CAMORRA

 

La Camorra, un’organizzazione criminale italiana di connotazione mafiosa originaria della Campania e una delle più antiche e potenti organizzazioni criminali in Italia, risalente al XVII secolo.[1][2][3] La struttura organizzativa della Camorra è divisa in singoli gruppi chiamati clan, diversi tra loro per tipo di influenza sul territorio, struttura organizzativa, forza economica e modus operandi. Ogni “capo” o “boss” è il leader di un clan, in cui ci possono essere decine o centinaia di affiliati, secondo il potere e la struttura di ogni clan.[4][5] Le principali attività della camorra sono il traffico di droga, il racket, la contraffazione e il riciclaggio di denaro.[6] Inoltre, non è insolito che i clan della Camorra si infiltrino nella politica delle loro rispettive aree.[7]

Secondo il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, durante un discorso del 2019 della Commissione parlamentare antimafia, le forze di polizia sono concentrate sui due principali cartelli cittadini, il clan Mazzarella e l’Alleanza di Secondigliano. Quest’ultima è un’alleanza dei clan LicciardiContini e Mallardo.[8]

Etimologia del termine

«Dissi di una simil setta. La camorra infatti, nel significato generale del vocabolo, designa ben altro che l’associazione […] Il vocabolo si applica a tutti gli abusi di forza o di influenza.
Far la camorra, nel linguaggio ordinario, significa prelevar un diritto arbitrario e fraudolento.»
(Marc MonnierLa camorra: notizie storiche raccolte e documentate, 1862)

Secondo l’enciclopedia Treccani e il linguista Massimo Pittau, sarebbe legato per similitudini fonetiche e semantiche al nome dell’antica città biblica di Gomorra.[9] Il passaggio semantico sarebbe avvenuto per traslazione attraverso il significato intermedio di vizio/malaffare e quindi di delinquenza/malavita.[10]Le ipotesi sull’etimologia del termine sono varie:

  • Secondo lo studioso Abele De Blasio, professore all’Università di Napoli, deriverebbe dal termine Gamurra del XIII secolo, indicante un’associazione di mercenari sardi al soldo di Pisa, come riporta il primo tomo del Codex Diplomaticu Sardiniae.[11]
  • Un’altra corrente sostiene sia connesso ad una bisca frequentata dalla malavita napoletana del XVII secolo.[3]
  • In un documento ufficiale del Regno di Napoli risalente al 1735, troverebbe riscontro nel significato di tassa sul gioco, imposta dovuta ai protettori dei locali dediti al gioco d’azzardo.
  • Si pensa anche possa fare riferimento alla gamurra che indossavano i lazzaroni napoletani, un indumento simile alla chamarra spagnola,[12] tipico dell’Italia tardo-medievale e rinascimentale. Nelle antiche commedie teatrali si ritrova spesso questo termine ad indicare un abito o una giacchetta molto corta.[13]
  • Altri affermano che andrebbe connesso al termine morra, ovvero banda. Per cui, chi ne avesse fatto parte sarebbe stato c’a morra (con la banda). Morra, comunque, può significare anche rissa.
  • Secondo qualche autore campano, potrebbe inoltre derivare da ca’ murra e cioè capo della murra. Nella Napoli settecentesca, infatti, il guappo di quartiere doveva risolvere le dispute tra i giocatori della murra (tipico gioco di strada)[14].

Storia

Secondo una ipotesi storica la società segreta che diede poi origine alla Bella Società Riformata si sarebbe formata nell’isola di Sardegna, a Cagliari, nel corso del XIII secolo[15][16][1][17] sotto il nome di Gamurra e poi si sarebbe diffusa a Napoli intorno al XIV secolo.

L’ipotesi più accettata vuole che il termine sia nato invece direttamente in Campania, intorno al XVI-XVII secolo, trovando la sua radice etimologica originaria nello stesso dialetto di Napoli e venendosi a formare dalla giunzione delle parole c’a-morra (con la morra), in riferimento all’omonimo gioco di strada. In virtù delle notizie storiche accertate, è assai condiviso datare ai primi anni del XIX secolo la nascita della camorra partenopea intesa come organizzazione criminale segreta, «una sorta di massoneria della plebe napoletana».[2][18][19][20][21][22][23]

A detta di Marc Monnier, rettore della Università di Ginevra e tra i primi ad aver dedicato un testo sulla camorra e ad averla analizzata[24], il termine camorra sarebbe derivato da gamurra e avrebbe avuto origine non napoletana, bensì sardo-pisana: la prima citazione del termine si ha infatti in un documento medievale pisano. Una delle tante ipotesi storiche della camorra vede questa nascere e svilupparsi in periodo medievale nei quartieri portuali della città di Cagliari intorno al XIII secolo, quando era necessario per Pisa, che era allora riuscita a dirigere de facto la politica locale, controllare gli isolani ed evitare che questi potessero unirsi e creare sommosse; Pisa avrebbe così ingaggiato dei sardi facendoli costituire in bande di mercenari armati, il cui compito era quello di pattugliare i diversi borghi e mantenere così l’ordine pubblico[25][26][27][28][29][30][31][32]. Tale modalità di contenimento dei conflitti e gestione di potere sarebbe passata in seguito dalle mani dei dominatori pisani a quelle dei governatori aragonesi: protettorato, gabelle, gioco d’azzardo e tangenti avrebbero fornito loro le entrate necessarie per mantenere in piedi tale organizzazione malavitosa, composta e diretta da capibastone della plebe. Questa ipotesi storica vuole che i gruppi di mercenari sardi abbiano, a un certo punto, lasciato Cagliari e la Sardegna alla volta della Campania, stabilendovisi nel XVI secolo, durante il governatorato spagnolo. A differenza delle altre organizzazioni criminali campane, diffuse soprattutto nell’entroterra rurale, tale organizzazione gruppale attecchì velocemente nel territorio partenopeo, tra la popolazione locale nei quartieri più popolosi, evolvendosi autonomamente in una struttura di famiglie (o clan) capitanate da criminali provenienti dai più bassi strati della società napoletana.

Questi, dando vita alla camorra propriamente detta, oltre a fungere da mercenari pagati dagli alti ceti sociali per esercitare il controllo delle bische, si rendevano allo stesso tempo anche autori di soprusi, abusando del potere loro conferito. Queste bande infatti commettevano illeciti ai danni dei popolani, come raccontato in un documento dell’epoca:

(NAP)

«facimme caccià l’oro de’ piducchie»

(IT)

«ricaviamo denaro dai pidocchi»

(dal libro “La camorra” di Marco Monnier)  

I progenitori della camorra ottocentesca esistevano nel XVII secolo ed erano detti compagnoni che si muovevano in quattro e vivevano alle spalle di prostitute, controllando il gioco d’azzardo e facendo rapine. In ogni quartiere napoletano c’era un gruppo di compagnoni di cui era membro anche qualche nobile. Il loro luogo d’incontro era la taverna “del Crispano”, presso l’attuale Stazione Centrale di Napoli. Anche il canonico Giulio Genoino, ispiratore della rivolta di Masaniello, si faceva proteggere da compagnoni. Vi erano pure i cappiatori, ladri di strada, e i campeadores, rapinatori con coltelli. Alla fine del XVII secolo a Napoli ci furono 1338 impiccati, 17 capi giustiziati, 57 decapitati, 913 condannati alla galera. Nel periodo del vicereame spagnolo il criminale più noto fu Cesare Riccardi, detto “abate Cesare”, a capo di una banda di criminali.[33][34]

La carestia del 1764

Il medico e storico napoletano Salvatore De Renzi (1800 – 1872), in un saggio pubblicato nel 1868 sulla carestia nel Regno di Napoli del 1764[35] imputa alla presenza di camorristi una delle cause della carestia, poiché questi, intervenendo ad accaparrare a fini speculativi il grano ed altri generi alimentari, ne turbavano il libero mercato: “nel seno stesso delle amministrazioni si costituivano numerose consorterie di camorristi, i quali cercavano di profittare dei pubblici bisogni e le carestie avvenivano allora come effetto di deplorabili sistemi annonari e quale conseguenza della immoralità degli uomini ed erano meno scusabili della stessa peste”.

Nel 1820 la “Bella Società Riformata” si costituì ufficialmente, riunendosi nella chiesa di Santa Caterina a Formiello a Porta Capuana; i camorristi napoletani definivano la loro organizzazione anche come “Società della Umirtà” o “Annurata Suggità” (“Onorata Società“) per alludere alla difesa del loro “onore”, che consisteva nell’omertà (Umirtà), cioè il codice malavitoso del silenzio e dell’obbligo a non parlare degli affari interni all’organizzazione con la polizia[36][37].

Per accedere all’organizzazione era previsto un vero e proprio rito di iniziazione definito “zumpata” (o dichiaramento) che consisteva in una sorta di duello rusticano. Questo si spiega soprattutto con il fatto che i camorristi ebbero sempre l’ambizione di imitare i nobili. Impiegando il coltello o la spada cercavano di dimostrare il loro “valore” in questa sorta di scontri. Le fasi preliminari della zumpata erano l’appìcceco, il litigio, il ragionamento, tentativo di composizione della controversia, banchetto e poi duello. Se il combattimento all’arma bianca si poteva tenere in una qualsiasi zona affollata l’utilizzo di una pistola richiedeva, invece un luogo solitario.

In origine il sodalizio si occupa principalmente della riscossione del pizzo da alcuni dei numerosi biscazzieri, che affollano le strade dei quartieri popolari di Napoli. Ben presto, però, conseguentemente all’unità d’Italia, il fenomeno dilaga e le estorsioni iniziano a danneggiare la quasi totalità dei commercianti. Nonostante le violenze e i crimini perpetrati, i camorristi godono della benevolenza del popolo al quale, in una situazione come quella post-unitaria di totale disinteresse delle istituzioni per i problemi sociali, garantiscono un minimo di “giustizia”.[38]

Tra le principali fonti di risorse economiche della camorra si ricordano:

  1. Il “Barattolo” che era la percentuale di circa il 20% sugli introiti dei biscazzieri;
  2. lo “Sbruffo” era, invece, la tangente su tutte le altre attività (dai facchini ai venditori ecc.);
  3. un particolare regime di tassazione per la prostituzione;
  4. il gioco piccolo (cioè il lotto clandestino)

Sotto il regno di Francesco I la camorra godette del favore della casa reale, ad essa erano anche affiliati Michelangelo Viglia valletto del re e la cameriera della regina, Caterina De Simone[39]

Nei primi anni del regno di Ferdinando II divenne famoso Michele Aitollo detto “Michele ‘a Nubiltà’, costui i giovedì presiedeva una sorta di corte di giustizia in un basso napoletano, per dirimere litigi fra persone del popolo minuto, e talvolta per questa sua funzione pacificatrice si pronunciava anche su persone inviategli da Luigi Salvatores, commissario di Pubblica Sicurezza del rione Porto, e perfino Gennaro Piscopo il prefetto di polizia.[40] Intorno al 1840, Aniello Ausiello di Porta Capuana spadroneggiava. I guadagni alla sua paranza arrivavano dalla partecipazione alle periodiche aste organizzate dall’esercito, che vendeva in quel modo i cavalli di scarto.[41]

Secondo Marc Monnier, “la camorra fu rispettata, usata spesso sotto i Borbone fino al 1848. Essa formava una specie di polizia scismatica, meglio istruita sui delitti comuni della polizia ortodossa, che occupavasi soltanto dei delitti politici. […] Inoltre la camorra […] era incaricata della polizia delle prigioni, dei mercati, delle bische, dei lupanari e di tutti i luoghi malfamati della città”.[42] Con lo scoppio della rivoluzione infatti alcuni importanti camorristi (quali Luigi Cozzolino detto il “Persianaro”, Michele Russomartino detto il “Piazziere”, Andrea Esposito detto “Andreuccio di Porta Nolana” e addirittura il capo della camorra del quartiere Mercato Salvatore Colombo, entrato nella setta dell’Unità Italiana) passarono dalla parte dei liberali nella lotta anti-assolutista, partecipando agli scontri di piazza.[43] Ciò determinerà le prime repressioni su vasta scala della camorra a Napoli, portate avanti dai ministri della polizia Gaetano Peccheneda prima (nel 1849-50) e Luigi Ajossa poi (nel 1859-60). La crescente attenzione della polizia borbonica per ragioni politiche porterà a scoprire attività estorsive dei camorristi su molteplici ambiti, oltre a quelli originari nelle carceri e sul gioco: dai vari mercati alimentari, ai servizi di trasporto, all’oreficeria e al contrabbando.[44] In questi anni si consumerà anche il primo delitto eccellente con l’omicidio in carcere dell’ispettore Michele Ruggiero per la rottura dell’equilibro tra camorra e funzionari dello Stato borbonico.[45]

Il ruolo nell’unificazione italiana

Quando nel 1860Garibaldi sbarcò in Sicilia, la camorra ne approfittò appoggiando i Savoia contro la dinastia regnante dei Borbone. La “ricompensa” nella politica camorristica fu concordata con i malavitosi dal prefetto di Polizia nominato da re Francesco II delle Due SicilieLiborio Romano, il quale lasciò il controllo di Napoli alla camorra durante la fase di transizione del regno, al fine di evitare possibili rivoluzioni incoraggiate dai Borbone in esilio, con conseguente saccheggio della città, così come già avvenuto nel 1799 e nel 1848.[46] Il nuovo ministro degli interni nel nuovo governo luogotenenziale, Silvio Spaventa, coadiuvato dal nuovo prefetto di Polizia Filippo De Blasio, ruppe con la camorra e cercò di estirpare il fenomeno e ripristinare la legalità[47]:

«Il 17 novembre furono arrestati per misura di polizia e condotti a Castel Capuano undici camorristi su disposizione del nuovo prefetto Filippo De Blasio […]. A partire dalla seconda metà di novembre iniziò così, durante la luogotenenza Farini e sotto la guida di Silvio Spaventa, un nuovo ciclo repressivo (rimasto paradigmatico come il primo rigoroso dello Stato liberale), che avrebbe portato lungo i mesi successivi all’arresto di molti camorristi in vari punti della città e dell’immediata provincia, e alla contestuale epurazione delle forze di polizia.»
(Antonio Fiore, Camorra e polizia nella Napoli borbonica (1840-1860)

Nel 1911, si tenne a Viterbo il processo Cuocolo per l’omicidio di Gennaro Cuocolo e Maria Cutinelli e, grazie alle confessioni del camorrista pentito Gennaro Abbatemaggio, vennero inflitte severe pene ai maggiori esponenti dell’organizzazione. La sera del 25 maggio 1915, nelle Caverne delle Fontanelle, nel popolare rione Sanità, i camorristi, presieduti da Gaetano Del Giudice, decretarono lo scioglimento della Bella Società Riformata; in realtà l’associazione era già stata decimata nel corso del processo Cuocolo.

Il XX secolo, il ventennio fascista e il secondo dopoguerra

Lo stesso argomento in dettaglio: Camorra newyorkese, Pasquale Simonetti, Assunta Maresca e Fascismo.

Mussolini sottovalutò il fenomeno camorristico, tanto che concesse la grazia a molti dei camorristi condannati a Viterbo, sicuro che nel nuovo assetto dittatoriale questi non avrebbero costituito più un pericolo. Molti delinquenti diventarono squadristi entrando a far parte delle squadre fasciste ed ebbero in cambio il silenzio sul loro passato.[48] Nel 1921, proliferano i sindacati padronali da contrapporre a quelli operai. Il fascismo usa una tattica abile. Usa i camorristi per reprimere la delinquenza, con il miraggio di cancellare loro i reati e assicurare impieghi. In molti si prestano a questo disegno.[49]

Negli anni di crescita del fascismo, quando nel partito di Mussolini a Napoli si fronteggiano il movimentismo di Aurelio Padovani con le tendenze istituzionali di Paolo Greco, nei diversi quartieri gli appoggi malavitosi non sono chiari.[50] E, naturalmente, per animarli, servono squadre armate pronte a tutto, che non hanno nulla da perdere. Il primo sindacato padronale è quello dei camerieri. Nasce con l’appoggio di Guido Scaletti, piccolo camorrista della zona dei Quartieri Spagnoli.[49]Arturo Cocco, ad esempio, camorrista del quartiere Sanità aveva fiutato il vento e si era gettato tra le braccia del regime. Il suo ascendente nella sua zona d’origine poteva ben servire a controllare che tutto andasse a dovere e la polizia si avvantaggiava dei servigi di Cocco.[49] Un altro guappo violento, Marco Buonocuore, sparò a un operaio antifascista e ottenne buoni incarichi pubblici. L’iscrizione al Partito Fascista era comunque agevolata, senza tener conto della fedina penale.[49] Al quartiere Sanità, Salvatore Cinicola, detto macchiudella con un passato da guappo, fu ben lieto, in cambio di favori e onori, di diventare informatore della polizia, facendo, come amava ripetere da veleno della malavita. Il 25 luglio del 1943, con la caduta di “Mussolini”, la gente del quartiere tentò di linciarlo. Fu proprio Luigi Campoluongo a salvarlo. La vita gli fu risparmiata, ma la gente lo costrinse comunque a girare per via dei Vergini tutto imbrattato di sterco.[49] Anche a Bagnoli ci furono personaggi violenti impegnati a tenere a freno gli operai dell’Ilva (poi Italsider): i fratelli Vittorio e Armando Aubry.[49] In cambio, fino al 1935, ottennero l’appalto delle operazioni di carico e scarico ai pontili della fabbrica. Un controllo che consentiva anche buoni guadagni con il contrabbando, che passava attraverso quella piattaforma. Poi, cominciò la stretta del regime. La mano ferma contro la criminalità, che agli inizi era servita al fascismo per affermarsi. Centinaia di delinquenti, piccoli e grandi, vennero inviati al confino. L’obiettivo era duplice: arrestare i camorristi scomodi, restii ai patti con la polizia: dare all’opinione pubblica dimostrazione di una mano ferma contro la criminalità, legando ancora di più al regime i delinquenti più morbidi.[49] Scrive Paolo Ricci: “La camorra aveva riacquistato parte nella sua consistenza nel marasma del dopoguerra. Tuttavia essa non aderì in un primo momento che in minima parte all’invito dei fascisti.[…] Fu un periodo confuso, in cui in certi quartieri (ad esempio ai Vergini) la camorra (o quello che rimaneva , trasformata, adattata ai nuovi tempi, di essa) si alleò con il popolo nella lotta contro le squadracce d’azione e in altri quartieri, specie in quelli di periferia, invece, i guappi facevano parte delle squadre di azione […] Nelle fabbriche i padroni e i dirigenti puntavano sui guappi per spezzare l’unità operaia.[49]

A Casignana spararono contro i contadini che avevano occupato le terre.[51] Nell’immediato dopoguerra, il soggiorno obbligato a Napoli, imposto dal governo degli U.S.A. al boss di Cosa nostra statunitense Lucky Luciano contribuì al superamento della dimensione locale del fenomeno e all’inserimento dei camorristi campani nei grandi traffici illeciti internazionali, quali il contrabbando di sigarette in collegamento con il clan dei marsigliesi. Tuttavia, in questa fase, la camorra non ha la struttura verticistica che la caratterizzava nei secoli precedenti, né tanto meno ha un potere decisionale sugli affari che svolge con la mafia, per i quali molto spesso è solo un vettore e si presenta come una pluralità di famiglie più o meno legate tra loro. È ancora l’epoca della “camorra dei campi” e dei mercati. Infatti, una delle figure di spicco del periodo è Pasquale Simonetti, (detto Pascalone ‘e Nola per il suo grosso fisico e per la sua origine), un camorrista che controllava il racket dei mercati generali di Napoli, la cui uccisione sarà poi vendicata da sua moglie Assunta Maresca (detta “Pupetta“), il cui processo penale avrà un’eco di livello nazionale.

Gli anni dai ’70 ai ’90: dalla Nuova Camorra Organizzata al clan dei casalesi

Lo stesso argomento in dettaglio: Carmine Alfieri, Clan dei casalesi, Faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia, Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia.

Gli anni 19731974 videro un boom del contrabbando di sigarette estere, che aveva il suo centro di smistamento a Napoli: infatti nei primi anni settanta numerosi mafiosi palermitani (Stefano Bontate, Vincenzo Spadaro, Gaetano Riina e Salvatore Bagarella) vennero inviati al soggiorno obbligato in Campania[52], consentendogli di avviare rapporti con Michele Zaza e altri camorristi napoletani, attraverso i quali acquistavano i carichi di sigarette[53][54]; addirittura nel 1974 i mafiosi siciliani provvidero ad affiliare a Cosa nostra Zaza, i fratelli NuvolettaAntonio Bardellino e altri in modo da tenerli sotto controllo e di lusingarne le vanità, autorizzandoli anche a formare una propria Famiglia a Napoli: secondo il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il capo della Famiglia di Napoli era Salvatore Zaza (fratello di Michele), il consigliere era Giuseppe Liguori (detto “Peppe ‘o Biondo”, suocero di Michele Zaza) e i capidecina erano Giuseppe Sciorio e i fratelli Nuvoletta.[55]

Nella metà degli anni settanta, dal carcere di Poggioreale, nel quale è rinchiuso per omicidioRaffaele Cutolo inizia a realizzare il suo progetto: ristrutturare la camorra come organizzazione gerarchica in senso mafioso, sfruttando il nuovo business della droga; nasce così la Nuova Camorra Organizzata (N.C.O.).

La NCO tentò di imporre il controllo su tutte le attività illecite e ciò spinse le organizzazioni contrabbandiere napoletane e siciliane, rappresentate da Zaza, dai fratelli Nuvoletta e da Bardellino, a riunirsi sotto il nome di Nuova Famiglia (NF), per portare guerra alla camorra cutoliana.[52] La guerra tra le due organizzazioni criminali è spietata e si conclude nei primi anni ottanta con la sconfitta della NCO. Le vittime sono molte centinaia, tra esse anche molti innocenti. In questa fase ci fu anche una connessione generata dal “Caso Cirillo” tra camorra e Brigate Rosse. Dal 1979 la camorra ha ucciso 3600 persone, tra esse anche molti innocenti.[56]

Nel 1992 il boss Carmine Alfieri tentò di dare alla malavita organizzata nella regione una struttura verticistica creando la Nuova Mafia Campana (NMC),[57] anch’essa scomparsa dopo poco tempo, ma nel corso degli anni novanta la camorra rafforza la sua struttura di tipo orizzontale (con varie bande territoriali più o meno in lotta tra loro) non verticistica fatta eccezione per alcuni pochi cartelli, tra cui il clan dei casalesi che si strutturò in modo verticistico, formato da una dozzina di clan con una cassa comune.[senza fonte]

Il XXI secolo e le “faide di Scampia”

Lo stesso argomento in dettaglio: Prima faida di Scampia e Seconda faida di Scampia.

All’inizio degli anni 2000 l’organizzazione gode ancora di un certo potere, dovuto anche ad appoggi di tipo politico, che le consente il controllo delle più rilevanti attività economiche locali, in particolare modo nell’hinterland napoletano e casertano. Oggi la camorra conta migliaia di affiliati divisi in oltre 150 famiglie attive in tutta la Campania. Sono segnalati insediamenti della camorra anche all’estero, come nei Paesi BassiSpagnaFrancia e Marocco.[58]

I gruppi si dimostrano molto attivi sia nelle attività economiche (infiltrazione negli appalti pubblici, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzionericiclaggio di denaro sporcousura e traffico di droga) sia sul fronte delle alleanze e dei conflitti. Quando infatti un clan vede messo in discussione il proprio potere su una determinata zona da parte di un altro clan, diventano molto frequenti omicidi e agguati di stampo intimidatorio. Il ritorno al contrabbando di sigarette è dovuto ai recenti cambiamenti avvenuti all’interno di alcuni gruppi di camorra. In particolare l’attività è risorta nell’area nord di Napoli, dove opera il gruppo formato dai Sacco-Bocchetti-Lo Russo che, uscito dall’alleanza di Secondigliano, ha recuperato parecchio spazio e deciso di investire in questa attività, visto che i canali della droga sono controllati da altri gruppi, in particolare quello degli Amato-Pagano. A Napoli città il fenomeno è ancora limitato anche se in crescita, soprattutto nella zona dei Mazzarella (Mercato e Case Nuove). Il 7 febbraio 2008 viene arrestato il boss Vincenzo Licciardi, tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia. Era considerato il capo dell’alleanza di Secondigliano.[59]

La situazione corrente

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«Pasquale Villari, nel primo grande affresco sociologico sulla camorra che fu (ed è) “Lettere meridionali”, dopo aver descritto le condizioni di vita nel centro storico di Napoli, così concludeva: “Finché dura lo stato presente di cose, la camorra è la forma naturale e necessaria della società che ho descritto. Mille volte estirpata, rinascerà mille volte.”»
(Isaia SalesNapoli e il paradosso della guerra sociale Il Mattino, 5 febbraio 2016, pagina 1)

Grande risalto ha avuto negli anni 2004 e 2005 la cosiddetta faida di Scampia, una guerra scoppiata all’interno del clan Di Lauro quando alcuni affiliati decisero di mettersi in proprio nella gestione degli stupefacenti, rivendicando così una propria autonomia e negando di fatto gli introiti al clan Di Lauro, del boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo ‘o Milionario. Ma questa faida non è l’unica contesa tra clan sul territorio napoletano. Numerose sono le frizioni e gli scontri tra le decine di gruppi che si contendono le aree di maggiore interesse. A cavallo tra il 2005 e il 2006 ha destato scalpore nella cittadinanza e tra le forze dell’ordine la cosiddetta “faida della Sanità”, una guerra di camorra scoppiata tra lo storico clan Misso del rione Sanità e alcuni scissionisti capeggiati dal boss Salvatore Torino, vicino ai clan di Secondigliano; una quindicina di morti e diversi feriti nel giro di due mesi.

Per quanto riguarda l’area a nord della città (quella da sempre maggiormente oppressa dai gruppi criminali), tra i quartieri di Secondigliano, ScampiaPiscinolaMiano e Chiaiano, resta sempre forte l’influenza del cartello camorristico detto Alleanza di Secondigliano, composto dalle famiglie LicciardiContini, Clan Bosti, Mallardo, e con gli stessi Di Lauro quali garanti esterni (molto spesso, infatti, gli uomini di “Ciruzzo ‘o Milionario”, si sono interposti tra le liti sorte fra le varie famiglie del cartello, evitando possibili guerre).

Per le zone centrali della città (centro storico, Forcella) resta ben salda la supremazia del clan Mazzarella, che controlla praticamente tutta l’area ad est di Napoli, dal centro fino al quartiere periferico di Ponticelli, facilitati anche dalla debacle del clan Giuliano di Forcella, i cui maggiori esponenti (i fratelli LuigiSalvatore e Raffaele Giuliano) sono diventati collaboratori di giustizia. Le loro attività oggi si basano però solo sul contrabbando. Nell’altra zona “calda” del centro di Napoli, le zone del quartiere Montecalvario, dette anche “Quartieri Spagnoli”, dopo le faide di inizio anni novanta tra i clan Mariano (detti i “picuozzi“) e Di Biasi (detti i “faiano“), e tra lo stesso clan Mariano e un gruppo interno di scissionisti capeggiato dai boss Salvatore Cardillo (detto “Beckenbauer”) e Antonio Ranieri (detto “Polifemo”, poi ammazzato), la situazione sembra essere tornata in un clima di relativa normalità, grazie anche al fatto che molti boss storici di quei vicoli sono stati arrestati o ammazzati.

La zona occidentale della città non è da meno per quanto riguarda numero di clan e influenza sul territorio. Tra le aree più “calde” si trovano il Rione TraianoPianura, e lo stesso quartiere Vomero, per anni definito quartiere-bene della città e considerato immune alle azioni dei clan, oggi preda di almeno quattro clan in guerra e saccheggiato dalla microcriminalità comune. Da citare, il cartello denominato Nuova camorra Flegrea, che imperversava a FuorigrottaBagnoliAgnano e Soccavo, ma che ha subito un duro colpo dopo il blitz del dicembre 2005, quando vi furono decine di arresti grazie alle rivelazioni del pentito Bruno Rossi detto “il corvo di Bagnoli”. A Pianura vi è stata in passato una violenta faida tra i clan Lago e Contino-Marfella, che ha portato a numerosi omicidi, tra i quali quello di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, due ragazzi poco più che ventenni uccisi per errore da un gruppo di fuoco del clan Marfella, perché stazionavano sotto la casa di Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago ed erano, quindi, “sospetti”.

Nella vasta area metropolitana ormai urbanisticamente saldata alla città, sono numerose le zone in mano ai gruppi camorristici, non solo per quanto riguarda i campi “classici” nei quali opera un clan mafioso (estorsioni, usura, traffico di droga), ma anche per quanto riguarda le amministrazioni comunali e le decisioni politiche (si vedano i numerosi comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche).

In alcune zone del Vesuviano e nel Nolano è riscontrata, a tutt’oggi, la presenza di potenti clan locali storicamente operativi sul territorio. Nondimeno, la morte e l’incarcerazione di numerosi storici boss locali (VollaroFabbrocino, i fratelli Russo, D’Avino, AlfieriCavaAbateGalasso e numerosi altri) sembra aver favorito la nascita e/o l’espansione di gruppi criminali autoctoni e della zona orientale di Napoli. La faida MazzarellaRinaldi, da San Giovanni a Teduccio, si è estesa sino alla zona Nolana/Vesuviana, ove sono presenti, in particolar modo nei comuni di Marigliano (soprattutto nel popoloso rione ‘Pontecitra’) e Somma Vesuviana (complice, per quel che concerne Somma Vesuviana, la perdita di potere del locale clan D’Avino, sfaldato da molti arresti e pesanti condanne), propaggini locali dei predetti clan.[60][61][62] A Somma Vesuviana, in località “Parco Fiordaliso”, risiedono presunti esponenti del clan Aprea-Cuccaro di Barra.[63]

In Campania, oltre all’hinterland napoletano per influenza sul territorio un ruolo di primo piano è occupato dal clan dei Casalesi, storico sodalizio dell’agro aversano in provincia di Caserta e ormai operativo in gran parte d’Europa; l’organizzazione infatti si pone come un grande cartello criminale di portata internazionale (come più volte riportato dalla DIA e DDA di Caserta e Napoli) gestito dalle famiglie Schiavone e Bidognetti (che hanno ereditato il potere di Bardellino dopo l’omicidio di questi) e dalle altre famiglie alleate che fungono da referenti per le varie province. Tra i vari clan che compongono il cartello è da segnalare il clan Belforte quale tiene il controllo sui traffici e le attività estorsive nei comuni di Marcianise e Maddaloni, e il clan La Torre; quest’ultimo attivo nella cittadina di Mondragone, nella zona di Baia Domitia e sul litorale domizio. Al 2013 si stimava che nella regione Campania operino 114 clan e 4.500 affiliati.[64]

Forme di camorra locale radicate sul territorio, sono presenti anche nella città di Salerno, principalmente nel quartiere Mariconda, dove è presente lo spaccio di sostanze stupefacenti[65] e nella omonima provincia, specialmente nell’Agro nocerino sarnese (zona già teatro, nel corso degli anni ’80, di numerosi regolamenti di conti consequenziali alla faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia e dove sono presenti vari clan camorristici)[66], a Cava de’ Tirreni, nella Valle dell’Irno e nella Piana del Sele[67][68][69]; in provincia di Avellino, dove agiscono piccoli gruppi dalle contenute dimensioni e sono egemoni i clan Cava e Graziano di Quindici, per molto tempo coinvolti in una cruenta faida che ha generato numerose vittime nell’area del Vallo di Lauro[70]; e nella provincia di Benevento, dove imperversano il clan Pagnozzi (presente anche in provincia di Avellino, specialmente in Valle Caudina), rispetto al quale sono subalterni piccoli gruppi minori, e il clan Sparandeo di Benevento, considerati egemoni nel Sannio. [71] [72][73][74][75]

Ipotesi definitorie

Nel Grande Dizionario Italiano dell’Uso (GRADIT) compaiono definizioni alte, come: «1a, organizzazione criminale di stampo mafioso, costituitasi con leggi e codici propri già durante il Seicento, e che attualmente esercita il controllo su attività illecite specialmente nell’area napoletana. 1b estens., associazione di tipo mafioso. 1c estens., associazione di persone prive di scrupoli che per vie illecite si procurano favori, guadagni o sim.: gira e rigira è tutta una c[amorra]!».

Altre definizioni considerate basse sono: «imbroglio», «chiasso», «cagnara».

Sebbene il termine sia impropriamente usato per indicare la società criminale nata a Napoli nel XIX secolo e conosciuta anche come Bella Società Riformata, oggi spesso si tende ad identificare con questo termine un’unica organizzazione criminale simile alla cupola mafiosa siciliana o ad altre organizzazioni di uguale stampo. In realtà la struttura della camorra è molto più complessa e frastagliata al suo interno in quanto composta da molti sodalizi diversi tra loro per tipo di influenza sul territorio, struttura organizzativa, forza economica e modus operandi.

Inoltre le alleanze fra queste organizzazioni, qualora si possano considerare tali semplici accordi di non belligeranza fra i numerosi clan operanti sul territorio, sono spesso molto fragili e possono sfociare in contrasti o vere e proprie faide o guerre di camorra, con agguati ed omicidi.

Struttura

Questa voce o sezione sull’argomento Sociologia non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Commento: L’intera sezione riguardante la struttura della camorra risulta completamente priva di riferimenti bibliografici puntuali, tanto più necessari, data la complessità e valenza degli argomenti esposti Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull’uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.

La camorra è organizzata in modo pulviscolare con centinaia di famiglie, o clan, ognuna delle quali è più o meno influente a livello territoriale in quasi tutti i comuni della provincia di Napoli e in molti comuni della regione, in particolare della provincia di Caserta. Queste organizzazioni si uniscono e si dividono con grande facilità rendendo ulteriormente difficoltoso il lavoro di “smantellamento” degli inquirenti e delle forze dell’ordine. Questa struttura, caratteristica della camorra fin dal dopoguerra, fu sostituita solo in un’occasione e solo temporaneamente: durante la lotta tra Nuova Camorra Organizzata (NCO) e Nuova Famiglia (NF), un conflitto scatenato da Raffaele Cutolo nel corso del quale la stragrande maggioranza dei clan dovette scegliere con chi schierarsi.

Tutte le volte che si è tentato di riorganizzare la camorra con una struttura gerarchica verticale si è preso come modello Cosa nostra. Questi tentativi sono sempre falliti per la tendenza dei capi delle varie famiglie a non ricevere ordini dall’alto. Per tale ragione è improprio parlare di camorra come un fenomeno criminale unitario e organico. Lo stesso termine “camorra”, quale entità criminale unitaria, è fuorviante, data la natura estremamente frammentata e caotica della malavita napoletana. Fanno eccezione alcuni determinati cartelli di alleanze, come quello dei Casalesi che è formato da una struttura verticistica composta da una dozzina di cosche con a capo 3 famiglie (Schiavone, Bidognetti, Zagaria-Iovine) e una cassa comune, o come l’Alleanza di Secondigliano. Ma anche all’interno di questi stessi cartelli sono nate, negli anni, violente faide che hanno coinvolto le stesse famiglie interne ai gruppi.

Economia

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Secondo recenti dati forniti dall’Eurispes, sembra che la camorra guadagni:

Attività illecite Valore
Traffico di droga 14.230 milioni €
Imprese e appalti pubblici 7.582 milioni €
Estorsione e usura 5.362 milioni €
Traffico di armi 4.066 milioni €
Prostituzione 2.258 milioni €
   

Il giro d’affari complessivo delle famiglie napoletane si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi e mezzo l’anno.

I dati Eurispes appaiono tuttavia incompleti poiché non considerano due settori cardine dell’economia camorrista: innanzitutto la produzione e la distribuzione di falsi (abbigliamento, CD-DVD, prodotti tecnologici) con canali e sedi in tutti i continenti.

Altro importante settore è quello dello smaltimento illegale dei rifiuti, sia industriali che urbani, attività estremamente lucrosa che secondo alcuni sta conducendo vaste zone di campagna nelle province di Napoli e Caserta verso un progressivo degrado ambientale. A titolo di esempio, che la campagna fra i comuni di Acerra, Marigliano e Nola, una volta rinomata in tutta la penisola come fra le più verdi e fertili, è da taluni ora indicata con il termine di “triangolo della morte“.

Il 25 luglio 2011 gli Stati Uniti d’America hanno varato un nuovo piano per il contrasto della criminalità internazionale (strategy to combat transnational organized crime) ed hanno individuato le 4 principali organizzazioni transnazionali più pericolose per l’economia americana posizionando la camorra al secondo posto dopo i Brother Circle russi e prima della Yakuza giapponese e dei Los Zetas messicani con un giro d’affari di 45 miliardi di dollari.[76] Le attività principali della camorra, secondo il governo americano, sarebbero la distribuzione di falsi e il narcotraffico. Per avere un’idea della pericolosità economica della camorra negli Stati Uniti basta pensare che altre organizzazioni italiane che hanno una presenza storica in America, come Cosa nostra e ‘ndrangheta, non vengono neanche menzionate.[77]

Secondo lo studio del 2013 condotto da Transcrime, centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, i ricavi delle mafie italiane ammonterebbero a circa 25,7 miliardi di euro l’anno. Di questi, il 35% è appannaggio della Camorra, il 33% della ‘ndrangheta, il 18% di Cosa nostra e l’11% della Sacra corona unita. La Camorra avrebbe perciò la fetta di ricavi più larga all’interno del mercato criminale italiano, superando di poco le organizzazioni calabresi e quasi “doppiando” quelle siciliane.[78]

I rapporti con le istituzioni

Questa voce o sezione sull’argomento Campania è ritenuta da controllare. Motivo: A riprova della presunta collusione tra ambienti malavitosi e politici campani si citano dichiarazioni di pentiti e un processo concluso con assoluzione; un articolo del Mattino non più disponibile; l’opinione di un blog. Fonti più robuste sono fortemente necessarie Partecipa alla discussione e/o correggi la voce. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.

Numerosi sono stati in passato i contatti tra i gruppi camorristici e la politica locale e nazionale. All’inizio degli anni novanta i pentiti Pasquale Galasso e Carmine Alfieri fecero dichiarazioni che misero sotto accusa Antonio Gava, potente capo della corrente dorotea e dirigente della Democrazia Cristiana, successivamente assolto. Secondo l’ex procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, il 30% dei politici campani è colluso con la camorra.[79] Il dato incrementa notevolmente se si conta che, solo nella Provincia di Napoli, di 51 comuni su 92 sono stati sciolti o interessati da provvedimenti per infiltrazioni camorristiche, con pesanti condizionamenti sulla spesa pubblica e l’imprenditoria legata agli appalti.[80]

Dal 1991, data dell´entrata in vigore della legge, ad oggi sono stati sciolti per camorra in Campania circa 86 comuni. Una media di 4 comuni ogni anno.[81]

ASL

Le giunte comunali non sono le uniche istituzioni ad essere state oggetto di scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Nell’ottobre del 2005, infatti, primo caso in Italia, fu sciolta dal Consiglio dei Ministri l’Azienda sanitaria locale “Napoli 4”, che comprendeva ben 35 comuni del napoletano suddivisi in 11 distretti sanitari: Poggiomarino, Casalnuovo di Napoli, Nola, Marigliano, Roccarainola, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Palma Campania, Volla, Acerra e Pomigliano d’Arco, per un bacino di utenti di circa seicentomila abitanti.[89]

Eventi famosi

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Faide

  • prima faida di Afragola, tra i Moccia e i Giugliano: avvenne prima dello scontro fra la NCO e la NF; all’epoca i due eserciti in guerra erano i Moccia e i Giugliano, anch’essi di Afragola. Raffaele Cutolo avrebbe voluto fare un favore alla famiglia Moccia facendo ammazzare l’avvocato Giulio Battimelli.
  • faida tra la NCO e la Nuova Famiglia: guerra che scoppiò dopo che l’8 dicembre 1978 le principali famiglie malavitose napoletane decisero di confederarsi in un unico cartello denominato Nuova Famiglia per combattere lo strapotere di Raffaele Cutolo. Fu, di gran lunga, la più violenta per numero di morti ammazzati: nel 1979 si registrarono 71 omicidi; 134 l’anno successivo, 193 nel 1981, 237 nel 1982, 238 nel 1983, 114 nel 1984 (987 in tutto). La guerra iniziò già nel 1978, anche se di fatto fu il 1980, a sancire l’inizio dell’eccidio che si sarebbe venuto a verificare nel periodo 1978-1983, ovvero quando in ballo non ci fu più solo la scelta di Cutolo di distaccarsi dai siciliani, ma i soldi provenienti dal dopo-terremoto dell’Irpinia nel 1980, la Fratellanza napoletana o Onorata fratellanza, come si chiamava fino a quel momento divento la Nuova Famiglia o NF e non inglobò più solamente i clan: Giuliano, Vollaro e Fabbrocino, che fino a quel momento avevano combattuto Cutolo, ma a poco a poco li seguirono anche Gli Zaza, gli Alfieri, i Galasso, i Bardellino (i futuri casalesi), i Nuvoletta, i Gionta, nel 1981 anche i Misso e via via molti altri. La guerra si concluse dopo il maxi-blitz contro la NCO avvenuto il 17 giugno 1983, anche se ci furono dei colpi di coda alla fine del ’83 e intorno alla meta dell’84 come: l’omicidio di Gateano Ruffa (22 ottobre 1983), l’omicidio di Giovanni Bifulco (30 dicembre 1983) e l’omicidio di Vincenzo Palumbo e Rosa Martino (14 maggio 1984), tutti ovviamente cutoliani dato che la NCO non poteva più reagire per mancanza di una organizzazione interna. La guerra fu vinta nel 1983 dalla Nuova Famiglia.
  • faida tra i Giuliano e i Misso: combattuta tra il 1979 e il 1984, iniziò quando Luigi Giuliano chiese al suo vecchio amico Giuseppe Misso di schierarsi in favore suo contro Cutolo, ma questi si rifiutò perché non voleva schierarsi con nessuna delle due fazioni, allora i Giuliano per ripicca gli chiesero il pizzo e la risposta di Misso fu alquanto brusca in quanto sequestrò i parenti di Giuliano in un basso e li picchiò, e nonostante nel 1981 Giuseppe Misso decise di schierarsi contro Cutolo la guerra di camorra andò avanti lo stesso infatti il 24 settembre 1983 avvenne il triplice omicidio di Domenico Cella, Ciro Lollo e Ciro Guazzo, uccisi alla Sanità. Motivo dell’azione, una rappresaglia contro il clan rivale dei Giuliano che aveva imposto la chiusura delle sedi del Movimento sociale alla Sanità.
  • faida tra i Giuliano e i Contini: combattuta nel 1984 tra il clan Giuliano e il nascente gruppo di Eduardo Contini e Patrizio Bosti (condannati poi proprio per un duplice omicidio avvenuto nel contesto di questa faida, quello dei fratelli Gennaro e Antonio Giglio). Il tutto cominciò per una storia di controllo di una bisca della zona dell’Arenaccia.[90]
  • faida di Quindici: faida decennale tra le famiglie Graziano e Cava del comune di Quindici, in provincia di Avellino. Iniziata negli anni ottanta si protrae ancora oggi.[91]
  • prima faida di CastellammareUmberto Mario Imparato contro il Clan D’Alessandro. Questa faida portò a diverse decine di agguati mortali, tra cui quello di Michele D’Alessandro in cui morirono quattro suoi guardaspalle (lui si salvò per miracolo) in viale delle Terme a Castellammare di Stabia.[92]
  • prima faida dei Quartieri Spagnoli: combattuta tra i clan Mariano, detti i picuozzi, e Di Blasi, detti i faiano, alla fine degli anni ottanta; fu una delle guerre più cruente di quel periodo, gli agguati mortali furono diverse decine.[93][94]
  • faida tra i Giuliano e l’Alleanza di Secondigliano: violento scontro avvenuto tra i due potenti gruppi nel 1990. Culminò con l’omicidio di Gennaro Pandolfi, dei Giuliano, e del figlio Nunzio Pandolfi, di appena due anni.[95]
  • faida tra i Clan Gallo-Cavalieri e i Gionta: combattuta tra i clan Gionta e il Clan Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata. A scatenare la faida, che continua tuttora, malgrado le inchieste della Procura antimafia e l’incessante lavoro degli investigatori, fu il duplice omicidio di due affiliati ai Gallo, uccisi nel dicembre 1990, a cui fece seguito, pochi giorni dopo, l’agguato in cui persero la vita altre due persone appartenenti al gruppo dei Gionta. Dopo anni di pace tra i due clan, data dal fatto che si sono creati rapporti di parentela, nel 2006 la faida è riesplosa, arrivando all’apice nel 2007 con 4 morti in 2 giorni, dopo alcuni episodi verificatisi nel 2013, agguati e omicidi ai danni soprattutto dei Gionta, la faida sembra nuovamente cessata.[96][97]
  • prima faida di Pianura: svoltasi tra il 1991 e il 2000 tra i clan Lago, e i clan Contino e Marfella, alleati. Il primo atto risale al 1991: il 21 aprile, a Pianura, furono assassinati due spacciatori. Dopo l’arresto e il pentimento del boss Giuseppe Contino, a continuare l’opera è stato il clan Marfella. In questa seconda fase del conflitto è da inserire il duplice omicidio di Luigi Sequino e Paolo Castaldi, due ragazzi innocenti ammazzati per errore sotto l’abitazione dei Lago, perché scambiati dai sicari dei Marfella per due vedette del clan rivale.
  • prima faida di Ercolano: guerra tra gli Esposito e gli Ascione, combattuta quasi interamente nel 1990; iniziò con l’omicidio del boss Antonio Esposito e uscirono perdenti gli Esposito dopo l’agguato mortale ai danni del reggente del clan Salvatore Esposito (1960 – 1993), anche se di fatto l’omicidio di Delfino Del Prete, aveva già deciso le sorti della guerra.[98]
  • faida tra i Misso e l’Alleanza di Secondigliano: faida portata avanti dal boss Giuseppe Misso e dai vertici dell’Alleanza di Secondigliano. La situazione degenerò dopo il duplice omicidio di Alfonso Galeota e Assunta Sarno, moglie di Giuseppe Misso, nel 1992.[99]
  • seconda faida dei Quartieri Spagnoli: dopo la prima faida, che si concluse senza un vincitore netto, i Mariano dovettero affrontare un gruppo di scissionisti al proprio interno guidati dai boss Antonio Ranieri (detto Polifemo, poi ammazzato) e Salvatore Cardillo (detto Beckenbauer); questi ultimi due furono seguiti da un nugolo di fedelissimi. La violenta faida che ne seguì portò di fatto alla dissoluzione dello stesso clan Mariano a seguito di numerosi omicidi, pentimenti e blitz con decine di arresti negli anni 1993 e 1994.[94][100][101][102]
  • seconda faida di Ercolano: faida decennale che vede coinvolti i clan Ascione e Birra. È una delle faide più cruente in termini morti ammazzati. In ballo ormai non c’è più soltanto il controllo del territorio: la guerra di camorra va avanti perché tra i malavitosi delle due famiglie c’è un odio profondo e radicato. Nella faida sono coinvolti anche i Papale. Dopo anni di lotta tra i due clan e gli innumerevoli arresti che hanno decimato entrambe le fazioni ad aver vinto la faida sarebbero gli Ascione-Papale, sebbene in un primo momento davano come camorra vincente la “cuparella”, tanto è che in un certo periodo anche gli Ascione-Papale dovevano rifornirsi di droga da loro. La vera svolta fu nel 2007, dopo l’omicidio di Antonio Papale, quando i “Bottone” decisero di vendicare il fratello morto, tant’è vero che dopo tale episodio o giù di lì, si conteranno 10 omicidi e altrettanti tentati omicidi avvenuti tra il marzo 2007 e il gennaio 2011, tutti contro il clan Birra, mentre quest’ultimo non riuscirà a mettere a segno nemmeno un omicidio in favore loro. Il clan Birra, di fatto, non esiste più. Chi non si è pentito o è in carcere o è morto ammazzato, mentre il clan Ascione è ancora operante a Ercolano, forte dell’alleanza con i Falanga di Torre del Greco.[103][104]
  • prima faida interna ai Casalesi: combattuta nella seconda metà degli anni novanta tra la famiglia Bidognetti e il clan scissionista capeggiato da Antonio Cantiello. Vide il rogo di San Giuseppe, quando nella notte di San Giuseppe del 1997 fu incendiato il bar Tropical ad Ischitella (il cui gestore aveva rifiutato, per ordine degli stessi Bidognetti, di installare all’interno dell’esercizio alcuni video-poker commissionati dalla famiglia Cantiello), in cui morì, bruciato vivo, il giovane cameriere del locale, Francesco Salvo.[105]
  • seconda faida interna ai Casalesi: scontro tra le famiglie del cartello e la fazione scissionista guidata dal boss Giuseppe Quadrano (poi pentitosi).[106][107]
  • faida tra i Licciardi e i Prestieri: conosciuta anche come la faida della minigonna, fu combattuta tra i clan Prestieri e Licciardi e portò ad una ventina di morti in pochi mesi. Tutto cominciò infatti in una discoteca per una battuta di troppo tra due gruppi di giovani sul vestito troppo succinto di una ragazza. I due gruppi di giovani appartenevano a clan di camorra, questo portò prima alla morte del giovane Vincenzo Esposito detto ‘o principino, pupillo della famiglia Licciardi, e poi a quella di numerosi affiliati dei Prestieri come ritorsione.[108]
  • faida tra i Mazzarella e i Rinaldi: un tempo alleati, i Mazzarella da un lato, e dall’altro i Rinaldi, famiglia storica del rione Villa di San Giovanni a Teduccio, fino al 1989 fedelissimi di Vincenzo Mazzarella e fratelli. Tutto filò liscio fino a quando un boss dei Rinaldi non cominciò ad essere troppo ingombrante e fu ucciso. Quest’agguato portò ad una guerra con decine di morti protrattasi fino ad oggi.[109]
  • faida tra gli Altamura e i Formicola: conflitto violentissimo durato anni svoltosi nel territorio di San Giovanni a Teduccio. Più che per motivi di predominio criminale, la faida è stata combattuta per rancori di tipo familiare. La guerra decapitò entrambe le famiglie, compresi i due boss, e si fece sempre più feroce.[110]
  • faida tra i Cuccaro e i Formicola: guerra a cui sono riconducibili diversi episodi di sangue. Alla base dei sanguinosi contrasti c’è l’agguato mortale contro Salvatore Cuccaro, potente numero uno della cosca familiare di Barra nonostante avesse soltanto 31 anni, avvenuto il 3 novembre del 1996.[111]
  • prima faida di Forcella: detta anche “faida tra la Forcella di sopra e la Forcella di sotto”, fu uno scontro interno al clan Giuliano che ebbe luogo a metà anni novanta; da una parte i figli di Pio Vittorio Giuliano, dall’altra i figli di Giuseppe Giuliano. Ci andò di mezzo, tra gli altri, anche il patriarca Giuseppe, detto zì Peppe, 63 anni, ammazzato nel corso di un clamoroso agguato a Forcella il 9 luglio del 1998.[112]
  • prima faida della Sanità: fu combattuta negli anni 1997 e 1998 tra il clan Misso e i clan, alleati tra loro, Tolomelli e Vastarella. Dopo numerosi omicidi, tra cui quello del boss Luigi Vastarella, vi fu l’atto finale con l’autobomba, una Fiat Uno imbottita di tritolo, scoppiata in che doveva uccidere due boss dei Misso e che invece portò ad undici feriti innocenti.[113]
  • faida tra i Sarno e i De Luca Bossa: questa faida può essere considerata come una sorta di “spin-off” della faida tra i Misso e l’alleanza di Secondigliano, essendo i primi alleati dei Sarno e i secondi inglobati nell’Alleanza. Dopo numerosi omicidi, la faida culminò con l’autobomba di Ponticelli del 1998, in cui morì un nipote del boss Vincenzo Sarno (vittima predesignata dell’agguato).[114]
  • terza faida dei Quartieri Spagnoli: fu la guerra combattuta, a fine anni novanta e inizio anni duemila, tra il clan Di Biasi, rimasto il clan dominante ai Quartieri dopo la dipartita interna dei Mariano, e i Russo, figli del boss Domenico Russo, detto Mimì dei cani. Numerosi omicidi tra cui quelli dei due patriarca, Francesco Di Biasi, padre dei faiano, e lo stesso Domenico Russo.[94][115]
  • faida dei quartieri collinari Vomero-Arenella: combattuta nei due quartieri bene della città, fino ad allora considerati immuni dalla malavita organizzata; verso la metà degli anni novanta lo storico clan capeggiato da Giovanni Alfano si scisse, formando due distinti schieramenti. Da un lato, gli affiliati di vecchia militanza al gruppo Alfano, dall’altro quelli rimasti fedeli al pluri-pregiudicato Antonio Caiazzo. Diversi sono stati gli omicidi commessi nel corso della faida, conclusasi, però, con un ultimo efferato delitto, tristemente noto come la strage dell’Arenella, avvenuta l’11 giugno 1997, in cui perdeva la vita l’innocente Silvia Ruotolo, che si trovò nel mezzo della sparatoria in quanto stava riportando il figlio a casa dopo averlo ripreso all’uscita della sua scuola, il tutto sotto gli occhi dell’altra figlia della donna, che assistette alla morte della madre dalla terrazza di casa sua; la donna era cugina dei giornalisti Guido e Sandro Ruotolo. Le immediate indagini portavano, in tempo record, all’arresto di tutti i componenti del commando e del mandante: Giovanni Alfano.[116]
  • seconda faida di Forcella: scoppiò in seguito all’avvento dei Mazzarella a Forcella; alcuni componenti dei Giuliano (tra cui Ciro Giuliano ‘o barone[117]) non accettarono di buon grado l’entrata in scena dei Mazzarella. Inevitabile la spaccatura all’interno dell’organizzazione e soprattutto all’interno della famiglia; i Mazzarella si allearono con alcuni personaggi di buon livello della camorra. Dall’altra si organizzarono, per combattere il clan Mazzarella, altri giovanissimi imparentati con i Giuliano. Questo portò ad alcuni omicidi, tra cui quello dello stesso Ciro Giuliano e di Annalisa Durante, vittima quattordicenne innocente morta in un agguato con obiettivo un nipote della famiglia Giuliano.[118]
  • terza faida interna ai Casalesi: combattuta dal 2003 al 2007 tra le famiglie Tavoletta-Ucciero e Schiavone-Bidognetti. Vide la “strage di San Michele”, del 29 settembre 2003, con due morti ammazzati e tre feriti in un solo agguato.[119][120][121]
  • faida di Chiaiano: conflitto svoltosi nel corso del 2003 e 2004 a Chiaiano tra il clan Stabile e il clan Lo Russo, in precedenza alleati sotto la bandiera dell’Alleanza di Secondigliano. Tra gli agguati mortali, si ricorda quello avvenuto sulla Tangenziale di Napoli il 1º giugno del 2004, quando vennero uccisi un uomo che si trovava su un’ambulanza perché ferito a causa di un precedente agguato, e il secondo che lo seguiva in auto.[122]
  • seconda faida di Castellammare: combattuta tra il clan D’Alessandro, predominante a Castellammare di Stabia, e il clan Omobono-Scarpa dal 2003 al 2005.[123]
  • Prima faida di Scampia: guerra svoltasi tra l’ottobre 2004 e il settembre 2005 che portò a quasi un centinaio di morti ammazzati, è stata, dopo quella combattuta negli anni ottanta tra la NCO cutoliana e la Nuova Famiglia, la faida camorristica che suscitò maggior clamore mediatico e che accese nuovamente i riflettori dei mass-media nazionali e internazionali sulla malavita organizzata napoletana dopo molti anni di disinteressamento; il conflitto si scatenò quando vari gruppi scissionisti del clan Di Lauro decisero di staccarsi dalla casa madre dopo che i figli del boss Paolo Di Lauro avevano deciso di sostituire alcuni dei leader storici nei principali ruoli chiave con gente a loro più fidata. Questa guerra stravolse gli equilibri criminali della zona nord di Napoli e portò alla nascita di altri gruppi criminali indipendenti tutti federati nel cosiddetto cartello degli scissionisti di Secondigliano (detti anche Spagnoli, a causa della latitanza in Spagna di uno dei leader del sodalizio), chiamato in seguito anche clan Amato-Pagano. Tra i tanti omicidi avvenuti all’interno della faida uno dei più cruenti fu quello di Gelsomina Verde, una ragazza di 22 anni totalmente estranea ad ambienti criminali, torturata, uccisa e poi bruciata da dei sicari del Clan Di Lauro solo perché ex fidanzata di uno scissionista.[124]
  • faida tra gli Aprea e i Celeste-Guarino: combattuta nella zona di Barra tra il clan Aprea e quella che secondo gli investigatori era la fazione scissionista dei Celeste-Guarino negli anni 2005 e 2006.[125]
  • faida tra il clan Mazzara e il clan Caterino-Ferriero: svoltosi nel comune di Cesa tra il 2005 e il 2009 per il controllo degli affari illeciti nel territorio comunale.[126]
  • seconda faida della Sanità: combattuta dal 2005 al 2007 tra il clan Misso e la fazione scissionista dei Torino, appoggiati dai Lo Russo di Miano. Più di venti omicidi in due anni, stravolse completamente gli equilibri della camorra nella zona della Sanità, di Materdei, dei Tribunali. Questa faida portò alla dissoluzione di entrambi i gruppi, dopo i pentimenti dei boss Emiliano Zapata Misso, Giuseppe Misso junior e Michelangelo Mazza per i Misso, e di Salvatore Torino e altri elementi di spicco per la fazione opposta.[127][128][129]
  • Seconda faida di Scampia: iniziata ad agosto 2012 e finita a dicembre dello stesso anno, contò decine di vittime. La nuova faida vedeva contrapposto il cartello degli Scissionisti ad una sua fazione interna, i cui componenti del clan sono stati ribattezzati Girati della Vanella Grassi (dal nome della via del quartiere dove hanno la base operativa e dal termine girato che in gergo camorristico significa colui che ha tradito) oppure gruppo della Vinella Grassi (soprannominata anche così in gergo camorristico) che si sono alleati con il clan Di Lauro (clan spodestato dagli Scissionisti a seguito della faida precedente); tra le vittime ci sono stati il boss degli scissionisti Gaetano Marino (fratello del boss Gennaro Marino detto Genny ‘O McKay), ucciso il 23 agosto del 2012 a Terracina dove si trovava in vacanza con la famiglia,[130] Pasquale Romano, ragazzo innocente ammazzato per errore il 15 ottobre 2012 a Napoli nel quartiere di Marianella, perché scambiato per uno spacciatore (vero bersaglio dei killer) a cui assomigliava[131] e Luigi Lucenti, pregiudicato di 50 anni ucciso con tre colpi di pistola il 5 dicembre 2012 da due killer in un cortile di un asilo di Scampia (dove in quel momento era in corso l’annuale concerto natalizio dei piccoli alunni), dove si era rifugiato per sfuggire all’agguato; proprio questo episodio causò molto scalpore e indignazione nell’opinione pubblica, tanto che la faida s’interruppe proprio a seguito di esso. I vincitori di questa faida furono i Girati, dato che il 15 dicembre 2012 il lancio di alcune bombe a mano da parte degli Abete-Abbinante-Notturno fece calare gli appoggi tra la gente di Scampia al clan e ne decretò la sconfitta dal punto di vista militare.
  • seconda faida di Pianura: iniziata a fine giugno 2013 e finita nel medesimo anno. La faida conta molte vittime.[132]
  • terza faida di Forcella: iniziata a marzo 2013 e terminata nel il 2 luglio 2015 con l’omicidio del baby-boss Emanuele Sibillo (ottobre 1995 – 2 luglio 2015), la faida vedeva contrapposti da un lato il clan Giuliano (figli e nipoti di Giuseppe), il clan Mazzarella, il clan Del Prete ed il clan Buonerba, dall’altro la cosiddetta Paranza dei bambini, così chiamata per via della giovane o giovanissima età dei suoi componenti, afferenti al cartello camorristico formato dai giovani della famiglia Giuliano (nipoti e pronipoti di Pio Vittorio), in conflitto con i loro parenti da molti anni, affiancati dai clan Sibillo, Brunetti e Amirante, quest’ultimi alleati del clan Ferraiuolo-Stolder e appoggiati esternamente dal gruppo Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, per il controllo dei rioni di Forcella, Maddalena e Duchesca. La faida si conclude con la cacciata dei Mazzarella da San Giovanni a Teduccio e la vittoria della Paranza dei Bambini a Forcella, nonostante l’agguato mortale ai danni del boss Sibillo.[133][134]
  • terza faida di Scampia: iniziata ad ottobre 2015 e tuttora in corso, più che una nuova faida, è la prosecuzione di quella precedente, conclusasi senza vincitori e vinti, ma solamente interrotta a causa della grande attenzione mediatica derivata da alcuni episodi di sangue verificatisi al suo interno; dalla ripresa delle ostilità si contano già diversi agguati mortali da parte di entrambe le fazioni (composte prevalentemente da giovanissimi e da donne, che hanno preso il posto dei boss arrestati e/o assassinati).[135]
  • Faida di Miano: iniziata nel settembre 2016 e tuttora in corso, vede contrapposti i clan Nappello (costola del estinto clan Lo Russo) e Stabile-Ferrara di Chiaiano, i primi sono sostenuti dai Licciardi, infatti dietro la mattanza di Miano ci sarebbe la regia occulta dei Licciardi.[136]
  • Faida tra i Vollaro e i Mazzarella: con l’omicidio di Ciro D’Anna, avvenuto il 23 dicembre 2019, è emersa la notizia che il clan Vollaro sarebbe in guerra con il clan Mazzarella, a causa degli interessi di quest’ultimo nell’espandere i loro territori nella zona di influenza dei Vollaro, ovvero la città di Portici storica roccaforte del clan. In passato c’erano già stati degli omicidi che si inquadrano nell’attuale scontro, risalenti addirittura all anno 2012, dall’omicidio di Vincenzo Cotugno, per poi passare all’omicidio di Lucio Sannino nel 2014, l’omicidio di Vincenzo Provvisiero nel 2017 e infine i tentati omicidi di Carlo Vollaro, nel 2018, e di Giovanni Chivasso, nel 2019.[137][138]

Stragi

Gli avvenimenti più importanti furono:

  • Strage di Torre Annunziata
  • Strage di Croce di Cava de’ Tirreni: avvenuta il 16 maggio 1987 e scaturita dalla faida tra i clan D’Agostino-Panella e Grimaldi di Salerno, nella strage, eseguita dal clan Grimaldi, morirono Corrado Gino Ceruso, di 37 anni, cognato del boss Amedeo Panella; Ferruccio Scoppetta, 21 anni; e il 24enne Vincenzo Gargano. La strage venne considerata come la risposta all’omicidio del nipote del boss Lucio Grimaldi, Giuseppe Nese, detto “Peppe o’ Niro”, occorso nel marzo del 1987[139].
  • Strage del Venerdì Santo di Torre del Greco: Il 1º aprile del 1988 in un locale di Torre del Greco (NA), furono uccise quattro persone, tra i quali il boss emergente Ciro Fedele; a compiere la strage furono alcuni esponenti del clan rivale dei Gargiulo che vollero così vendicare la precedente uccisione del loro capo-clan, Vincenzo Gargiulo.
  • Strage di Mariglianella: Il 27 settembre 1988, in una zona periferica del comune di Mariglianella, vengono trucidati i fratelli Carmine, Michele e Carlo Pizza, rispettivamente di anni 29, 23 e 21. I tre, di Piazzolla di Nola, pregiudicati e contigui al clan Alfieri, stavano recandosi ad un incontro al quale, oltre a loro, avrebbero dovuto prender parte alcuni appartenenti al clan. Ad un certo punto, l’auto a bordo della quale viaggiavano, una Alfa 2000, fu raggiunta da una pioggia di proiettili che li uccise. L’esecuzione fu particolarmente violenta, tanto che, a uno di loro, una scarica di pallettoni staccò la testa. La strage fu ordinata da Carmine Alfieri, che condannò a morte i tre fratelli in quanto rei di volersi staccare dal suo clan per mettersi in proprio[140][141].
  • Strage di Castellammare di Stabia: il 21 aprile 1989 tra Castellammare di Stabia e Gragnano (NA), un commando al servizio del boss Imparato tentò di uccidere il boss rivale, Michele D’Alessandro, nell’agguato morirono quattro guardaspalle del D’Alessandro, mentre lui, pur rimanendo gravemente ferito, riuscì a salvarsi.
  • Strage di Ponticelli: avvenuta il 12 novembre 1989 nel Bar Sayonara di Ponticelli, quartiere della zona est di Napoli; circa sei killer spararono con armi automatiche tra la folla uccidendo sei persone e ferendone un’altra. Due delle persone decedute erano semplici passanti, totalmente estranei ad ambienti criminali.
  • Strage di Pescopagano: avvenuta a Pescopagano, frazione di Mondragone (CE), il 24 aprile 1990 all’interno del Bar Centro; alla fine si contarono cinque vittime: tre tanzaniani, un iraniano ed un italiano ucciso per errore, e sette feriti, tra cui il gestore del bar e suo figlio quattordicenne, rimasto paralizzato perché colpito ad una vertebra.[142]
  • Strage dei Quartieri Spagnoli
  • Strage di Piazza Crocelle: avvenuta a Napoli, nel quartiere industriale di Barra, il 31 agosto 1991, nata probabilmente per futili motivi e per contenere le mire espansionistiche della famiglia Liberti, vide tre morti ammazzati, due feriti (tra cui un bambino di 8 anni) ed una donna anziana morta per infarto.[143]
  • Strage di Scisciano: Il 21 novembre del 1991 alcuni killer del clan Cava, a Spartimento di Scisciano, trucidano a colpi di Kalashnikov i cugini Eugenio (ex sindaco di Quindici, destituito per rapporti con la cosca Graziano) e Vincenzo Graziano, di 30 e 22 anni, nipoti del sindaco-boss di Quindici Raffaele Pasquale Graziano, e il 21enne Gaetano Santaniello, guardaspalle dei cugini Graziano. Il massacro, portato a termine con modalità estremamente efferate (i killer infierirono sui cadaveri dei malcapitati, arrivando a sfigurare Eugenio Graziano a colpi di kalashnikov), è stato uno dei più terribili atti della faida tra i Cava e i Graziano.[144]
  • Strage di Acerra: avvenuta ad Acerra (NA), il 1º maggio del 1992 in ambito della faida tra i Di Paolo-Carfora ed i Crimaldi-Tortora. Per vendicare l’uccisione del fratello del boss Di Paolo, un gruppo di sicari del clan uccise cinque persone e ne ferì altre due, sterminando così un’intera famiglia, compreso un ragazzino innocente di appena quindici anni.[145]
  • Strage del Bar Fulmine a Secondigliano: avvenuta a Napoli, nel quartiere di Secondigliano, all’ingresso del suddetto locale, il 18 maggio 1992. L’agguato costò la vita a cinque persone, mentre altre due vennero gravemente ferite.[146]
  • Strage di Pimonte: il 20 novembre del 1995, a Pimonte, comune dei Lattari, una zona da poco colpita da una cruenta faida che ha provocato quasi 100 morti ammazzati in due anni (quella tra gli Imparato e i D’Alessandro) e dove sono arroccati i fedelissimi del boss Mario Umberto Imparato, che fu ucciso proprio tra quelle montagne, in una masseria sta avvenendo un summit tra camorristi del luogo, un tempo legati al boss defunto Umberto Mario Imparato e poi al fratello Francesco (rimasto vittima di ‘lupara bianca’), che viene interrotto dalla Polizia e i Reparti Speciali dei NOCS, i quali penetrano nella masseria grazie all’aiuto di un delatore in passato affiliato al clan, poi ferito a colpi di pistola dal boss Afeltra, che gli spara dopo aver intuito il tranello. Nasce un feroce conflitto a fuoco, che vede contrapposti i tre criminali da una parte, e dall’altra parte poliziotti e Reparti Speciali dei Carabinieri. Alla fine, moriranno tre camorristi latitanti: Pasquale Afeltra, Giacomo Avitabile e Giovanni Zurlo[147].
  • Strage di Lauro
  • Strage di San Michele: maturata durante la faida tra il clan Tavoletta-Cantiello e la fazione dei casalesi facenti capo a Bidognetti, avvenne il 29 settembre 2003 a Villa Literno (CE); due sicari appartenenti ai Tavoletta-Cantiello tesero un agguato a cinque uomini dell’altra fazione, di questi due morirono (Vincenzo Natale, pregiudicato di 25 anni, e Giuseppe Rovescio di 24 anni) ed altri tre furono feriti.[52]
  • Strage di Casavatore: Il 31 gennaio 2005, avviene il triplice omicidio di Giovanni Orabona (Casavatore, 12 agosto 1981 – 31 gennaio 2005), Antonio Patrizio (Casavatore, 26 settembre 1979 – 31 gennaio 2005) e Giuseppe Pizzone (Casavatore, 4 luglio 1979 – 31 gennaio 2005) tutti e tre pregiudicati e affiliati al clan Ferone (clan vicino ai Di Lauro). La strage va a inserirsi nel contesto della prima faida di Scampia che vede contrapposti i clan Di Lauro con quello degli scissionisti, dopo tale episodio il clan Ferone passerà nelle file degli scissionisti e rappresenterà l’atto conclusivo della faida che vede la vittoria di questi ultimi.
  • Strage di Castel Volturno

I rapporti con le altre organizzazioni mafiose

Cosa nostra

Vari clan di camorra hanno intrattenuto rapporti, più o meno duraturi, con Cosa nostra. Elementi di spicco della mafia palermitana (come Salvatore Riina e Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano) si sono trovati a contatto con famiglie camorristiche come i Nuvoletta e gruppi facenti parte della Nuova Famiglia.

‘Ndrangheta

Nel corso del Novecento vi sono stati vari intrecci di favori e di cooperazione tra camorristi e ‘ndranghetisti. Negli anni settanta in occasione della prima guerra di ‘ndrangheta il boss reggino Paolo De Stefano chiede e ottiene da Raffaele Cutolo capo della Nuova Camorra Organizzata l’omicidio di Don Mico Tripodo, altro boss reggino in carcere a Napoli. Tra famiglie delle due organizzazioni vi furono anche doppie affiliazioni come quella del camorrista Antonio Schettini affiliato al clan di Giuseppe Flachi o di Franco Coco Trovato affiliato alla famiglia di Carmine Alfieri.[150] Roberto Cutolo, figlio di Raffaele Cutolo fu ammazzato a Tradate in Lombardia dalla ‘ndrangheta per una vendetta trasversale il 24 dicembre 1990. In cambio per la mafia calabrese i Fabbrocino e gli Ascione avrebbero ucciso Salvatore Batti, un camorrista fuggito a Napoli.[151]

Sacra Corona Unita

Nel 1981 Raffaele Cutolo, affidò a Vincenzo Esposito detenuto in quel periodo nel carcere di San Severo di Foggia e Pino Iannelli e Alessandro Fusco il compito di fondare in Puglia un’organizzazione diretta emanazione della Nuova Camorra Organizzata che prese il nome di Nuova camorra pugliese o NCOP (Nuova Camorra Organizzata Pugliese) che operò dagli anni ottanta a Foggia, Taranto e Lecce. Tra gli esponenti vi è anche Antonio Modeo e Aldo Vuto capi della mafia tarantina.

Questa associazione prese piede soprattutto nel foggiano a causa della vicinanza territoriale e dei contatti preesistenti tra esponenti della malavita locale e i camorristi campani. Tuttavia questa iniziativa venne vista con sospetto dai malavitosi di altre zone della Puglia. Come risposta al tentativo di Cutolo di espandersi in Puglia, si tentò di dar vita ad un’associazione malavitosa di stampo mafioso formata da esponenti locali. Con la sconfitta dei cutoliani in Campania, scomparvero anche in Puglia, e l’organizzazione dominante divenne quella della Sacra corona unita fondata dagli ‘ndranghetisti.

Banda della Magliana

La camorra intrattiene rapporti con le associazioni mafiose operanti nella capitale, quali la banda della Magliana, in particolare con Massimo Carminati, i Fasciani e CasamonicaRaffaele Cutolo, nel corso di alcuni processi, indicò Nicolino Selis – uno dei capi della Banda della Magliana, che capeggiava un gruppo operante su Ostia – quale referente della NCO nella Capitale.

Triade cinese

Secondo l’esperto di organizzazioni terroristiche e del crimine organizzato di tipo mafioso Antonio De Bonis, esiste una stretta relazione tra le Triadi e la Camorra e il porto di Napoli è il punto di approdo più importante delle attività gestite dai gruppi cinesi in cooperazione con la camorra. Tra le attività illegali in cui le due organizzazioni criminali lavorano insieme c’è il traffico di esseri umani e immigrazione clandestina finalizzata allo sfruttamento sessuale e lavorativo di cinesi nel territorio italiano. C’è il traffico di stupefacenti. E c’è il riciclaggio di capitali illeciti attraverso l’acquisto di immobili, esercizi commerciali e imprese.[152]

Nel 2017, gli investigatori hanno scoperto un piano tra la camorra e le bande cinesi. Loro esportavano rifiuti industriali dall’Italia alla Cina che hanno garantito ricavi per milioni di euro per entrambe le organizzazioni. I rifiuti industriali lasciarono Prato e arrivarono a Hong Kong. Tra i clan coinvolti in questa alleanza c’erano il clan dei Casalesi, il clan Fabbrocino e il clan Ascione.[153]

Mafia nigeriana

I rapporti tra camorra e mafia nigeriana riguardano soprattutto il traffico di droga e la prostituzione. In particolare, i camorristi permettono ai clan nigeriani di organizzare la tratta delle donne sul territorio in cambio di una quota sui guadagni.[154]

Mafia albanese

Dalla seconda relazione semestrale del 2010 della DIA vengono illustrati contatti tra la mafia albanese e il clan Mazzarella, con gli Scissionisti di Secondigliano e il clan Serino di Sarno.

Organizzazioni

Boss

Vittime famose

Note

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  • Saviano, Roberto. Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra. Milano, Italia: Arnoldo Mondadori, 2006, 331 p., 21 cm.
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  • Marina D’Amato La mafia allo specchio la trasformazione mediatica del mafioso FrancoAngeli editore, Milano 2013.
  • Luana de Francisco, Ugo Dinello, Giampiero Rossi Mafia a Nord Est. Milano, Bur Biblioteca Universale Rizzoli, 2015, ISBN 978-88-17-08077-4

Voci correlate