la “trattativa” intesa dalla pubblica accusa e dalle sentenze è una balla colossale dall’inizio alla fine. Per fortuna la Cassazione ha restituito la verità dei fatti. Non solo le deduzioni facevano a cazzotti con la logica, ma ogni elemento probatorio era completamente fuorviante. È qui tutta la differenza, e non è poco.

Stesso meccanismo vale per l’articolo apparso su Il Foglio. Bisogna conoscere a fondo, prima di poter argomentare. Anche perché sulla vicenda mafia-appalti, c’è stata sofferenza, vendette, inganni. E si continua tuttora oggi a pagarla cara quando si affronta l’argomento. E accade perché si osa avanzare delle critiche (senza accuse di dolo, ripetiamo: critiche) all’operato di alcuni magistrati palermitani dell’epoca.

I fatti che uno studioso dovrebbe conoscere ci dicono che Paolo Borsellino, poco prima di essere ucciso, non si occupava minimamente della fantomatica trattativa ma proprio del dossier del Ros e per questo incontrò Mori e De Donno. Così come, grazie alla desecretazione (cosa mai avvenuta in trent’anni) ad opera di Chiara Colosimo, presidente della commissione Antimafia, ora siamo a conoscenza dei documenti che Borsellino aveva in ufficio: tutto sugli appalti.

L’ultimo atto giudiziario che Borsellino prese in mano, il giorno prima di morire, riguardava l’imprenditore che si oppose alla gestione mafiosa degli appalti. Nome che emerge anche nel dossier. Tutto ciò non fa altro che corroborare ciò che è già scritto in tutte le sentenze. Il teorema trattativa, nato dopo, era volto a riscrivere la Storia e fatti addirittura facendo credere che Borsellino diffidasse dai Ros. Invece, sappiamo che l’incontro avvenne in caserma, non in procura. Come scrisse Bordin in uno dei suoi bellissimi corsivi su Il Foglio, se mai Borsellino non si fidava di altri. I suoi colleghi.

Ma questi elementi citati sono solo la punta dell’iceberg di una monumentale documentazione. Andrebbe studiata, analizzata, incrociando dati, fatti e verbali. Un lavoro lunghissimo che richiede tempo. Chiaro che non si può pretendere che il professor Fiandaca lo faccia. Per questo appare sorprendente un articolo che non solo sposa appieno i racconti degli ex togati palermitani senza porre dubbi, ma addirittura equipara i fatti nudi e crudi con le fantasie giudiziarie. Auspicare, come fa Fiandaca, una commissione di inchiesta che parta da questo presupposto, suscita imbarazzo e perplessità. 14 agosto, 2024 • DAMIANO ALIPRANDI – IL DUBBIO

 


Il giornale ‘Il Dubbio’ ha pubblicato un articolo senza il dubbio

Il Professor Giovanni Fiandaca, in un articolo su Il Foglio, si è dissociato dalla vulgata di mafia-appalti come movente unico delle stragi del ’92.
Apriti cielo.
Fiandaca – secondo l’autore dell’articolo – avrebbe accusato la procura di Caltanissetta di aver discreditato gli allora pm Natoli e Pignatone, poiché secondo le analisi del giurista le intercettazioni ‘insabbiate’ risultano rilevanti, ma solo con ‘il senno di poi’.
Sopraffatto da un moto di giacobinismo, Damiano Aliprandi – il giornalista del Dubbio – abbraccia i teoremi dietrologici per i quali abbiamo sempre accusato gli altri.

Dalle intercettazioni riascoltate, non emergono reati che possono essere compresi solo con ‘il senno di poi’. Solo per fare un esempio – scrive Aliprandi –  l’aggiustamento di un processo per un duplice omicidio che era in corso, può essere definito rilevante solo ora? Senza evocare l’obbligatorietà dell’azione penale, in questo caso parliamo di una gravissima notizia di reato in corso in quel preciso momento.”.

Dio non me ne voglia se spezzo una lancia in favore di magistrati.
Natoli ascoltò le intercettazioni o come prassi, logica e buon senso vogliono, analizzò quelle che la PG aveva indicato come ‘rilevanti’?
Dal Dubbio solo la certezza.
In compenso i dubbi adesso li abbiamo noi.
Da garantista a giustizialista a volte passa solo una personale condanna (forse anche ingiusta).
Ci faranno rimpiangere le certezze di Travaglio?  Gian J. Morici 15 Agosto 2024 LA VALLE DEI TEMPLI

 

 

MAFIA e APPALTI dal 1992 ad oggi