Non basta puntare tutto sulle manette

 

Di Lionello Mancini

 

Gli ultimi interventi giudiziari che hanno sfiorato l’Expo 2015 insieme a quelli, altrettanto gravi, che hanno nuovamente interessato Finmeccanica, parlano chiaro a chi voglia intendere. Anche se l’ultima parola la diranno le sentenze, le carte descrivono vere e proprie reti criminogene ben ramificate, sapientemente dissimulate, fondate sulla partecipazione attiva di molti soggetti e l’apporto di raffinate competenze professionali. Vi si parla di incarichi e di appalti definiti grazie a «intese clandestine tra le parti» con «prestazioni gonfiate», di “x,y,z” (al posto di nomi), di documenti passati al tritacarte perché la Finanza non li potesse sequestrare. E poi il giro dei “soliti professionisti” cooptati «per la loro appartenenza a determinati ambienti politico-affaristici piuttosto che per le specifiche competenze», fino al braccio di ferro sotterraneo con il management ufficiale di Expo 2015, per «conquistare un ruolo decisionale sempre più pregnante nella gestione di appalti connessi all’evento». Quanto a Finmeccanica, siamo fermi ai borsoni da calcio pieni di contante, al parlamentare che fa da collettore di tangenti, a società off shore e mazzette girate a politici e partitini influenti e ben inseriti nei Palazzi. Numeri piccoli, si dirà, ma con le mani su fatturati enormi e opere strategiche. Una nuova occasione, perciò, di riflettere sullo stato di salute dell’etica d’impresa, programmaticamente messa sotto i piedi, non da sciatteria o incompetenza che degradano in focolai delinquenziali, ma – molto peggio – da scelte mirate per mettere fuorigioco il mercato e la competizione sana. Senza che si vedano lupare in giro.

La seconda riflessione è che sempre più spesso – lo notava di recente don Luigi Ciotti, l’animatore di Libera – udire parole quali «legalità» e «trasparenza» da certe bocche fa dubitare dell’uso strumentale di questi sostantivi specie quando, poi, si passa alle gratuite solennità dell’«impegno antimafia». Perché è ormai chiaro che qualcuno scientemente stacca ogni connessione tra corruzione e infiltrazione criminale, praticando spregiudicatamente la prima e irrobustendo drammaticamente il Dna della seconda.
Quel che è peggio, infine, è che simili episodi – gravissimi – sarebbero individuabili, circoscrivibili e neutralizzabili se attivassero per tempo la reazione di anticorpi ben più incisivi ed efficaci della repressione penale, come gli anticorpi etici e deontologici, quelli delle regole custodite da associazioni e professioni. Ma ciò non accade o non accade a sufficienza, secondo tempistiche e modalità adeguate, tali da togliere la palla alle toghe prima che queste scendano in campo.
Occorre ripetersi che così non saranno neutralizzati “sistemi” come quelli che lasciano scorgere le indagini su Infrastrutture Lombarde o su Finmeccanica, perché le manette bloccano polsi e i processi condannano singoli imputati, ma subito dopo la rete si ricompone: qualcun altro falsificherà i bilanci, altre mani trasporteranno sacche di denaro, i flussi di mazzette riprenderanno a scorrere in nuovi rivoli. E la corruzione continuerà a rendere fragile e costoso lo sviluppo del Paese.

 

Sole 24 Ore 31.3.2014

 

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