Intervista e Maurizio De Lucia. Il capo della direzione distrettuale antimafia di Palermo: «Giovani affascinati da boss e soldi della droga. Un pezzo della società palermitana dialoga con i capimafia»
«Ci sono fermenti mafiosi importanti in tutto il territorio del distretto di Palermo che comprende anche Trapani e Agrigento. Ma c’è un dato: quasi la metà delle persone arrestate nell’ultima operazione ha un’età inferiore a 40 anni. Sono soggetti che non hanno vissuto la stagione delle stragi e hanno subito la fascinazione forte di Cosa nostra». Comincia da qui, da un’analisi generazionale questa chiacchierata con Maurizio De Lucia, capo della procura antimafia di Palermo. Entrato in magistratura nel 1990, da quasi trent’anni si occupa di mafia: c’era da sostituto procuratore quando l’11 aprile 2006 venne catturato Bernardo Provenzano, c’era (ma da capo della procura) quando il 16 gennaio 2023 venne catturato Matteo Messina Denaro.
Chi sono questi giovani, queste nuove leve di Cosa nostra?
Alcuni vengono da storiche famiglie mafiose, altri si sono avvicinati soprattutto perché alcune attività di Cosa nostra sono particolarmente remunerative, in particolare il traffico di stupefacenti. Cosa nostra è tornata a trafficare in maniera importante stupefacenti perché è lo strumento di arricchimento più rapido.
Come vi spiegate questa adesione dei più giovani.
Molti di questi under 40 subiscono il fascino del prestigio di sentirsi uomini di Cosa nostra e anche i benefici economici di traffici che consentono di guadagnare un sacco di soldi.
Questa generazione si muove da un lato guardando ai più anziani, perché sono coloro i quali conservano la tradizione di Cosa nostra.
I più giovani sono figli del digitale, hanno magari problemi a esprimersi in buon italiano, ma sono bravi a utilizzare la tecnologia.
Ci sono diversi livelli di comunicazione.
Uno è quello dei social che noi monitoriamo, ma loro lo sanno e quindi l’ulteriore passaggio è l’utilizzo delle piattaforme criptate.
Ma è un sistema solo per la comunicazione o c’è altro?
Questo è un sistema molto evoluto: le comunicazioni sono criptate, cioè non sono perforabili dalle forze dell’ordine. Possono parlare in maniera sicura di affari importanti: dal traffico di sostanze stupefacenti alle armi, alla gestione degli appalti. E ciò dimostra che l’organizzazione ha due profili: da un lato sta ricostruendo il suo potenziale, dall’altro riesce a comunicare tempestivamente con le altre grandi organizzazioni mafiose del mondo.
Per trattare l’acquisto di partite di stupefacenti coi cartelli colombiani o messicani, lo si deve fare in tempo reale e oggi sono in grado di fare affari in tempo reale.
Tutto questo è una velocizzazione degli affari del crimine organizzato in generale, ma è anche una velocizzazione degli affari di Cosa nostra.
E in particolare i belgi, gli olandesi e i francesi sono entrati in alcune piattaforme, hanno acquisito tutto e noi utilizziamo moltissimo materiale che loro ci hanno dato.
Hanno bucato due o tre piattaforme.
Questo ci consente di ricostruire un passato, anche piuttosto vicino, ma sempre passato.
Intanto loro i mafiosi sono già su altre piattaforme e hanno altri strumenti di comunicazione e su questo noi Italia siamo in ritardo perché i nostri investimenti non sono ancora così adeguati da consentirci di avere soprattutto personale: la questione è di hardware, ma ancora di più di poliziotti addestrati, di hacker nostri capaci di entrare in queste piattaforme.
Attraverso i telefoni criptati sappiamo che i calabresi portano lo stupefacente in accordo coi siciliani: la droga poco a Messina, molto a Catania e da lì fa il giro da Agrigento a Palermo o viceversa Messina-Palermo-Agrigento.
Sì, ma loro continuamente le rinnovano. Ormai fare passare stupefacente da Messina è complicato e allora cercano altre soluzioni.
Negli anni 80 i proventi della droga finivano in investimenti. Ora questa che sta succedendo?
Hanno la necessità di rifare le riserve.
Le estorsioni servono a mantenere le famiglie dei mafiosi in carcere: se viene meno il welfare di Cosa Nostra viene meno Cosa Nostra. Il grosso del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti serve in questo momento per essere nuovamente reinvestito, soprattutto in altri traffici illeciti e quindi in stupefacenti, perché la dimensione di questo traffico deve crescere.
Hanno bisogno di questi soldi perché devono ritornare a essere ricchi seriamente per potere fare investimenti in campo militare.
Sì, però in questo momento guardando soprattutto al fatto di tornare forti dal punto di vista criminale: non sono ancora ai livelli in cui sono stati e per tornare poi a investire sui mercati leciti, la massa di denaro che ti serve è importante.
E stanno rinforzando anche la rete, per esempio, per impedire nuovi pentiti, nuovi collaboratori?
In questo momento non hanno un problema di nuovi collaboratori perché non c’è nessun collaboratore che ci può svelare l’insieme: prima la struttura era apicale, quindi se avevi un collaboratore importante e ti poteva rivelare tutto della struttura; ora si sta modulando su un modello orizzontale.
Non c’è un vertice unico e quindi tutte le informazioni transitano sul digitale per cui ciascuno è titolare di una parte delle conoscenze, nessuno conosce il tutto. Noi abbiamo queste conoscenze grazie alle intercettazioni.
Oggi i fenomeni di collaborazione con la giustizia sono molto ridotti perché non non sono più convincenti.
C’è un tentativo di riprendere i contatti, di ricostruire rapporti con la borghesia?
C’è un pezzo di vecchia mafia che utilizza la nuova mafia, ma non è che sono due cose slegate, cioè non c’è “Un’alta mafia è una bassa mafia”, c’è la mafia e la mafia si caratterizza perché ci sono dei soggetti autorevoli dentro e fuori dell’organizzazione che parlano con le imprese, con i politici.
Sono soggetti che hanno una loro storia e qui poi bisognerebbe ragionare sul perché pezzi della società palermitana continuino a dialogare con questi.
Tutto cambia finché tutto rimanga uguale, di potrebbe dire.
In qualche modo sì, soprattutto gli anziani li interpretano così. Sì, ma perché cosa nostra non rinuncia alla sua storia, se no non è più cosa nostra, però guarda a tutte le occasioni che ha ora, soprattutto per risolvere il grande problema che in questo momento è di sopravvivenza.
Quindi non sparano
La mafia è presente dovunque c’è possibilità di fare profitto. Oggi esiste concretamente la possibilità di respingerli con la denuncia e con l’intervento della polizia, ma evidentemente non tutti sono di questo avviso.
Colpisce la dichiarazione sulle armi spuntate nelle indagini sulla pubblica amministrazione.
Quello è un altro discorso.
E però quello ti consente a volte di vedere e di trovare cose che magari apparentemente non c’entrano.
Di solito è il contrario: noi dalle indagini di mafia individuiamo fatti di corruzione perché quegli strumenti investigativi sono più efficaci di quelli delle indagini sulla pubblica amministrazione ed è ancora così.
E’ rarissimo che un’indagine di pubblica amministrazione sfoci in qualche cosa di concreto. Questo perché chiaramente il quadro probatorio che noi cerchiamo è sempre molto solido e gli strumenti che abbiamo non sempre ci consentono di arrivarci.
Però avere le armi spuntate…