E’ accusato di 119 omicidi e di essere uno dei responsabili della strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. Secondo i pentiti, sarebbe stato proprio Lorenzo Tinnirello, 34 anni, detto «Madonna», a premere il pulsante del radiocomando che azionò la bomba.
E’ stato arrestato ieri, poco dopo le 11, a Trabia, uno dei paesini costieri vicini a Palermo.
Il suo nome spiccava tra i trenta latitanti più pericolosi di Cosa nostra. Stava uscendo da una pescheria assieme a un amico, Giovanni D’Agati, 54 anni, finito in manette pure lui per favoreggiamento.
I due avevano appena comprato del pesce fresco, forse per organizzare una cena fra amici. Inutilmente hanno cercato di esibire documenti falsi, poi si sono lasciati ammanettare senza opporre resistenza.
Tutti e due erano disarmati. Lorenzo Tinnirello è ritenuto uno dei killer delle cosche palermitane alleate di Riina e indicato come responsabile di 119 omicidi, era stato colpito anche da uno dei sedici ordini di custodia cautelare emessi il 18 luglio scorso dal gip di Caltanissetta, Gilda Lo Porti, nei confronti di organizzatori ed esecutori materiali del massacro di via D’Amelio, in cui furono uccisi il giudice Borsellino e i cinque agenti di polizia della scorta.
Alla svolta nelle indagini, la procura nissena era giunta anche grazie alle confusioni di Vincenzo Scarantino, 29 anni, il primo degli uomini della strage ad essere arrestato, il 29 settembre del ’92, con l’accusa di avere procurato la Fiat «126» poi imbottita di tritolo e usata come autobomba contro il magistrato. Scarantino ha ammesso la sua partecipazione all’attentato e ha indicato nomi e ruoli dei complici.
Secondo le rivelazioni di Scarantino, Lorenzo Tinnirello, uno degli uomini più vicini al boss di Santa Maria di Gesù, Pietro Aglieri, ebbe una parte decisiva nella preparazione della strage, intervenendo sia nell’installazione sia nell’innesco del tritolo sulla «126», nonché nei momenti esecutivi: sarebbe stato lui, assieme a Pietro Aglieri e a Francesco Tagliavia, a prelevare il 19 luglio del ’92 l’auto piena di esplosivo e a condurla fino in via D’Amelio e ad attendere lì l’arrivo di Borsellino fino al momento in cui, da un radiocomando, partì l’impulso che provocò la terribile deflagrazione dell’autobomba.
Tinnirello era ricercato dal 1989, e successivamente nei suoi confronti erano stati emessi nove provvedimenti di cattura nel ’93 per alcuni omicidi e quest’anno per associazione mafiosa.
Nell’organigramma delle cosche Tinnirello s’inserisce in quella che controlla il quartiere Brancaccio, capeggiata dai fratelli Gravitino, recentemente incriminati come mandanti dell’omicidio del parroco di quel quartiere, don Giuseppe Faglisi. I carabinieri erano da qualche tempo sulle tracce del latitante, grazie a una complessa indagine a cui ha contribuito anche il Sismi. «L’arresto di Tinnirello – ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò – è particolarmente significativo, in considerazione del fatto che è stato assicurato alla giustizia un componente della squadra di sicari più pericolosa di Cosa nostra».
La cattura di Tinnirello, latitante dal 1989, è un’operazione hanno spiegato i carabinieri – che parte da lontano: nei primi giorni del gennaio scorso la presenza del ricercato era stata notata in un’area abbastanza ampia del triangolo Casteldaccia-BagheriaPalermo.
Una lunga serie di intercettazioni telefoniche e il conseguente e progressivo restringimento delle probabili zone di residenza hanno infine condotto gli investigatori, in collaborazione con il Sismi, ha bloccare l’attenzione su Trabia. Angelo Meli
19.7.2020 – Prima il tritolo, poi processi, falsi pentiti e depistaggi. 19 luglio 1992, la strage di Via D’Amelio
Alle ore 16: 58 di domenica 19 luglio 1992 una violentissima esplosione a Palermo, in via D’Amelio all’altezza del civico 19/ 21 uccide Paolo Borsellino, procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo, e gli agenti della sua scorta. Quel giorno Borsellino è andato a trovare la madre. Nell’esplosione restano ferite numerose persone e si verifica una generale devastazione con gravi danni agli immobili e alle vetture parcheggiate. Le analisi chimiche compiute su numerosi reperti hanno poi rilevato la presenza di T4, tritolo e pentrite tra i componenti della carica esplosiva, verosimilmente collocato nel vano bagagli della Fiat 126 utilizzata come bomba.
Nel settembre 1992 iniziano le prime indagini della procura di Caltanissetta con l’ausilio del gruppo investigativo Falcone/ Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera. Individuano e arrestano Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino.
Quest’ultimo diventa pentito, si autoaccusa e dice che gli esecutori della strage sono suo cognato Salvatore Profeta, Pietro Aglieri, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Cosimo Vernengo, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Lorenzo Tinnirello e Francesco Tagliavia.
Da allora i sono celebrati diversi processi. Ma si è dovuto arrivare al Borsellino Quater, celebrato grazie alle rivelazioni di Gaspare Spatuzza, che ha smentito le ricostruzioni di Candura e Scarantino, per scoprire una amara verità: c’è stato un depistaggio.
Le motivazioni del Borsellino Quater di primo grado, inoltre, aggiungono che «le numerose oscillazioni e ritrattazioni» di Vincenzo Scarantino avrebbero dovuto consigliare «un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle sue dichiarazioni, e una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, positivi o negativi che fossero, secondo le migliori esperienza maturate nel contrasto alla criminalità organizzata, e incentrate su quello che veniva giustamente definito il metodo Falcone». Il riferimento è ai magistrati.
La procura di Messina ha avviato indagini nei confronti dei magistrati Carmelo Petralia e Annamaria Palma, all’epoca titolari dell’indagine sulla strage mafiosa. Recentemente ha richiesto però l’archiviazione. Gli avvocati delle vittime del depistaggio si sono opposti e l’udienza per la discussione si terrà il 19 ottobre prossimo davanti al Gip di Messina. D. A. 19 luglio 2020 IL DUBBIO
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