BORSELLINO, funerali senza lacrime di Stato

 

Hanno riflettuto a lungo, chiusi in quella casa inutilmente blindata, in via Cilea, le persiane chiuse, folla sul marciapiede. Consegnare o no la bara di Paolo Borsellino, al solito, angoscioso, rito di Stato, all’ omelia di Pappalardo, agli abiti blu della prima fila, alla rabbia dei palermitani impotenti sul sagrato? No, basta, basta davvero.
Agnese Borsellino, i suoi figli, Lucia e Manfredi, 22 e 20 anni, la sorella del giudice, Rita, la vecchia madre, Maria, hanno scelto di rinunciare alla rappresentazione ufficiale del dolore, hanno deciso di difendere se stessi e il loro caro dalla fastosa scenografia del potere, dalla formalità, forse anche dall’ ipocrisia di alcuni. Paolo Borsellino avrà i suoi funerali, strettamente privati, nella chiesa di Santa Maria di Marillac, là dove era solito sentir messa quando poteva, nelle domeniche di festa. Una decisione travagliata, difficile. Il capo della polizia Parisi ha sperato fino all’ ultimo in un ripensamento, assicurando che no, “non sarebbe stata una parata”.
Ma i Borsellino non si sono lasciati convincere.

A tarda sera, mentre la salma del magistrato prendeva la strada, purtroppo già vista, del Palazzo di Giustizia, per il rito “comune” della veglia funebre con gli altri cinque feretri, la famiglia diffondeva una nota, fissava la sua volontà nero su bianco: “E’ nostro desiderio celebrare i funerali alla presenza dell’ intero nucleo familiare… siamo profondamente vicini, nell’ immenso dolore comune, ai familiari delle altre vittime della strage… in tal senso, abbiamo deciso per una veglia congiunta…”. Tutti insieme, i morti, alla camera ardente.
Ma poi funerali separati.
Oggi alle 15,30, quelli degli agenti in forma ufficiale alle presenza del presidente della Repubblica (la cerimonia sarà trasmessa in diretta dal Tg1 e da Tg4 a partire dalle 15).
In un’ altra chiesa, il loro giudice, domani o dopodomani.

Tutto dipende dall’ arrivo di Fiammetta, la figlia diciannovenne, lontana dalla macerie, lontana dal sangue, in Indonesia per una vacanza, ignara, fino a ieri sera, perfino della fine di suo padre.
Funerali a invito, cercando di non stringere mani non gradite. Potrà venire il presidente della Repubblica Scalfaro, lui sì, ma altri sarebbe meglio non si facessero vedere. Il messaggio è chiaro.
Dolore su dolore.
Prima la morte di Falcone, adesso il marito, il padre, il magistrato, ammazzato dalla stessa mano. In via Cilea, sotto casa Borsellino, è un viavai continuo.
C’ è una rabbia silenziosa, disperata nelle facce dei poliziotti che vegliano su quella famiglia spezzata, c’ è un’ angoscia che spegne le parole negli occhi dei compagni di classe di Manfredi, il figlio ventenne, che ha visto tutto, che è passato sul luogo dell’ esplosione subito dopo, quando i corpi carbonizzati erano ancora caldi e i macabri resti di quella strage giacevano dappertutto.
La famiglia Borsellino è come la famiglia Falcone: riservata, dignitosa, orgogliosa nella tragedia. Non fa polemiche aperte, non grida. Il dolore si consuma tra quelle mura, nel salotto pieno di argenti tirati a lucido, le pareti color ocra, i divani damascati. Agnese Piraino Leto, bionda, minuta, pallida, riceve solo poche persone selezionate. Arriva Antonino Caponnetto, collega e amico del marito. L’ emozione è forte, la vedova scoppia in lacrime, bacia una fotografia di Paolo pubblicata dai giornali. Sussurra: “Gioia mia, gioia mia. Me l’ hanno tolto”. Le mani anziane, tremanti, di Caponnetto l’ abbracciano.  Le stesse mani, improvvisamente forti, porteranno a spalle, assieme ai giudici Natoli e Ilarda, il feretro a Palazzo di Giustizia, in un clima agitato, sul filo dell’ incidente. I sopravvissuti, sempre meno, si stringono.

Ecco la suocera di Giovanni Falcone, la madre di Francesca Morvillo, uccisa a Capaci nemmeno due mesi fa. “Paolo è andato a trovare Giovanni e Francesca…”, dice Agnese.
Qualcuno la sente pronunciare, con un filo di voce, l’ unica frase di vera rabbia nei confronti dello Stato: “Non meritavano questi uomini”. Giornata di dolore forte, di sfinimento. Per la famiglia Borsellino, la fine di un percorso. Alle sei della sera, arrivano sei catafalchi nell’ immenso atrio- obitorio del Palazzo di Giustizia.
La vedova del giudice avanza sorretta da una coppia di amici. E’ vestita di nero, stringe nelle mani la toga del marito. Dietro di lei, la figlia Lucia, con il fidanzato. Quella figlia fragile per la quale Borsellino tremava, quella figlia che nell’ 85, all’ epoca del ritiro forzato della famiglia all’ Asinara, assieme a Falcone, divenne anoressica per lo stress crudele.
Dietro la bara fasciata dalla bandiera tricolore, c’ è anche Manfredi, gli occhi nel vuoto, un cenno stanco di ringraziamento a Giovanni Galloni, vicepresidente del Csm, tra i primi ad arrivare.
No, Fiammetta non c’ è, un viaggio l’ ha voluta lontano. Presagi: dicono che Borsellino si fosse inquietato per la sua partenza, senza motivo, quasi un istinto. Non l’ ha più rivista.
Le ha parlato, per telefono, alle quattro di domenica prima di morire. Fiammetta era contenta, gli ha raccontato che sarebbe andata a fare una gita nella zona vulcanica dell’ isola di Bali. Per tutto il giorno hanno cercato di rintracciarla. Senza di lei, niente funerali. “Anche in questo lo Stato è impotente, non riesce nemmeno a trovarmela”, sussurrava Agnese Borsellino, nelle prime, angosciate ore d’ attesa.
Accanto alle lacrime, la forza di una famiglia unita.

Lucia, dopo il primo strazio all’ ospedale (“dov’ è papà, dov’ è papà”, urlava battendo i pugni su una porta a vetri pietosamente sbarrata) si è trovata addosso il coraggio della disperazione. In mattinata, ha voluto assistere, assieme al fratello, all’ apposizione dei sigilli nell’ ufficio del padre. Sulla scrivania di Borsellino, c’ era un quaderno, i caratteri a stampatello, calligrafia infantile. 

Davanti agli agenti che l’ accompagnavano, Lucia ha aperto quel libretto: dentro, il disegno di un angelo custode, chiamato a “vigilare sui giudici di Palermo”. Avrebbero voluto sequestrarlo, quel quadernino, che Borsellino forse non ha avuto il tempo di sfogliare, ma la figlia si è opposta. “Lo prendo io, non vi serve per le indagini”, ha detto. Nel pomeriggio, dopo le visiste di Ayala, sempre più pallido, dopo l’ apparizione di Rosaria, giovane vedova dell’ agente di Falcone, e qualche ora prima di quella veglia “congiunta” a Palazzo, turbata dalle urla dei familiari, disturbata da tafferugli esterni tra missini e simpatizzanti della Rete, ecco la decisione più difficile: dire no ai solenni funerali di Stato.

ALESSANDRA LONGO La Repubblica 21.7.2019