PAOLINO BIONDO, il suo barbiere

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Quando ricevette  la telefonata dell’attentato a Falcone  


PAOLINO BIONDO È STATO PER OLTRE VENT‘ANNI IL BARBIERE DI PAOLO BORSELLINO QUI NE RICORDA L’UMANITÀ E L’AMICIZIA

”Il giorno che lo vidi sbiancare per Falcone” – Paolino Biondo è stato per oltre vent‘anni il barbiere del magistrato ucciso a Palermo in Via D’Amelio 26 anni fa: qui ne ricorda l’umanità e l’amicizia. “Lui preferiva aspettare il suo turno. Gli piaceva perché da me si rilassava e faceva la sua anticamera leggendo qualche rivista. Non chiedeva mai quanto c’era da attendere. Quando ci fu il maxi-processo, si iniziò a capire che fosse una persona in pericolo e allora un giorno gli dissi: ”Dottore Borsellino, se vuole posso venire io a farle i capelli a casa.” Lui per tutta risposta: ”Paolì, mi vuoi togliere il piacere di venirti a trovare?” A Palermo, a qualche centinaio di metri da via Cilea, vi è un negozio da barbiere gestito da oltre quarant’anni da Paolino Biondo. Lo specchio del suo salone ha visto molti volti, noti e meno noti. Gli occhi di Paolino hanno incrociato lo sguardo di migliaia di persone e le sue mani hanno “accarezzato” molti visi. Tra questi, sicuramente, quello che ha lasciato di più una traccia nel cuore di Paolino è un magistrato che in comune con il barbiere aveva anche il nome: Paolo Borsellino. E allora abbiamo pensato di chiedere a Paolino quali sono i ricordi di questo cliente speciale che conserva gelosamente. E’ stata una conversazione molto emozionante, a volte interrotta dalla voce rotta e commossa di Paolino che faceva fatica a raccontare, e ci siamo emozionati anche noi.. 
Come hai conosciuto il dottore Borsellino? “Ho il negozio vicino a dove abitava lui, in via Cilea. Lo conoscevo fin dal ’71. Ho avuto il piacere di servirlo dal 71 fino al 1992″. 
Sapevi chi fosse quando ha iniziato ad essere un tuo cliente? Sapevi del suo lavoro? 
“No. Solo dopo qualche tempo, parlando, ho saputo che era un Magistrato. Siamo entrati in confidenza in qualche modo”. 
Ma davi del tu al Giudice? 
“No. Assolutamente, io nel mio lavoro, con i miei clienti, ho sempre mantenuto un rapporto di cordialità e rispetto”. 
Abbiamo letto che portava anche i bambini a tagliare i capelli quando erano piccoli. 
“Si, Manfredi lo ricordo ancora con i pantaloncini corti. Una volta mi portò tutti e tre i bambini per il taglio dei capelli, anche le femminucce. Era una giornata di 40° a Palermo, d’estate, e bambini soffrivano il caldo coi capelli lunghi. Allora il Giudice mi chiese di tagliare i capelli anche alle bambine. “Perchè non le porta dal parrucchiere?” , gli dissi. Rispose “No, glieli devi tagliare tu, perchè come tagli tu i capelli corti non li taglia nessuno”. 
E i bambini non si lamentarono di questa specie di costrizione? Di solito le bambine sono un po’ più difficili da accontentare, un po’ più civettuole. 
“No, anche perché lui col carattere che aveva non era facile potersi lamentare. Aveva un carattere forte coi figli, ma molto dolce e legato alla famiglia. Quando Manfredi divenne più grandicello iniziò a venire anche lui da me per farsi tagliarsi i capelli. E adesso ho sia lui che suo figlio come clienti. Ho un altro Paolo Borsellino che è mio cliente, e a volte se penso a questo ed a suo nonno, mi si stringe il cuore”. 
Quindi Manfredi ha continuato questa amicizia? 
“Si, con Manfredi siamo più amici che con suo papà, perché è diversa come cosa, me lo sono visto crescere. Oggi, nonostante sia un Dirigente di Polizia, nonostante il ruolo che ricopre, è un ragazzo giocherellone che quando viene da me ama molto scherzare. E in questo somiglia molto a suo padre”. 
Di cosa parlavate quando il Giudice veniva da te? 
“Mi raccontava delle marachelle di Manfredi a casa, era quello più discolo, o parlava di cosa facessero i figli, in generale cose della sua vita familiare. Eravamo entrati in confidenza”. 
La gente lo riconosceva quando entrava nel tuo negozio? 
“Si. Però lui preferiva aspettare il suo turno. Gli piaceva perché da me si rilassava e faceva la sua anticamera leggendo qualche rivista. Non chiedeva mai quanto c’era da attendere. Quando ci fu il maxi-processo, si iniziò a capire che fosse una persona in pericolo e allora un giorno gli dissi:” Dottore Borsellino, se vuole posso venire io a farle i capelli a casa.” Lui per tutta risposta:” Paolì, mi vuoi togliere il piacere di venirti a trovare?” 
Veniva da solo o con la scorta? 
“Sempre senza scorta. Ha cominciato ad essere accompagnato dalla scorta dopo che uccisero il dottore Falcone”. 
Abbiamo letto che amava molto usare la Vespa. 
“Si, certe volte, d’estate, si presentava in pantaloncini, con la vespa e con gli zoccoli. Agli inizi però, negli ultimi anni non lo faceva più”. 
Al Giudice assegnarono la scorta nel 1980, nonostante questo lui continuò a venire al negozio da solo? 
“Si. Magari lo lasciavano a casa e lui riferiva che non sarebbe uscito, che magari aveva da studiare delle carte e poi invece scendeva a comprare le sigarette o qualche rivista, o veniva da me. Era un momento di libertà che si concedeva. Si svagava, e poi con me si rilassava. Quando stava per essere approvata la legge che vietava di fumare nei locali pubblici, gli dissi: “Dottore Borsellino, lei lo sa che tra un po’ non potrà più fumare qui?” E lui mi fa: “Paolì che problemi ti poni, chiama gli sbirri e mi fai arrestare..”. C’era una certa amicizia e gli piaceva scherzare così”. 
Quando il giudice veniva da te, e faceva tutto il giro passando davanti ad altri negozi, era un momento quasi di libertà che si ritagliava. Momenti in cui in cui aveva una parvenza di vita normale. “Lui scendeva da casa e percorreva tutto il tratto passando davanti a vari esercizi commerciali, magari comprava qualche rivista. Ti racconto un episodio simpatico che mi è rimasto impresso. C’era un negoziante, e quando il giudice passava lì davanti questo signore gli diceva sempre: “Dottore Borsellino, mu volissi trovari un posto?” e il giudice di rimando: “Ma che posto ti devo trovare? E dove lo dovrei trovare sto posto?”. E la cosa si ripeteva ogni volta che passava da là. E il giorno dopo, e quello appresso, di nuovo sempre la stessa tiritera. Fino a quando il Giudice gli rispose diversamente “Attrovai nu posto pe tia!”. “Ma veramente, mi trovo una sistemazione??” gli rispose il negoziante. “Sì vero, all’Ucciardone, ci voi iri?” 
Questo dimostra ancora una volta il pensiero di Paolo Borsellino e la sua integrità morale. “Lui, le combatteva queste cose”. 
Tutti ti conoscono perché sei la persona che era presente quando fu comunicato al Giudice che c’era stato un attentato a Giovanni Falcone. Presumo che tu quel giorno non te lo scorderai mai nella vita. “E come potrei scordarlo? E’ rimasto indelebile nei miei ricordi. Era sabato pomeriggio, Borsellino aveva fatto due ore di attesa per il suo turno. Si sedette e gli feci lo shampoo. Mentre stavo asciugandogli i capelli, gli arrivò una telefonata al cellulare che era poggiato sullo sterilizzatore. Prese il telefono, rispose, e lo vidi sbiancare in volto tanto che mi preoccupai e gli chiesi cosa stesse succedendo perché sentivo, dall’altra parte del telefono, parlare a voce alta e disperatamente. Capivo che era successo qualcosa di grave e allora, agitato, gli dissi: ”Dottore Borsellino ma che c’è, che cosa è successo?” Lui mi fa: ”Levami sta cosa” E io sempre più preoccupato insistetti: ”Ma vuole dirmi cosa è successo, mi fa sta facendo preoccupare” E lui: ”Hanno fatto un attentato a Giovanni” Ed è scappato, bianco come la carta. Subito dopo venne un Carabiniere in borghese, che io conoscevo, a chiedere del Giudice e anche a lui chiesi cosa fosse accaduto e mi disse: ”Hanno fatto un attentato a Giovanni Falcone”. Poi seppi che il Giudice andò prima a casa e da lì in ospedale dove il Giudice Falcone gli morì tra le braccia”. 
Palermo, 19 luglio, 1992: Via d’Amelio a Palermo pochi minuti dopo l’esplosione che uccide Paolo Borsellino e la sua scortaCome hai appreso dell’attentato in via D’Amelio? “Ero al villino di mio fratello a Carini, ci eravamo riuniti per una scampagnata domenicale. Dopo mangiato andammo a fare quattro passi e vidi un gruppo di persone che confabulavano tra loro. Chiesi cosa fosse successo, la risposta mi lasciò impietrito: “Hanno fatto un attentato al giudice Borsellino.” Venni preso dalla disperazione. Accesi subito la TV e mi si presentò davanti quello scenario di guerra. Non avemmo più voglia di rimanere in campagna e ce ne tornammo a Palermo. E passai da via Cilea. Non facevano salire nessuno, allora chiesi di far chiamare Manfredi e dirgli che ero lì e lui disse di farmi salire subito. Ci abbracciammo senza parlare e poi mi presentò il Giudice Caponnetto. La signora Agnese si era chiusa in una stanza e non voleva vedere nessuno. C’era anche Lucia mentre Fiammetta era all’estero”. 
Che aria c’era in quei giorni nel quartiere, cosa si diceva? “Unaria triste. Come se ad ognuno di noi fosse mancato un familiare. Era una brava persona. Lo conoscevano tutti. Il quartiere era in lutto, era morta una parte di noi”. 
E gli volevano tutti bene… “Certo, anche se la carica che rivestiva non gli permetteva di essere una persona troppo espansiva però era un uomo rispettato da tutti, rispettava le persone e lo rispettavano. C’era, diciamo, questa forma di rapporto con il quartiere. Certamente era molto alla mano con le persone con cui lui era in confidenza”. 
Hai conosciuto anche la signora Agnese. Quando è l’ultima volta che l’hai vista? “Dopo che mi hanno fatto un’intervista al “Giornale di Sicilia”, dove parlavo in un certo modo del Dottore Borsellino. Si fece portare dal figlio davanti al negozio, era già molto ammalata. Manfredi mi chiamò e mi disse: ”C’è mamma che vuole salutarti”. Io uscii dal negozio e lei era in macchina, La salutai e lei, portandosi la mano vicino al cuore, mi disse: “Signor Paolo lei mi ha commosso tanto per le parole che ha detto su mio marito al giornale”. Non potrò mai dimenticare quell’episodio, mi tremavano le gambe, mi emozionai moltissimo. Era una donna importante ma allo stesso tempo umile e buona. E non poteva essere diversamente, perché per stare accanto al giudice doveva per forza di cose essere così. Il Dottore Borsellino, anche se svolgeva un certo tipo di professione, era comunque un uomo umile e buono e la signora Agnese era proprio così, una grande donna”. 
Tu hai un ritratto del Giudice che ti ha regalato la famiglia, e abbiamo visto in un intervista che ti commuovi quando lo guardi. Quando al mattino entri in negozio e vedi il volto del giudice che sorride, a cosa pensi? “Che devo pensare? Ti posso solo dire che non c’è più ma cerchiamo di tenere il ricordo sempre vivo”. 
A chi lo ha conosciuto, quanto manca Paolo Borsellino? “A me manca tanto, ci facevamo persino gli auguri lo stesso giorno, lui si “chiama” Paolo come me”.  LA VOCE DI NEW YORK di Fraterno Sostegno ad Agnese Borsellino 18 Luglio 2018


I CAPELLI DI BORSELLINO E L’ATTENTATO A FALCONE

In via Cilea, a Palermo, ci sono piante dolcissime e fiori al balcone. La strada profuma di verde e serenità domestica. Di caffè appena tolto dal fornello. Da casa dei Borsellino fino al giornalaio all’angolo sono pochi passi. In fondo, si svolta a sinistra per via Zandonai. Si cammina fino a un’insegna. C’è scritto: “Paolo, coiffeur per uomo”. Paolino Biondo ha il fisico e la maniere da compito barbitonsore. La sua bottega ha in dotazione tre sedili per avventori dalla zazzera bisognosa di forbici. Lui è piccolo e gentile, quasi calvo, come ogni barbiere palermitano che si rispetti. Ascolta. Risponde con garbo: “Sì, tagliavo i capelli del dottore Borsellino. Il giorno in cui uccisero Falcone era qui da me”.

Signor Paolino, che tipo di cliente era il giudice Borsellino? “Bravo”. Ci sono quelli che dal barbiere stanno in silenzio e osservano cupi lo specchio, al passaggio delle forbici, persi nei loro pensieri. E altri che chiacchierano di calcio o di qualunque cosa per non sentirsi soli. “Ah, il dottore era un miscuglio. Di solito stava zitto. Altre volte voleva parlare. E prendeva bonariamente in giro suo figlio Manfredi quando era un ragazzo, per via della prima barba”.

E’ Manfredi che ci ha svelato dove trovarla. Sa, ha avuto il terzo figlio. Una bimba. “Che bellezza (Paolino Biondo zompa di felicità e quasi picchia la testa sul soffitto). Me lo deve salutare tanto”.

Se ci legge, lo consideri salutato. Dove sedeva il giudice? “Qui (nel divanetto accanto alla porta, ndr). Aspettava il suo turno buono buono”.

Significa che non saltava l’attesa? Che non le spaventava i clienti con la scorta? “Stava qui, paziente. E arrivava da solo, senza scorta, a piedi. Infatti, una volta gliel’ho detto”.

Che cosa gli ha detto? “Dottore, vengo a tagliarle i capelli a casa. Lo faccio per lei…”.

E lui? “Paolì – mi ha risposto – non ti arrisicare. Mi vuoi togliere l’unico momento di normalità che mi è rimasto?”.

Era il 23 maggio del 1992… “Finisco quasi di tagliare i capelli al dottore Borsellino, lui era qui da me di pomeriggio. L’ultima passata di lacca, mi pare”.

E che succede? “Gli squilla il telefonino. Lo porta all’orecchio. Diventa pallido, il dottore, si alza di scatto. Ha il viso bianchissimo.  Prende i soldi dalla tasca e li posa sul tavolo”.

E lei? “Dottore, che c’è?”.

E lui? “All’inizio non risponde. Poi, con gli occhi persi nel vuoto, come se non mi vedesse,  sussurra: mio Dio, un attentato a Giovanni. Esce fuori correndo. Purtroppo, non l’ho incontrato mai più”.

Paolino, non faccia finta di non commuoversi. Chi era il giudice Paolo Borsellino? “Una brava persona”.

Da casa dei Borsellino fino al barbiere di via Zandonai ci sono più di cento passi di normalità. Proviamo a percorrerli, immaginandoci nei vestiti di un giudice che sognava di tagliarsi i capelli come gli altri. Uno, due, tre… L’odore del verde, dei gerani al balcone, del caffè,   stringe il cuore con una tenerezza primitiva, da bambini. E adesso lo sappiamo. Il 23 maggio del 1992, nella passeggiata fino alla bottega di Paolino Biondo, prima dell’attentato a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino era ancora un uomo vivo e felice. Un colpo di forbici. E tutto cambiò.  LIVE SICILIA 18 Luglio 2010 – Roberto Puglisi