FIAMMETTA BORSELLINO – RASSEGNA STAMPA – Aprile 2021

 

SPECIALE MAFIA LA RICERCA DELLA VERITA’ CONDOTTO DA ENRICO MENTANA CON FIAMMETTA BORSELLINO, MICHELE SANTORO, ANDREA PURGATORI, ANTONIO DI PIETRO

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Fiammetta Borsellino: sulla strage di via d’Amelio nient’altro che la verità

di Damiano Aliprandi. Il Dubbio, 30 aprile 2021

Fiammetta Borsellino, nella trasmissione di Enrico Mentana su la7 ha parlato del dossier “mafia-appalti”, contestualizzando fatti e testimonianze. Dovevano essere le rivelazioni, dichiarate però inattendibili dalla procura di Caltanissetta, del pentito Maurizio Avola a essere l’oggetto principale dello “Speciale mafia” di la 7, condotto da Enrico Mentana, ma a rubare la scena e spostare l’attenzione sulle cause della strage di via D’Amelio che hanno portato all’uccisione di Paolo Borsellino, è stata la figlia Fiammetta Borsellino.

Per la prima volta, in prima serata, si è parlato del dossier mafia-appalti e della sua gestione da un punto di vista totalmente inedito. A farlo, appunto, non sono stati i giornalisti presenti, Michele Santoro (autore del libro “Nient’altro che la verità”, uscito ieri) e Andrea Purgatori che sposa in toto il teorema trattativa e la caccia alle “entità” non meglio definite, ma una donna che ha deciso di andare controcorrente, non adeguarsi alla narrazione unica di una certa antimafia, ma semplicemente attenendosi ai fatti riscontrati nel tempo. L’unica a sostenerla, visto che ne è stato testimone, è stato l’ex giudice di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Ed è lui che ha ricordato il fatto che Paolo Borsellino gli chiese di fare presto per collegare le indagini siciliane con quelle di tangentopoli. Parliamo di grossi gruppi imprenditoriali del nord che erano collegati nella gestione mafiosa degli appalti. Ribadendo che in più occasioni il capitano dei Ros De Donno si rivolse a lui perché si interessasse del dossier mafia-appalti, dal momento che la procura di Palermo lo ignorava. Non solo.

Contestualizzate le testimonianze di Agnese Borsellino – Per la prima volta, grazie al suo accorato e coraggioso intervento, Fiammetta Borsellino ha contestualizzato le testimonianze della madre, Agnese, su ciò che le disse Paolo Borsellino. Testimonianze che nel tempo sono state forzate, adattate al teorema giudiziario, manipolando anche taluni passaggi. Una su tutte quella che riguarda i magistrati: ma diversi giornalisti e taluni pm dimenticano di riportarla nella sua interezza. Ci ha pensato Fiammetta Borsellino a ricordarlo, creando un palpabile imbarazzo in studio. Ricordiamo la vicenda.

A ventiquattr’ore dai fatti di via d’Amelio, Borsellino passeggiava senza scorta sul lungomare di Carini. Con lui, soltanto Agnese, sua moglie. “Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”. Queste parole esatte di Agnese furono messe a verbale in sede giudiziaria il 18 agosto 2009, preceduta da una frase: “ricordo perfettamente”. In un Paese normale dovrebbe essere compito dei giornalisti d’inchiesta a riportare i fatti, ma a farlo ci ha dovuto pensare la figlia di Paolo Borsellino.

Borsellino quando era a Marsala già conosceva il dossier mafia-appalti – Altro scoop televisivo, ma sempre di Fiammetta Borsellino e non dei giornalisti presenti. Spiega che c’è un passaggio della sentenza trattativa che riporta il falso. Quale? Ecco cosa scrisse la Corte nella sentenza: i giudici spiegano come non vi è la “certezza che Borsellino possa aver avuto il tempo di leggere il rapporto mafia-appalti e di farsi, quindi, un’idea delle questioni connesse, mentre, al contrario, è assolutamente certo che non vi fu alcuno sviluppo di quell’interessamento nel senso di attività istruttorie eventualmente compiute o anche solo delegate alla P.G., che, conseguentemente, possano aver avuto risalto esterno giungendo alla cognizione di vertici mafiosi, così da allarmarli e spingerli improvvisamente ad accelerare l’esecuzione dell’omicidio”. Ebbene, Fiammetta Borsellino contesta aspramente questo passaggio, e lo fa con dati oggettivi. Ricorda che suo padre, quando era ancora alla procura di Marsala, ha subito voluto copia del dossier tanto da trovare spunto per sviluppare un filone di indagine sugli appalti di Pantelleria. Oltre a ciò, Borsellino stesso ha inviato il suo filone di indagine alla procura di Palermo pregando che confluisse nel dossier principale.

Uno degli imprenditori citati in mafia-appalti aveva i verbali di interrogatorio di Leonardo Messina – A quanto pare sarebbe rimasta lettera morta, tanto che Borsellino lo ha ribadito nuovamente durante la sua ultima riunione del 14 luglio. Senza parlare del suo interrogatorio al pentito Leonardo Messina nel quale ha riscontrato ciò che era già scritto nel dossier mafia-appalti: il presunto rapporto del gruppo Ferruzzi – Gardini con la mafia di Totò Riina, tramite i fratelli Buscemi. Ed ecco che Fiammetta Borsellino, durante lo speciale di Enrico Mentana, lancia un altro scoop. Un fatto singolare mai riportato da alcun giornale, né tantomeno negli innumerevoli servizi giornalistici d’inchiesta. È accaduto che uno degli imprenditori che compaiono nel dossier mafia-appalti, è stato fermato dai Ros e gli hanno rinvenuto nello zaino i verbali di Leonardo Messina che erano riservati.

Chi gliel’ha dati? Di certo non Paolo Borsellino. Ma com’è detto gli animi, durante la trasmissione tv, si sono surriscaldati e Purgatori ha mosso delle obiezioni a Fiammetta Borsellino sul fatto che i Ros avrebbero inviato i nomi dei politici in un secondo momento. Ed ecco cheviene rispolverata la teoria della doppia informativa. A questo punto per decostruire questa storia, trita e ritrita, basterebbe citare ciò che scrisse la Corte d’appello che ha assolto Calogero Mannino relativamente al processo stralcio sulla presunta trattativa Stato-mafia.

Vale la pena riportarne qualche passaggio, perché è relativa proprio alla tesi dell’accusa per far credere che i Ros volessero proteggere i politici, in funzione della trattativa. “Non può tacersi il fatto che – scrive la Corte in merito a mafia appalti – un riverbero della grande rilevanza dell’indagine si ha in numerosi atti presenti nel processo (…) E deve inoltre osservarsi che la ricostruzione dell’organo dell’accusa appare in contrasto logico irrimediabile col fatto che i magistrati che dirigevano l’indagine dovevano tenere il controllo e la direzione, appunto, degli atti degli investigatori da loro delegati, ivi comprese quelle intercettazioni che si afferma non essere state inserite nell’informativa presentata alla Procura, e che in ogni caso avrebbero dovuto gestire e garantire anche successivamente il più adeguato sviluppo di una così significativa investigazione, che coinvolgeva il sistema corruttivo delle spartizione degli appalti pubblici in Sicilia”.

La procura di Caltanissetta: non trovati riscontri sulle dichiarazioni di Avola – Poi va sul punto rispolverato da Purgatori: “È noto altresì che il Gip di Caltanissetta, investito della questione della gestione di quella indagine, arrivò alla conclusione di escludere l’ipotesi della doppia informativa”.

Tutto scritto nero su bianco. Nel frattempo, a proposito dello scoop di Michele Santoro, la procura di Caltanissetta conferma che l’anno scorso, Avola, sentito in un interrogatorio, ha riferito della sua presenza in via D’Amelio, “a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della collaborazione con l’autorità giudiziaria”. Il pool coordinato dal procuratore aggiunto Gabriele Paci ha subito iniziato l’indagine, alla ricerca di riscontri: “I conseguenti accertamenti – scrive ieri la procura nissena – finalizzati a vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono per contro emersi – precisano i pm – rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare”.

Quindi Santoro ha preso probabilmente un abbaglio, ma gli va dato atto che – al di là di Avola – ha riportato la mafia nella sua reale dimensione. Non eterodiretta, nessun terzo livello, ma autonoma e indipendente da qualsiasi altro potere. In fondo, è quello che Giovanni Falcone cercava di spiegare nei libri e nei suoi innumerevoli interventi.


 


30.4.2021 – Il racconto di Fiammetta Borsellino
Che fine ha fatto il dossier Mori, i dubbi sulla Procura di Palermo Durante lo speciale di Enrico Mentana su La Sette, nonostante i presenti in studio abbiano cercato di deviare il discorso, Fiammetta Borsellino ha mantenuto il punto concentrandosi sulle cause della strage di Via D’Amelio, ma soprattutto sulle anomalie che sarebbero avvenute all’interno dell’allora procura di Palermo retta da Pietro Giammanco. L’unica a sostenerla è stato l’ex magistrato Antonio Di Pietro, testimone di alcuni fatti ben circostanziati riguardanti il dossier mafia-appalti redatto dai Ros e nato su spinta di Giovanni Falcone. Dossier archiviato subito dopo la morte di Borsellino. Ed è stata Fiammetta che ha esordito: «Nella sentenza trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse: ma non è vero, perché lo conosceva benissimo». Una denuncia forte, tanto da far rabbrividire i presenti in studio abituati al racconto a senso unico sulla presunta trattativa. Di fatto, è stato violato un dogma di una certa Antimafia che, per dirla come Sciascia, è diventata uno strumento di potere. Il passaggio della sentenza trattativa, com’è detto, riguarda il fatto che Borsellino non avrebbe fatto in tempo nemmeno a leggere il contenuto del dossier. Ma Fiammetta è stata categorica: è una menzogna. E per corroborare la sua affermazione ricorda una circostanza documentata. Ricorda che suo padre chiese copia del dossier quando era ancora alla procura di Marsala. Ed è vero.In un verbale di assunzione di informazione, il capitano Raffaele Del Sole ha raccontato che, su richiesta di Borsellino, ha accompagnato presso la procura di Marsala l’allora collega Giuseppe De Donno in un periodo poco successivo al deposito del dossier mafia- appalti alla procura di Palermo. «Ricordo che nel corso dell’incontro – ha spiegato Del Sole – il procuratore Borsellino chiarì al De Donno i motivi per cui chiedeva copia del rapporto riconducendoli sostanzialmente alla pendenza di indagini che la procura di Marsala stava effettuando su alcuni appalti a Pantelleria. Fatti che erano stati ritenuti connessi alle indagini espletate dai Ros». Sempre il capitano Del Sole ha aggiunto che nel corso di tale incontro c’era anche il maresciallo Carmelo Canale, il quale avvalorò quanto riferito da Borsellino definendo con espressione metaforica il dossier mafia- appalti come il “cacio sui maccheroni”.  Leonardo Berneri — 30 Aprile 2021 IL RIFORMISTA

 

30.4.2021 – Il racconto di Fiammetta Borsellino Che fine ha fatto il dossier Mori, i dubbi sulla Procura di Palermo Durante lo speciale di Enrico Mentana su La Sette, nonostante i presenti in studio abbiano cercato di deviare il discorso, Fiammetta Borsellino ha mantenuto il punto concentrandosi sulle cause della strage di Via D’Amelio, ma soprattutto sulle anomalie che sarebbero avvenute all’interno dell’allora procura di Palermo retta da Pietro Giammanco. L’unica a sostenerla è stato l’ex magistrato Antonio Di Pietro, testimone di alcuni fatti ben circostanziati riguardanti il dossier mafia-appalti redatto dai Ros e nato su spinta di Giovanni Falcone. Dossier archiviato subito dopo la morte di Borsellino. Ed è stata Fiammetta che ha esordito: «Nella sentenza trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse: ma non è vero, perché lo conosceva benissimo». Una denuncia forte, tanto da far rabbrividire i presenti in studio abituati al racconto a senso unico sulla presunta trattativa. Di fatto, è stato violato un dogma di una certa Antimafia che, per dirla come Sciascia, è diventata uno strumento di potere. Il passaggio della sentenza trattativa, com’è detto, riguarda il fatto che Borsellino non avrebbe fatto in tempo nemmeno a leggere il contenuto del dossier. Ma Fiammetta è stata categorica: è una menzogna. E per corroborare la sua affermazione ricorda una circostanza documentata. Ricorda che suo padre chiese copia del dossier quando era ancora alla procura di Marsala. Ed è vero.In un verbale di assunzione di informazione, il capitano Raffaele Del Sole ha raccontato che, su richiesta di Borsellino, ha accompagnato presso la procura di Marsala l’allora collega Giuseppe De Donno in un periodo poco successivo al deposito del dossier mafia- appalti alla procura di Palermo. «Ricordo che nel corso dell’incontro – ha spiegato Del Sole – il procuratore Borsellino chiarì al De Donno i motivi per cui chiedeva copia del rapporto riconducendoli sostanzialmente alla pendenza di indagini che la procura di Marsala stava effettuando su alcuni appalti a Pantelleria. Fatti che erano stati ritenuti connessi alle indagini espletate dai Ros». Sempre il capitano Del Sole ha aggiunto che nel corso di tale incontro c’era anche il maresciallo Carmelo Canale, il quale avvalorò quanto riferito da Borsellino definendo con espressione metaforica il dossier mafia- appalti come il “cacio sui maccheroni”.  Leonardo Berneri — 30 Aprile 2021 IL RIFORMISTA

 

30.4.2021 Attilio Bolzoni: “Avola inattendibile”.Anche il giornalista Attilio Bolzoni, ex cima di La Repubblica ed oggi a il Domani, ha detto la sua: “Ogni volta che ci si avvicina a frammenti di verità c’è sempre qualche elemento ‘altro’ che interviene nelle indagini sulle stragi”. “Era abbastanza noto che Avola il 19 luglio del 1992, giorno della strage di via d’Amelio, non fosse a Palermo – ha detto Bolzoni all’Adnkronos – Non sapevo che il giorno prima fosse a Catania col braccio ingessato. Secondo me Avola è poco attendibile, poco credibile”. Subito dopo Bolzoni, a proposito delle parole di Fiammetta Borsellino (secondo la quale “nella sentenza ‘trattativa’ si dice una menzogna, una bugia, si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”), afferma: “Sul quel dossier ci sono sempre posizioni estreme. Quel dossier, che ha creato anni e anni di polemiche e dispute giudiziarie, quando fu presentato al giudice istruttore Giovanni Falcone ricordo che fosse un buon rapporto indiziario. Il problema è che poi non è stato sviluppato, è diventato materia di info-investigazioni, e spunta sempre immancabilmente nelle indagini sulle stragi, però è stato vagliato. Non credo che quel rapporto abbia molto a che fare con le stragi, dubito altamente che sia all’origine dell’accelerazione della strage di via d’Amelio. Che dovesse essere valutato meglio, è possibile, ma non credo sia all’origine della strage. Ci andrei un po’ più cauto nel considerarlo movente dell’accelerazione delle stragi”.

Anche perché, sottolinea Bolzoni, “bisogna inquadrare la vicenda in un discorso generale. Con la strage di via D’Amelio, infatti, comincia la fine della mafia stragista e di Cosa nostra corleonese. Di solito noi accomuniamo le due stragi, ma invece sono di segno opposto. La prima, che costò la vita a Falcone, è una strage di natura ‘stabilizzante’, la seconda, quella del 19 luglio ’92, ‘destabilizzante’. Con la seconda strage non c’è Stato siciliano capace di intendere e di volere che sia tornato a casa quel giorno senza pensare che quella era la fine di Riina e dei corleonesi. Era chiaro che con quella strage i corleonesi sarebbero finiti. Poi, infatti, in pochi mesi hanno preso tutti i latitanti. Tranne uno, Bernardo Provenzano, che è stato catturato nel 2006, tempo che ha permesso il traghettamento dalla Cosa nostra corleonese alla nuova vecchia cara Cosa nostra, quella di oggi, una Cosa nostra che si è riappropriata della sua natura, del suo Dna e non vuole sentire parlare di Corleone per i prossimi 300mila anni. A Palermo non è più scoppiato un mortaretto neanche per la festa di Santa Rosalia”. Quanto alla seconda affermazione di Fiammetta Borsellino (“i magistrati di allora dovevano indagare bene ma non lo hanno fatto”, e “volutamente si è guardato altrove”), Bolzoni commenta: “Che molti magistrati abbiano indagato male sulla strage, è la realtà delle cose, tant’è che dopo più di 15 anni c’è stata la revisione del processo. Già la revisione di un processo in sé è un fatto clamoroso, ma per un processo così clamoroso è clamorosissimo. Hanno fatto le indagini sulle indagini, sbugiardando il falso pentito Scarantino. E su di lui posso dare una testimonianza diretta. Su di lui, l’ho detto anche davanti alla dottoressa Borsellino, abbiamo delle responsabilità anche noi giornalisti, tre o quattro di noi sapevano benissimo, avevano gli strumenti per capire che quello era un falso pentito, solo che spesso in quegli anni eravamo impegnati su tanti fronti, e non sempre poi si ha a disposizione il giornale per sviluppare quello che uno pensa. Ma era abbastanza evidente, fin dal primo interrogatorio, che Scarantino fosse tarocco. Il problema è che ci hanno creduto procuratori, giudici di Corte d’Assise, di Corte d’Assise d’Appello e di Cassazione. La dottoressa Borsellino su questo ha ragione”. Da ANTIMAFIA DUEMILA 30.4.2021

 

29.4.2021 – Strage Borsellino e le accuse di Fiammetta. Quando si comincerà a indagare veramente?  E ora? Ora che un altro si è presentato alla nostra porta per raccontare la sua verità sulla strage di Via d’Amelio del 19 luglio 1992 in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta? Che facciamo? Ora che questo signore, con 80 omicidi alle spalle, racconta di aver preparato lui l’esplosivo per Borsellino e dice di non aver visto nessuno dei servizi segreti? Ora che è stato smentito dalla procura di Caltanissetta (Avola dice di essere a Palermo il 17 luglio 1992 ma era a Catania e aveva un braccio ingessato) che da anni si occupa di questa e altre stragi che ci diciamo? Nulla, non ci diciamo nulla. Perché forse nulla merita questa vicenda, assurda e opaca come tante altre che hanno attraversato quasi 30 anni di bugie e depistaggi di Stato. Ma abbiamo parecchie cose da dire sulla sufficienza riservata a Fiammetta Borsellino da molti, sul compatimento nei suoi confronti di figlia che ha avuto un grande dolore come se fossero solo la rabbia e il dolore a muovere la sua richiesta di verità. Non si tiene conto che Fiammetta parla a nome suo, dei fratelli e di tutti noi. Ed è una testimone per aver sentito le parole di suo padre, Paolo il magistrato abbandonato e isolato dai suoi colleghi. Chiede verità e giustizia e continua a esprimere i suoi dubbi in tutte le occasioni possibili nella speranza che prima o poi qualcuno si adoperi per fare un  po’ di chiarezza. A distanza di quasi trent’anni forse ci sono reati non più perseguibili ma c’è sempre tempo per capire cosa è veramente accaduto. Fiammetta fa nomi e cognomi (ieri sera su La 7 per esempio ha citato  ancora una volta i magistrati Lo Forte e  Scarpinato oltre a Giammanco che, però, non è più tra noi) , ha parlato di quel dossier “Mafia e appalti” così come ne ha parlato Antonio di Pietro circostanziando denunce e incontri avuti in quegli anni anche con ufficiali del Ros come Giuseppe De Donno. Ogni volta arrivano nuovi particolari che si aggiungono a cose dette e ridette centinaia o migliaia di volte su questo e su quello e spuntano testimoni più o meno obliqui che raccontano di Agenda rossa (di cui Borsellino non si separava mai) e di coinvolgimenti strani e ad altissimo livello. L’informazione che fa il suo dovere, certo, mette sul tavolo scoop di prima o seconda mano. C’è la Trattativa Stato-mafia tra i motivi che hanno accelerato la morte di Paolo Borsellino? O la necessità di zittire eliminadolo un magistrato che aveva capito tutto sugli affari e le trame oscure della Sicilia dominata da una mafia radicata e potente. Che strumenti abbiamo per capire? Se le istituzioni hanno ancora un senso abbiamo gli strumenti già utilizzati per altre vicende come l’affaire Moro. Se proprio non ci sono elementi per riaprire le indagini, per fare una nuova (l’ennesima) inchiesta. Allora si muovano le istituzioni, si faccia una commissione d’inchiesta, si chiamino a testimoniare tutti coloro che sanno o potrebbero sapere cosa è accaduto negli ultimi due mesi della vita di Paolo Borsellino. Sono i giorni che separano la strage di Via D’Amelio da quella di Capaci. Si chiamino a testimoniare magistrati, inquirenti, uscieri e giornalisti, quei cronisti così attenti da non essersi accorti del grande depistaggio messo in piedi da Arnaldo La Barbera e da altri. Ogni anno qualcuno ci propone un papello di racconti su quegli anni e ci appioppa scoop come se non sapesse o avesse saputo della doppiezza di certi personaggi, delle polpette avvelenate che giravano in quegli anni e venivano distribuite a questo e a quell’amico.  E questo governo faccia, finalmente, quello che non sono stati capaci di fare altri: tolga il segreto di Stato dove c’è da togliere, renda pubblico tutto, apra gli archivi, consegni i frammenti di verità che sono sicuramente presenti negli armadi di Stato all’opinione pubblica perché ne possa serenamente leggere il contenuto. Finiamola con le testimonianze d’accatto, con le verità comode, con la ricerca di pezze  d’appoggio per i teoremi.  Basta. IL MATTINO DI SICILIA

 

29.4.2021 – SANTORO TORNA IN TV E INTERVISTA IL PENTITO AVOLA. I PM: ”DICE IL FALSO”  Grossi dubbi e mancati riscontri sulla strage di via d’Amelio Io posso dire che c’ero e sono uno degli esecutori materiali della strage di via d’Amelio. E sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino prima di dare il segnale per l’esplosione”. Sono queste alcune delle parole di Maurizio Avola, ex killer di Cosa nostra catanese, con cui riscrive la storia delle stragi messe in atto dalla mafia nei primi anni ’90. Già qualche anno fa aveva raccontato nuovi risvolti sulla morte del giudice della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto 1991, in località Piale di Villa San Giovanni, su Matteo Messina Denaro e sulla strage di Capaci, tanto da essere stato sentito nei processi ‘Ndrangheta stragista e Capaci bis. Adesso, però, Avola ha aggiunto ulteriori dettagli su un’altra strage, quella di via d’Amelio, su cui da sempre aleggiano inquietanti ombre ed una verità, purtroppo, ancora non completa sul come e perché furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Dichiarazioni che aveva fatto ai magistrati ma anche a Michele Santoro che le ha inserite nel libro “Nient’altro che la verità” (edito daMarsilio). Da queste dichiarazioni si è partiti nello speciale “Mafia – La ricerca della verità” realizzato dal TgLa7 e da La7condotto da Enrico Mentana, con Andrea Purgatori e il ritorno in tv dello stesso Michele Santoro. Ospiti anche la figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, ed Antonio Di Pietro. Lo diciamo sin da subito: le dichiarazioni di Avola, così sconcertanti nella forma e che ridisegnerebbero lo scenario della strage del 19 luglio 1992, non ci convincono per niente e potrebbero essere frutto di una sporca manovra. “Borsellino scende dalla macchina e lascia lo sportello aperto – ha detto il pentito catanese – Io mi fermo, mi giro e lo guardo, mi accendo una sigaretta. Lo guardo, mi giro e faccio il segnale, verso il furgone a Giuseppe Graviano e vado a passo elevato. Mi dà 12 secondi per allontanarmi. Ho avuto la sensazione che Emanuela Loi ha visto il led rosso dell’auto, lei alza il passo e non capisco se sta andando verso la macchina. A quel punto mi sono allontanato. Se non esplodeva la macchina avrebbero attaccato con i bazooka”Già a queste affermazioni sorgono i primi pesanti dubbi. Perché nelle testimonianze di Antonio Vullo, l’agente sopravvissuto all’attentato, non vi è il dato dello sportello della macchina lasciato aperto dal giudice. E se così fosse stato è anche facile ipotizzare che la borsa del giudice all’interno dell’auto non sarebbe stata ritrovata pressoché intatta. Ma è un’altra affermazione di Avola che non solo ci ha lasciato perplessi, ma ci fa fortemente dubitare del dichiarato del collaboratore di giustizia. “Il nostro ottavo uomo – ha affermato – era lo Stato non i servizi segreti. Hanno fatto una ricostruzione diversa, posso giurare che non c’erano uomini dei servizi. Io dovevo fare la guerra allo Stato”.

E poi ancora ha affermato di essere stato lui a caricare la macchina, la Fiat 126 che rubò Gaspare Spatuzza, di esplosivo sconfessando quel che disse lo stesso ex boss di Brancaccio rispetto alla presenza di un uomo “non di Cosa nostra” all’interno del garage in via Villasevaglios. “Io credo che lui abbia visto Aldo Ercolano – ha detto – Io ero al garage e lui non era un uomo d’onore. Ha detto una rilevante parte, ma non era un esecutore materiale della strage e non può sapere alcuni retroscena della strage Borsellino. O ha visto me o Aldo Ercolano. Lo dico con certezza. Non c’era nessuno dei servizi, ma solo boss e tutti di Cosa nostra”. Poi ha anche parlato dell’esplosivo usato e della preparazione dell’auto. 

Nella giornata di oggi, rispetto al dichiarato di Avola, è intervenuta la stessa Procura di Caltanissetta, con tanto di comunicato stampa firmato dal Procuratore facente funzioni Gabriele Paci, che vale più di ogni commento. Rispetto alla dichiarazione di Avola sulla sua partecipazione alla fase esecutiva della strage di Via d’Amelio, insieme a Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Aldo Ercolano e altri, il magistrato nisseno ha sottolineato che questa circostanza era stata riferita per la prima volta da Avola nel corso di un interrogatorio lo scorso anno, davanti ai magistrati della Dda, “a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria”. Gli accertamenti disposti dalla procura, finalizzati a vagliare l’attendibilità di dichiarazioni riguardanti una vicenda “ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie”, per Paci,”non hanno allo stato trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità”. Piuttosto, dalle indagini demandate alla Dia, ha evidenziato Paci, “sono per contro emersi rilevanti elementi di segno contrario che inducono a dubitare tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto”. Nel comunicato viene citato anche il fatto: l’accertata presenza di Avola a Catania, “addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore egli, giunto a Palermo nel pomeriggio del venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di una abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba”. Ha poi concluso il Procuratore facente funzioni di Caltanissetta Paci: “Colpisce peraltro che Avola, anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di Via d’Amelio, oltre a quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro. Lascia altresì perplessi che egli abbia imposto autonomamente una sorta di ‘discovery’ compromettendo così l’esito delle future indagini, dopo che l’ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori cheinducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa”.

Perplessità e dubbi Alcuni dubbi sulle dichiarazioni di Avola erano stati espressi già nel corso del programma dallo stesso Andrea Purgatori. “Ci sono delle cose che stridono e delle cose che possono combaciare – aveva affermato – La prima cosa è il fatto che il sistema elettronico viene da Catania, questo è stato accertato, ci sono due apparati costruiti da azienda di Treviso che li aveva venduti a Catania e questi apparati sono finiti non solo in questa strage. Avola parla di un detonatore piccolo maneggevole, in realtà la parte che hanno trovato in via d’Amelio di quel sistema elettronico dove c’era segnale è piuttosto grosso, ha dimensioni di un piccolo computer. La seconda cosa che mi ha colpito è il fatto che lui dice che Nitto Santapaola che era il capo famiglia catanese non era d’accordo di quello che accadeva, noi sappiamo per certo che Nitto è sempre stato contrario all’idea stragista di Totò Riina, contrario in segreto. Questo è un altro aspetto che combacia. La cosa che io non riesco ancora a mettere a fuoco è la presenza con ruolo così cruciale di un catanese in un attentato come quello contro Paolo Borsellino che viene deciso dalla commissione palermitana”.

Anche Fiammetta Borsellino, nel suo intervento, su Avola ha preferito non esprimersi. Certo è che il tentativo di togliere dallo scenario della strage l’ombra dei servizi e soggetti esterni a Cosa nostra appare evidente, nonostante le molteplici evidenze fin qui raccolte tra, indagini, sentenze e processi.

Proprio Spatuzza, sentito al Borsellino quater disse in maniera chiara: “La persona che era nel garage in cui portammo la 126 usata per la strage non era di Cosa nostra. Ne sono convinto. Ho una diapositiva in testa e in questi anni ho cercato di mettere a fuoco questa persona. Ho fatto pure una descrizione, effettuando un riconoscimento fotografico ma non è che posso dire cose. Tra le possibilità c’è che possa appartenere alle forze dell’ordine e la mia vita la gestiscono loro, sono io la prima persona ad avere interesse a vederla in carcere. Ma proprio non ricordo. Questo è un mistero fondamentale da risolvere e io sono qui per la verità”. Quindi fornì un ulteriore dato su quel “mister X” non appartenente a Cosa nostra. “Ribadisco di non averlo mai visto prima, né dopo nessuno mi ha mai detto chi fosse”.

Senza contare delle svariate sentenze sulla strage di via d’Amelio, come il Ter ed il Quater, in cui si mettono in evidenza i possibili coinvolgimenti esterni a Cosa nostra sul delitto.

Di tutto questo nella trasmissione di ieri non si è parlato, così come non si è parlato della fotografia in cui si vede l’allora Capitano Giovanni Arcangioli del Nucleo Operativo Provinciale dei Carabinieri di Palermo “immortalato nell’atto di allontanarsi dal luogo della strage”, il pomeriggio del 19 luglio 1992, in direzione di via dell’Autonomia Siciliana, “con in mano proprio la borsa del Magistrato” (di Paolo Borsellino, ndr).

Un elemento non da poco che si inserisce all’interno di quel buco nero che caratterizza la sparizione dell’Agenda Rossa del giudice Borsellino. Quell’azione rappresenta il più clamoroso e drammatico fatto perché è evidente che non furono uomini di Cosa nostra a sottrarla dalla borsa del giudice.

La nostra redazione è stata testimone diretta per quanto riguarda il ritrovamento dell’immagine dell’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli con in mano la borsa del giudice. E in merito il nostro vice-direttore, Lorenzo Baldo, ha anche testimoniato nel quarto processo sulla strage.

Successivamente furono recuperate le immagini televisive dove viene ritratto Arcangioli (indagato e prosciolto dall’accusa del furto dell’agenda), per nulla in stato di choc, mentre, attorno alle 17.30, si allontana velocemente dall’auto della vittima con in mano la valigetta di cuoio in direzione di via Autonomia Siciliana. E vi sono anche altri video dove appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone. 

Certo è che, come hanno scritto i giudici del Borsellino quater, su cosa accadde in quel giorno Arcangioli non ha fornito risposte soddisfacenti anzi, ha rilasciato “una deposizione ben poco convincente” oltre ad aver avuto un comportamento “molto grave”.

Sappiamo che la valigetta è ricomparsa nella macchina successivamente, circa un’ora dopo. Venne sequestrata e portata in Questura il giorno successivo. L’agenda del giudice, però, non c’era. Chi l’ha fatta sparire? Perché? Sono queste le domande che ventisei anni dopo devono ancora trovare una risposta. Che quel giorno il magistrato avesse l’agenda con sé è un dato certo che i familiari hanno raccontato più volte e vi sono più testimoni che hanno riferito come la stessa venisse usata dal giudice Borsellino per effettuare delle annotazioni.

Eppure ieri proprio Santoro ha sostenuto che sarebbe “inverosimile” che Borsellino abbia lasciato l’agenda nell’auto mentre suonava il campanello dell’abitazione della madre. Secondo il giornalista, dunque, la aveva con se nel momento dell’esplosione? O non la aveva affatto? Il dire e non dire sul punto lasciando aperta l’ipotesi, è evidente, svia l’attenzione del pubblico creando solo confusione.

L’accelerazione della strage Sicuramente l’agenda rossa di Borsellino è una chiave importante per comprendere il motivo per cui fu necessario compiere un attentato appena 57 giorni dopo la strage di Capaci. Cosa poteva aver scritto in quella agenda Paolo Borsellino? C’erano le sue intuizioni sulla morte del giudice Giovanni Falcone(aveva dichiarato pubblicamente di essere un testimone che aveva raccolto i pensieri di Falcone) e su quel “dialogo” tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, di cui aveva accennato a sua moglie Agnese prima di essere assassinato assieme ai cinque agenti della sua scorta?

Come è avvenuto in altri omicidi eccellenti non si può escludere che vi sia stata una convergenza di interessi che ha portato all’eliminazione di Borsellino e il depistaggio che è stato perpetrato fa intendere chiaramente che questi non riguardassero solo Cosa nostra.

Nelle motivazioni della sentenza trattativa Stato-Mafia vengono spiegati i motivi che portarono a”l’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino” e si evidenzia come”l’unico fatto noto di sicura rilevanza, importanza e novità verificatosi in quel periodo per l’organizzazione mafiosa sono stati i segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via d’Amelio”.

Perché non c’entra mafia-appalti. E’ questo l’elemento di novità di quei 57 giorni, come rappresentato da Purgatori in studio, per cui, come abbiamo scritto in altre occasioni non può essere considerata come decisiva nella ricostruzione per comprendere ciò che avvenne ormai quasi 29 anni addietro, cioè le stragi di Capaci, via d’Amelio e nel 1993 gli attentati di Firenze, Roma e Milano.

Eppure durante la trasmissione tanto Fiammetta Borsellino quanto Antonio Di Pietro hanno più volte insistito su quell’elemento, indicandolo come possibile elemento scatenante che portò alla morte il magistrato palermitano. Non solo, la figlia del giudice Borsellino, ha affermato in maniera perentoria che “nella sentenza trattativa si dice una menzogna” in quanto “si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”. Ma a ben leggere la sentenza la considerazione dei giudici è diversa, e certamente non in maniera assoluta.

“Tale indagine – scrivevano i giudici della Corte d’Assise di primo grado – non era certo l’unica né la principale di cui quest’ultimo (Borsellino, ndr) ebbe ad interessarsi in quel periodo (basti pensare che il dottor Borsellino, tra le altre indagini, stava raccogliendo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia agrigentini e, da ultimo, anche del palermitano Gaspare Mutolo)”. Quindi si evidenziava come, sul piano logico, non vi fosse la “certezza che Borsellino possa aver avuto il tempo di leggere il rapporto mafia-appalti e di farsi, quindi, un’idea delle questioni connesse, mentre, al contrario, è assolutamente certo che non vi fu alcuno sviluppo di quell’interessamento nel senso di attività istruttorie eventualmente compiute o anche solo delegate alla P.G., che, conseguentemente possano aver avuto risalto esterno giungendo alla cognizione di vertici mafiosi, così da allarmarli e spingerli improvvisamente ad accelerare l’esecuzione dell’omicidio”. Altro fatto noto, raccontato durante la trasmissione, è il clima non sereno all’interno del Tribunale e che l’allora Procuratore capo Pietro Giammanco aveva tenuto nascosto allo stesso Borsellino l’arrivo dell’informativa in cui si attestava l’arrivo a Palermo del tritolo che lo avrebbe dovuto uccidere.

Resta comunque clamorosa l’insinuazione della figlia del giudice su ciò che si sarebbe nascosto dietro alla nota affermazione che il padre fece a sua madre, Agnese Borsellino, sul generale Antonio Subranni, che sarebbe stato “punciutu”. Quelle dichiarazioni (“Il 15 luglio 1992, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto. Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu. Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”) secondo la figlia del giudice sarebbero potute essere il frutto di un “depistaggio” ordito da qualcuno all’interno della Procura di Palermo.

La complessità di Scarantino Altro argomento affrontato durante la trasmissione è quello della falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino. Un tema troppo complesso per lasciarlo a pochi minuti tenuto conto che lo stesso picciotto della Guadagna fu “indotto a mentire” mescolando il vero ed il falso con elementi “coincidenti” persino con il dichiarato di Spatuzza proprio per rendere “credibile” il racconto del “pupo”.

Sicuramente le azioni che sono state commesse nella prima fase delle indagini su via d’Amelio, sono un fatto grave che va perseguito e su cui va fatta chiarezza, ma il cuore dei misteri sulla strage è nel conoscere il volto di quei concorrenti esterni che nella migliore delle ipotesi hanno avallato e nella peggiore hanno ordinato ed avuto un ruolo attivo nell’esecuzione dell’attentato. Una ricerca della verità che continua oggi non solo con i processi in corso tra Palermo, Caltanissetta e Reggio Calabria, ma anche nell’inchiesta della Procura di Firenze che vede indagati l’ex premier Silvio Berlusconi e il senatore (già condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa) Marcello Dell’Utri.

Che sia in corso un nuovo depistaggio investigativo proprio per confondere le acque su questi molteplici fronti e togliere ogni responsabilità a quei settori deviati dello Stato che possono aver avuto un ruolo in stragi e trattative? Un’ipotesi, se non anche una certezza, nel momento in cui si vuole dare corpo all’immagine di una mafia che oggi non spara più e non vuole stragi.

In barba a minacce e condanne a morte a quei magistrati impegnati in prima linea contro il Sistema criminale e che si trovano ancora oggi sotto scorta: da Nino Di Matteo a Giuseppe Lombardo, passando per Nicola Gratteri, Luca Tescaroli, Sebastiano Ardita, Roberto Scarpinato, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene, per citarne solo alcuni.

O forse il “gioco grande” è proprio quello di far credere che il Sistema criminale non esiste e che sia “tutto Cosa nostra ANTIMAFIA DUEMILA 29.4.2021 Aaron Pettinari

 

29.4.2021 CLAUDIO FAVA (1)  SU AVOLA: NIENT’ALTRO CHE LA MENZOGNA“Non mi affaccio più su Facebook per ragioni mie. Lo faccio oggi per necessità. Perché Maurizio Avola, un signore con ottanta omicidi sulla coscienza, ha tirato in causa i morti e i vivi per raccontare le sue ridicole verità. E qualcuno gli ha perfino creduto. Avola afferma di aver ammazzato Giuseppe Fava. Dice di aver caricato di esplosivo l’auto bomba di via D’Amelio. Sostiene di essere l’ultimo ad aver visto vivo il giudice Borsellino e di aver dato lui il segnale per far saltare in aria l’auto. Dice di sé, e degli altri compari, un mucchio di strampalate e supponenti falsità che hanno avuto l’onore della cronaca televisiva (ieri sera sulla 7) e la consacrazione letteraria sul libro che gli ha dedicato un giornalista esperto – ma stavolta assai superficiale – come Michele Santoro. Avola dice che c’era sempre lui, ovunque si dipanasse la storia oscura e vigliacca di Cosa Nostra. A Catania come a Palermo. Lo racconta con ventisette (!) anni di ritardo dall’inizio della sua collaborazione con lo Stato. Lo fa mescolando suggestioni grossolane e presunte inoppugnabili verità. Una per tutte: dietro la morte di Paolo Borsellino c’è solo la mafia, nient’altro che la mafia. Complicità istituzionali? Nessuna! Servizi segreti? Paranoie! Depistaggi? Letteratura giornalistica… Chi era il tipo in giacca e cravatta, notato da Spatuzza e mai visto prima, mentre in un garage palermitano si imbottiva la 126 di esplosivo? Uno sconosciuto mafioso catanese, altro che servizi! Chi ha voluto la morte di Fava? La mafietta locale, che c’entrano i cavalieri! Avola mente. Grossolanamente. Un rapido e onesto lavoro di verifica giornalistica avrebbe permesso di rendersene conto prima di dedicargli un libro che già nel titolo, “Nient’altro che la verità”, appare come uno sputo in faccia ad ogni verità. È agli atti dei processi celebrati a Caltanissetta che Avola, nei giorni della strage di via D’Amelio, stava a Catania con un braccio ingessato. Verificarlo era semplice. È scritto nella sentenza del Borsellino Quater che le auto della scorta di Borsellino arrivarono in via D’Amelio a sirene spente (pag. 127, deposizione della teste Cataldo) mentre Avola racconta che lui era lì, come Achille fieramente in attesa del suo Ettore, e li sentì arrivare “a sirene spiegate”. È nelle carte del processo Orsa Maggiore la ricostruzione dell’omicidio di Giuseppe Fava, e poco o nulla del racconto di Avola corrisponde a verità (una per tutte: “la redazione dei Siciliani stava al primo piano”: falso, lavoravamo in uno scantinato sotto il livello della strada). La domanda però è un’altra: chi manda Avola ad avvelenare i pozzi? Chi si vuole servire della sua sgangherata ricostruzione per fabbricare un altro depistaggio su via D’Amelio? Chi continua ad aver paura, trent’anni dopo, di chiunque s’avvicini alla verità su quegli anni e su quei fatti? E chi li difende questi nostri morti, così strapazzati da mani villane?”.  (1)  Presidente Commissione Antimafia Regione Sicilia

FIAMMETTA BORSELLINO, ‘ANOMALIE PROCESSO LA PIÙ GRANDE OFFESA AL POPOLO ITALIANO’ Le anomalie che hanno caratterizzato le indagini e i processi sulla strage di via D’Amelio costiuiscono la più grande offesa al popolo italiano”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino nello speciale Mafia di Mentana. “Quello che è stato definito in sentenza il più grave depistaggio della storia giudiziaria del paese – dice – E un paese che dopo 30 anni non riesce a fare luce su questo e altri misteri, per me è un paese che non ha possibilità di futuro. La verità non riguarda solo me e i miei familiari, un paese che non fa luce non può progredire”

 

 COMUNICATO STAMPA DELLA PROCURA DI CALTANISETTA SUL KILLER AVOLA

 

29.4.2021  I PM DI CALTANISSETTA BOCCIANO L’EX PENTITO AVOLA: “NON ERA A PALERMO MA A CATANIA CON IL BRACCIO INGESSATO”Le dichiarazioni nel libro di Michele Santoro, rilanciate nello speciale mafia di Mentana su “La 7”. Anche Fiammetta Borsellino dice: “Di depistaggio ne abbiamo già subito uno” Ieri sera, durante lo speciale mafia di Enrico Mentana andato in onda su “La 7”, Fiammetta Borsellino aveva subito espresso le sue riserve sul racconto dell’ex boss catanese Maurizio Avola, che nel libro intervista di Michele Santoro (“Nient’altro che la verità”) sostiene di aver partecipato alla strage di via d’Amelio, il 19 luglio 1992: “Di depistaggio ne abbiamo già subito uno”. Lapidarie le parole della figlia del giudice Paolo. Ora, arriva un comunicato della procura di Caltanissetta per smentire senza mezzi termini le parole di Avola, che nel 1994 aveva iniziato a collaborare con la giustizia, confessando 80 omicidi, fra cui quello del giornalista Pippo Fava, qualche anno dopo venne espulso dal programma di protezione perché sorpreso a fare rapine in banca con altri due pentiti. Di recente, l’ex killer del clan Santapaola è tornato a fare dichiarazioni, parlando delle stragi del 1992, del delitto del sostituto procuratore generale della Cassazione Scopelliti e del superlatitante Messina Denaro. La procura di Caltanisetta conferma che l’anno scorso Avola, sentito in un interrogatorio, ha riferito della sua presenza in via D’Amelio, “a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della collaborazione con l’autorità giudiziaria”. Il pool coordinato dal procuratore aggiunto Gabriele Paci ha subito iniziato l’indagine assieme alla Dia di Caltanissetta, alla ricerca di riscontri: “I conseguenti accertamenti – scrive oggi la procura nissena – finalizzati a vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono per contro emersi – precisano i pm – rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare fortemente tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto”. La procura cita un riscontro negativo, “fra tanti”: “L’accertata presenza di Avola a Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattina precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto su ordine di Giuseppe Graviano a imbottire di esplosivo la Fiat 126”. Aggiunge la procura: “Colpisce, peraltro, che Avola, anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di via D’Amelio, oltrechè quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro. E lascia altresì perplessi – prosegue il comunicato – che egli abbia imposto autonomamente una sorta di discovery, compromettendo così l’esito delle future indagini, dopo che l’ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa”. Le “future indagini” sono quelle su Avola, i magistrati vogliono capire cosa c’è dietro le sue nuove dichiarazioni. Solo il desiderio di un ex pentito di rietrare nel programma di protezione o un disegno ancora tutto da scoprire per minare i processi già conclusi sulle stragi? Fra le dichiarazioni di Avola, ci sono pure parole pesati su Gaspare Spatuzza, l’ex fedelissimo dei Graviano che nel 2008 ha svelato la grande impostura del falso pentito Vincenzo Scarantino. Avola sostiene che Spatuzza non era uomo d’onore e che non poteva conoscere i segreti di Giuseppe Graviano, l’organizzatore della strage di via D’Amelio. Dichiarazioni smentite da tanti collaboratori di giustizia, che hanno raccontato come Spatuzza sia stato al vertice del clan di Brancaccio alla metà degli anni Novanta, dopo l’arresto dei Graviano.

Interviene anche il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che dice: “Avola è un inquinatore di pozzi e mi meraviglia che un giornalista come Santoro, con il suo libro, si sia prestato a dare fiato a un personaggio del genere. Già in passato, con le sue dichiarazioni, Avola ha delineato la strategia dei falsi pentiti di mafia: mischiare verità e bugie per minare la credibilità dei veri pentiti”. di Salvo Palazzolo LA REPUBBLICA

 

28.4.2021 – FIAMMETTA BORSELLINOLe anomalie che hanno caratterizzato le indagini e i processi sulla strage di via D’Amelio costiuiscono la più grande offesa al popolo italiano”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino nello speciale Mafia di Mentana. “Quello che è stato definito in sentenza il più grave depistaggio […] Le anomalie che hanno caratterizzato le indagini e i processi sulla strage di via D’Amelio costiuiscono la più grande offesa al popolo italiano”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino nello speciale Mafia di Mentana. “Quello che è stato definito in sentenza il più grave depistaggio della storia giudiziaria del paese – dice – E un paese che dopo 30 anni non riesce a fare luce su questo e altri misteri, per me è un paese che non ha possibilità di futuro. La verità non riguarda solo me e i miei familiari, un paese che non fa luce non può progredire”. ADNKRONOS

 

28.4.2021 – Fiammetta Borsellino‘dopo morte di mio padre volutamente si è guardato altrove’Giammanco non informò mio padre dell’arrivo del tritolo?”. E’ la denuncia di Fiammetta Borsellino nello speciale Mafia di Mentana su La7. “L’informativa del generale Subranni era datata il 19 giugno del 1992 .- dice – e mio padre lo apprese solo per caso dopo un incontro con Salvo Andò. E il 28 giugno mio padre litigò con Giammanco e fece volare i tavolini per aria. Tornato a casa ci disse che la sua condotta era stata irresponsabile e imperdonabile”. ADNKRONOS

 

28.4.2021 – Fiammetta Borsellino“I magistrati di allora dovevano indagare bene ma non lo hanno fatto”. E’ la denuncia di Fiammetta Borsellino intervenuta allo speciale Mafia di Mentana su La7. “Ci sono una serie di eventi che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di vita di mio padre – dice – all’interno della Procura di Palermo retta da Pietro Giammanco. Elementi che dovevano dare adito a sviluppi investigativi, soprattutto nei primi dieci anni, che sono cruciali ma volutamente si è guardato altrove” . Adnkronos

 

28.4.2021 – Fiammetta Borsellino“Nella sentenza trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”. E’ la denuncia di Fiammetta Borsellino, la figlia minore di Paolo Borsellino nello speciale Mafia di Enrico Mentana su La7. “La cosa grave è che il 14 luglio 1992 (cinque giorni prima della strage ndr) mio padre fece una riunione con i suoi sostituti in cui chiese come mai l’indagine di sua competenza non fosse confluita nel dossier Mafia e appalti”. Adnkronos

 

27.4.2021 – “MESSINA DENARO ERA IN VIA D’AMELIO”  Il boss Matteo Messina Denaro, 59 anni dei quali 28 trascorsi in una latitanza ininterrotta dal giugno 1993, sulla scena della strage di via D’Amelio in cui furono barbaramente uccisi il procuratore Paolo Borsellino e i agenti della scorta, Emanuela Loi, Walter Cusina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. Il capo mafia di Castelvetrano forte di una alleanza con la mafia catanese, fu tra quelli che uccisero in Calabria il magistrato della Cassazione Antonino Scopelliti e prima a Trapani il pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Notizie che sono il risultato di un lavoro proprio del giornalismo investigativo. Già in passato anche da queste pagine scrivendo di Ciaccio Montalto avevamo raccontato che quel delitto doveva essere riletto, e che allo stato la verità e la giustizia su questo omicidio non sono state compiutamente rese. Adesso si affacciano nuovi elementi. La strategia mafiosa che dagli anni 80 in poi ha portato alla uccisione di uomini delle Istituzioni non sarà letta compiutamente se resterà ancora spezzettata. Ce lo dice in un libro prossimo all’uscita il giornalista Michele Santoro: a lavorare con lui un gruppo di veri infaticabili, professionisti del giornalismo d’inchiesta, tra questi un’altra firma importante del giornalismo italiano, come Guido Ruotolo. Per diverso tempo sono stati a fare quello che non tutti i giornalisti sono oramai abituati a fare, andare nei tribunali a leggere le sentenze, seguire poi determinati processi. Nell’epoca in cui i giornalisti scrivono di ordinanze di custodia cautelare, perdendo poi di vista i dibattimenti e le pronunce dei giudici (una volta mi capitò di sentirmi dire da un acclamato giornalista che è inutile leggere le sentenze), Santoro ha scelto di spendere questi mesi di allontanamento dalla tv, sua specialità nel fare informazione, frequentando i Palazzi di Giustizia, scoprendo quelle verità che stanno nelle carte giudiziarie, incollando i pezzi, mettendo assieme un puzzle, accedendo luci sulle zone d’ombra. Da domani sarà in libreria il suo libro “Nient’altro che la verità”. Su la 7 giovedì 28 aprile andrà in onda uno speciale dedicato al libro, condotto da Enrico Mentana e con in studio oltre a Santoro tra gli altri anche Fiammetta Borsellino, l’ex pm Antonio Di Pietro e il giornalista Andrea Purgatori. A parlare di Via d’Amelio e del delitto Ciaccio Montalto è stato l’ex killer catanese Maurizio Avola, il sicario che uccise anche il giornalista Pippo Fava. Uno che di segreti di Cosa nostra se ne intende benissimo. E’ lo stesso che ha parlato dei contatti tra mafia e massoneria. Da Marcello D’Agata, “consigliori” della famiglia mafiosa di Catania, ha detto di avere appreso che vertici di Cosa Nostra sono inseriti nelle logge segrete della massoneria. E fu lo stesso D’Agata che gli svelò del delitto Ciaccio Montalto, magistrato trapanese ucciso a Valderice (Trapani) il 25 gennaio 1983 compiuto da sicari arrivati nel trapanese da Catania e assieme a loro c’era l’allora giovanissimo Matteo Messina Denaro. La morte di Ciaccio Montalto non fu decisa quindi da Cosa nostra trapanese, ma dall’alleanza tra Cosa nostra trapanese e quella catanese. Non fu una vendetta per le indagini, ma la morte del magistrato, ucciso quando era prossimo a trasferirsi alla Procura di Firenze, era l’unico modo per fermare il suo progetto investigativo che era quello di seguire l’”odore dei piccioli”, seguire il filone dei soldi che Cosa nostra guadagnava con il controllo del mercato della droga, le raffinerie di eroina, e che investiva in grandi affari, soldi che finanziavano il traffico di armi, gli appalti, ma che servivano anche ad alimentare Cosa nostra americana. Basta dare uno sguardo alle carte firmate da Ciaccio Montalto per rendersi conto di cosa si stava occupando e di cosa ancora si sarebbe occupato se gliene avessero dato il tempo. Eppure i suoi colleghi sentiti al Csm dopo l’omicidio pare non sapessero nulla delle sue inchieste. Ciaccio Montalto fu ucciso per avere superato quella certa “sottile linea rossa” determinata a Trapani dall’alleanza tra borghesia mafiosa e anche certa parte di magistratura e investigatori. Uno scenario del quale ha parlato con chiarezza il pentito Nino Giuffrè, braccio destro di Bernardo Provenzano, il potente mafioso di Corleone: “a Trapani ci sono i cani attaccati”, insomma a Trapani Cosa nostra in quegli anni ’80 stava bene perché nessuno si occupava di mafia, Ciaccio Montalto superò questa linea e fu ucciso. Matteo Messina Denaro, racconta Avola, all’epoca andava spesso a Catania, dove si discuteva di come aggiustare il processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, dove tra gli imputati c’era il boss catanese Nitto Santapaola e il mafioso trapanese Mariano Agate. Un processo che il giornalista Mauro Rostagno seguiva udienza per udienza, raccontando poi ogni cosa in tv, a Rtc: durante il processo Mariano Agate dalla gabbia fece avvicinare un collaboratore di Rostagno dicendogli di andare a dire “a chiddu vistutu di bianco” (Rostagno solitamente andava vestito con abiti bianchi, un grande camicione sui pantaloni) “di finirla col dire minchiate”. Rostagno continuò e fu ucciso il 26 settembre 1988. Ma Avola ha svelato che in via d’Amelio a Palermo quel 19 luglio 1992 c’era anche lui. Ha raccontato dinanzi alla Corte di Assise di Caltanissetta durante il processo che ha visto condannato per le stragi del 1992 il trapanese Matteo Messina Denaro, che fu lui a dare il segnale per la detonazione stragista. Ha detto di aver guardato negli occhi Borsellino prima di dare il segnale. E in via d’Amelio c’era anche Matteo Messina Denaro. Il processo che a Caltanissetta lo ha visto condannato, frutto di un intenso lavoro investigativo coordinato dal procuratore aggiunto nisseno Gabriele Paci, vicino alla nomina a procuratore a Trapani, dopo il voto della commissione incarichi del Csm, ha posto il boss trapanese al centro della scena stragista assieme a Totò Riina, dopo che nei precedenti processi delle stragi non era nemmeno tra gli indagati. Un processo che non ha messo alcun punto finale. Quanto emerso dal dibattimento è materiale utile per riaprire altre inchieste, come quella per l’omicidio di Ciaccio Montalto. Il processo poi ha fatto emergere come Matteo Messina Denaro da tempo aveva deciso la morte di Paolo Borsellino, reo di avere sfidato il padre: Borsellino quando era procuratore a Marsala aveva portato don Ciccio Messina Denaro, il padrino del Belice, davanti ai giudici del Tribunale delle misure di prevenzione. I giudici però non diedero retta a Borsellino e respinsero quella richiesta. Per loro l’anziano boss belicino non era pericoloso. Erano appena iniziati gli anni ’90, e adesso sappiamo che in quegli anni don Ciccio Messina Denaro non era solo il capo della cupola provinciale di Cosa nostra trapanese, ma era sullo stesso piano di Riina e Provenzano. Erano gli anni in cui la mafia trapanese stava vicinissima alla borghesia trapanese. I Messina Denaro, padre e figlio, erano i campieri, i guardiani, dei vasti possedimenti terrieri di proprietà di famiglie blasonate, come i D’Alì. Secondo i pentiti parteciparono alla scalata del potere politico da parte di Antonio D’Alì, nel 1994 diventato con Forza Italia, senatore della Repubblica. Nel suo libro Michele Santoro racconta trent’anni di storia italiana. Maurizio Avola è un killer della mafia che ha alle spalle ottanta omicidi e ha preso parte alla stagione delle stragi. «Non so bene – ci dice Michele Santoro – perché ho deciso di incontrare uno che ha ucciso ottanta persone. Guardo Avola e ho la sensazione di trovarmi davanti uno specchio nel quale comincio a riconoscere tratti che sono anche i miei. Inizio a seguirlo in un labirinto di ricordi». Maurizio Avola non è famoso come Tommaso Buscetta e non è un capo come Totò Riina. Ma non è un killer qualsiasi: è il killer perfetto, obbediente, preciso, silenzioso, e proprio per questo indispensabile nei momenti decisivi. Forse sottovalutato dai suoi capi e dagli inquirenti che ne hanno vagliato le testimonianze, ha archiviati nella memoria particolari, voci, volti che coprono tre decenni di storia italiana. Ad accendere l’interesse di Santoro è il fatto che Avola abbia conosciuto Matteo Messina Denaro e abbia compiuto con «l’ultimo padrino» diverse azioni. Scoprirà però che è solo una parte, e non la più rilevante, di quanto Avola può svelare, andando incontro a quella che è probabilmente l’inchiesta più importante della sua vita. A Michele Santoro, Avola ha affidato le tessere del puzzle e le sconvolgenti rivelazioni che emergono. Mafia e antimafia, politica e potere, informazione e depistaggi, vicende personali e derive sociali si intrecciano in un racconto che si muove tra passato e presente, dalla Sicilia degli anni settanta al paese che siamo diventati. AlquamaH 27.4.2021 RINO GIACALONE

 

16.4.2021 – DIDATTICA A DISTANZA, L’URLO DI FIAMMETTA BORSELLINO: “così il Governo fa un favore alla mafia”  Fiammetta Borsellino chiede al governo la riapertura delle scuole: la dispersione scolastica ha abbandonato tanti giovani fra i tentacoli della mafia. Le fasce di popolazione più giovani hanno pagato a caro prezzo le difficoltà causate dalla pandemia di Coronavirus. Non solo un restringimento delle libertà personali e lo stop alle attività sportive, ma a pesare sui ragazzi è soprattutto la chiusura della scuole. La didattica a distanza ha messo a nudo le difficoltà tecnologiche e organizzative dell’Italia, aumentando le difficoltà relative all’apprendimento e favorendo la dispersione scolastica. Secondo un rapporto di Save the children stilato in collaborazione con l’istituto di sondaggi Ipsos, “il 28% degli adolescenti dichiara che dall’inizio della pandemia almeno un compagno di classe ha smesso di frequentare la scuola”. Lontani dalla scuola, dalla cultura e dai suoi valori, molti ragazzi finiscono preda dei tentacoli della mafia. Lo sottolinea Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino assassinato nella strage di via D’Amelio nel 1992. La donna è scesa in piazza per rivolgere un appello al governo Draghi affinchè possa riaprire le scuole al più presto spiegando che con la didattica a distanza e le scuole chiuse “il governo sta facendo un favore alla mafia“. 16 Aprile 2021 12:44 | Mirko Spadaro STRETTO WEB

 

15.4.2021 FIAMMETTA BORSELLINO SCRIVE A DRAGHI: «RIAPRA LE SCUOLE, STIAMO PERDENDO I NOSTRI RAGAZZI» La lettera della figlia del giudice ucciso dalla mafia nel 1992 al presidente del Consiglio: “I giovani in strada prede della criminalità, anche Tar e Consiglio di Stato hanno detto che senza dati non si può prevedere solo la Dad

di Fiammetta Borsellino 

Scrivo questa lettera per esprimere il dolore di mamma e cittadina di questo Paese per il grave danno che la compressione del diritto allo studio provocata da una didattica a distanza, da troppo tempo prolungata, sta determinando nella salute psicofisica dei bambini, delle bambine, dei preadolescenti e adolescenti del nostro Paese.
ll sacrificio a cui li stiamo sottoponendo evolverà inevitabilmente, se non prontamente risolto con soluzioni adeguate, in danni irreparabili.
E’ oramai evidente come i ragazzi, ogni giorno di più, stiano perdendo entusiasmo e stimoli ma, soprattutto, il sentimento dell’amore verso ciò che studiano, perché imparare non vuol dire solo seguire dei programmi ministeriali ma anche crescere nella capacità di gestire relazioni, scambi, emozioni e ciò può avvenire principalmente a scuola.
Oggi la vita dei giovani si svolge principalmente dietro ad uno schermo che, al pari delle droghe e delle nuove dipendenze, provoca solo l’illusione di riempire le giornate caratterizzate invece da un vuoto assoluto. E’ importante difendersi dal virus ma è altrettanto importante è curare la salute dell’anima. Oggi i nostri bambini e ragazzi sono dei fiori che appassiscono ogni giorno di più, sepolti nelle loro stanze e noi adulti stiamo diventando i principali complici di tale situazione.
Stiamo insegnando ai nostri figli che in tempo di crisi la prima cosa ad essere sacrificata è l’istituzione della scuola, della cultura, ovvero di quei valori che mio padre ha sempre considerato come la prima vera forma di contrasto alle mafie e che sono gli unici capaci di togliere alle stesse il consenso giovanile di cui si nutrono.
Oggi, il perdurare della chiusura totale o parziale delle scuole di ogni ordine e grado, nonché la eliminazione pressoché totale dell’attività sportiva, musicale e teatrale, sta consegnando centinaia di ragazzi alla rete delle organizzazioni criminali.
Mi chiedo perché queste scelte si stiano portando avanti nonostante le recenti pronunce giurisdizionali del Tar vadano in una direzione completamente opposta, avendo accolto nel merito il ricorso di cittadini nei confronti dei Dpcm che disponevano la chiusura delle scuole. Il Tar, infatti, ha ribadito che la scuola non è un luogo privilegiato di contagio ma anzi, in caso di picchi di contagi, deve essere l’ultimo presidio a chiudere. Ha stabilito che l’uso prolungato della didattica a distanza è lesivo del diritto allo studio e del diritto alla salute, perché la scuola è salute che, ricordo, sono entrambi diritti costituzionalmente garantiti. Ha stabilito che le scuole di ogni ordine e grado devono rimanere aperte.
Oggi tutto questo viene ignorato.
La ripresa delle scuole fino alla prima media è un segnale importante da parte del Governo a tutela degli alunni e delle alunne, ma insufficiente per la salvaguardia del benessere psicofisico dei preadolescenti e dei ragazzi delle scuole superiori, moltissimi dei quali in didattica a distanza da oltre un anno con conseguenze disastrose, come confermato dall’Associazione degli ospedali pediatrici italiani e dalle Associazioni che tutelano infanzia e adolescenza.
Il nostro Paese continua non proteggere i suoi cittadini più piccoli e i suoi giovani privandoli del luogo privilegiato della loro crescita: la scuola.
E’ oramai evidente come la didattica a distanza sia uno strumento di insegnamento inefficace, svilente per gli insegnanti, discriminatorio per gli studenti provenienti da famiglie fragili e lesivo nei confronti degli alunni con disabilità o con difficoltà di apprendimento.
In ultimo, in molte Regioni si insiste a non bilanciare adeguatamente diritto alla salute e diritto allo studio con continui provvedimenti incongruenti di chiusura delle classi. In queste Regioni, specialmente nel Sud Italia, sono gli stessi Sindaci e Governatori a sbarrare i cancelli delle scuole persino a studenti disabili e con bisogni educativi speciali, attraverso ordinanze restrittive in palese contraddizione con le direttive nazionali.
L’Italia non è un paese per giovani e per famiglie se non riconosce che per tutti gli studenti, la scuola è salute, anche e soprattutto in tempo di pandemia. 
L’ESPRESSO 15.4.2021

 

15.4.2021 – A ROMA SI MANIFESTA CONTRO LA DAD: DIMENTICATI A DISTANZAdi Cinzia Cortese.Sabato 10 Aprile anche Alba era presente alla manifestazione nazionale a Roma organizzata da Scuole in presenza. Referenti del gruppo Tavola Rotonda Alba,Enrica Cravanzola ed io abbiamo avuto la fortuna di vivere un pomeriggio veramente indimenticabile… Da diverse città italiane ci siamo uniti per dire basta per sempre alla DAD…metodo assolutamente dannoso per un sano sviluppo scolastico e una sana crescita psico-fisica nell’intera età di sviluppo. Siamo state spettatrici di interventi emozionanti e coinvolgenti, in primis Daniele Novara, pedagogista di fama nazionale, ha esortato la non scuola dinnanzi ad un monitor, senza incontro, senza apprendimento, senza nulla portando i fanciulli stessi ad ammalarsi mentalmente… A seguire c’è stato l’intervento della dottoressa Gandini, epidemiologa che ha condotto uno studio approfondito sull’inesistenza di contagi negli ambienti scolastici e lei stessa ha riportato i suoi dati direttamente a Roma.. Inaspettatamente sul palco è salita Fiammetta Borsellino…testimonianza piena di pathos, citando più volte il padre, ucciso dalla mafia e per uno come lui, che credeva nella scuola, la mafia lo sta nuovamente uccidendo oggi, allontanando i giovani tra loro in contesti scolastici e appiattendo il loro pensiero libero e critico. La cultura e la scuola devono coinvolgere le nuove generazioni e la scuola è l’unico luogo di scambio e relazioni dove i ragazzi possono crescere insieme.Si sono susseguite testimonianze di studenti, genitori, professori… Scendere in piazza è un nostro diritto e si scende perché qualcosa non sta funzionando e lo stato, le regioni, i comuni non possono continuare ad essere sordi e ciechi. Le voci che partono da una piazza sono quelle dei cittadini che rappresentate, sono voci di persone semplici e umili che parlano di vita vera, sono voci da ascoltare, sono voci che credono ancora che il futuro della nostra nazione è nei nostri figli. Vederli così vuoti, spenti, quasi ormai rassegnati felicemente a questo distanziamento che sembra quasi essere divenuto la loro normalità che adulti li renderà? Sapranno ancora confrontarsi, costruire insieme una comunità, un paese da persone istruite ed educate collettivamente verso il bene comune? Nella speranza che la DAD diventerà solo un brutto ricordo voglio terminare con una frase di Paolo Borsellino riportata a Roma dalla figlia Fiammetta: Chi ha paura muore ogni giorno chi non ha paura muore una volta sola. ALTRI ASTI

 

12.4.2021 – DAD, FIAMMETTA BORSELLINO CON SCUOLA IN PRESENZA VICENZA: “CHIUDERE SCUOLE FAVORISCE MAFIA” Ieri circa 35 persone, genitori e figli, appartenenti al comitato Scuola in Presenza Vicenza si sono messi in viaggio per raggiungere la manifestazione romana organizzata e promossa dalla Rete Nazionale Scuola In presenza. Tra i partecipanti Daniele Novara, esperto di pedagogia: “Chiudere le scuole è una decisione sbagliata. Affermare che la Dad ha salvato la scuola è un’assurdità – ha detto in un comunicato -. La scuola è comunità, incontro non una piattaforma digitale formata da miglia di monitor. Chi ha chiuso la scuola afferma che l’ha fatto per salvaguardare la salute senza considerare che l’isolamento, la dipendenza tecnologia porta a gravi malattie come la depressione nella sua definizione e risvolti più ampi. Una persona infelice si ammala! Non possiamo continuare ad alimentare l’infelicità dei giovani! Questa condizione è altrettanto minacciosa del virus! l’infelicità, l’isolamento, la depressione ci mette in una condizione che sfocia in ogni tipo di altra malattia. E’ in atto un accanimento, un’aggressività contro bambini e ragazzi e non è mai successo nella storia che una generazione adulta si accanisse sui più giovani”.

Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato nella strage di Via D’Amelio: “Voglio portarvi la testimonianza di figlia di un uomo morto per lo Stato, per difendere l’idea più alta di Stato, nella sua forma più alta di salvaguardia dei diritti, della libertà e della dignità di ogni essere umano. Mio padre era fortemente convinto che la lotta alla mafia non si fa con la repressione, le pistole e le conoscenze “giuste”, ma con la cultura, quella che si insegna a scuola, quella che ti insegna a ragionare con la tua testa e oggi negando questo diritto, stanno uccidendo per la seconda volta mio padre. Con la chiusura delle scuole lo Stato sta facendo un grande favore alla mafia perché in questo lungo periodo, centinaia di ragazzi sono scomparsi dai radar degli osservatori scolastici e sono irrecuperabili, sono i futuri soldati della mafia”.

“Dobbiamo difendere la scuola, riappropriaci di questo diritto e lottare. Lottare senza paura, come diceva mio padre, perché chi ha paura muore ogni giorno mentre chi non ha paura muore una volta sola. Vi voglio raccontare, oggi, della lettera che mio padre scrisse alle 5 di mattina del 19 luglio, prima di morire, ad una sua ex alunna di Padova che lo rimproverava bonariamente di non aver trovato il tempo di partecipare ad un incontro a causa dei numerosi impegni. In questa lettera mio padre esprime tutto il suo amore per la scuola, la cultura, per quel movimento culturale che deve muovere le nuove generazioni e che deve essere ritenuto lo strumento più importante alla lotta contro la mafia. Scuola come luogo di scambio, sicuro e di relazione, non semplicemente di apprendimento di nozioni”.Molto forte e decisa la sua presa di posizione verso il governo che sta sbagliando, facendo delle scelte che compromettono in modo grave la salute psicofisica dei ragazzi. Per questo motivo, Fiammetta, ha dichiarato che non parteciperà mai più a nessuna commemorazione organizzata dagli organi istituzionali, se questa situazione non cambierà.  La nota epidemiologa e biostatista Sara Gandini che racconta il lavoro del suo team di scienziati e ricercatori, iniziato a maggio 2020, perché i dati a disposizione “parlano”: “Quello che abbiamo dimostrato concorda con tutti gli studi scientifici di ben 28 paesi, secondo i quali i contagi non arrivano dalle scuole. E’ ora di dire basta!” e alla piazza una ferma promessa “Noi non ci fermeremo”. A seguire altri interventi di taglio legale, che hanno cercato di tradurre gli sviluppi di una battaglia partita dal basso, da genitori ricorrenti e che si sta consumando ai più alti livelli dello Stato. In tanti i giovani che hanno domandato di poter parlare, di poter raccontare il loro vissuto. Sofia, 15 anni, voce decisa e con la disinvoltura di un adulto, dice alla folla che sta pagando un prezzo altissimo. Scavalcati, ignorati, illusi con una preparazione notevolmente peggiorata, gli studenti sono stanchi. “La mia bisnonna mi ha raccontato – dice Sofia – che quando era piccola, neppure durante la guerra mondiale le scuole hanno chiuso. La sua insegnante andava di casa in casa a convincere i genitori di mandare i figli a scuola, così sarebbero stati al sicuro perché non avrebbero avuto paura e diceva che se la gente avesse studiato di più, si sarebbe potuto evitare anche la guerra”. Lei chiede solo di poter togliersi il pigiama, prendere la sua bicicletta e tornare nella sua aula. Si è sentita provocata anche Arianna, 23 anni, studentessa universitaria di lettere antiche che ha ricordato a tutti che anche gli universitari sono studenti. Gli universitari come i ragazzi delle superiori, i grandi dimenticati. Per Arianna, l’università non è Microsoft Teams, lei che si è laureata al tavolo di casa, tra squilli del telefono e il cane che abbaiava. Dice che non si può più andare avanti così, che la presenza è indispensabile e i libri sono necessari “invece non si può neppure più andare nelle biblioteche delle università portando un semplice foglio e una penna perché il virus persiste sulla carta” dice sorridendo ironica, bella e forte nella sua consapevolezza di giovane donna. Mentre gli interventi scorrevano veloci, sullo sfondo degli striscioni portati da Vicenza e ci si avviava al termine, una signora anziana passeggia avanti e indietro con un cartello con la raffigurazione della morte e la scritta “Dad morte della didattica”. La nonna, da dietro la sua mascherina con i colori dell’arcobaleno dice: “una cosa così non si era mai vista, mi vergogno tantissimo con questi ragazzi, con questa generazione” Lei che di cose ne ha viste passare tante, con il suo cartello e le sue parole, inverte la narrazione dominante degli ultimi mesi, che ha visto giovani colpevoli contro anziani in pericolo di vita.  Da Vicenza, i partecipanti, riferiscono che ieri è andata in scena una battaglia civile straordinaria. Ieri è stato il primo appuntamento in presenza di un’unità di voci, che seppur con accenti diversi ha ridato dignità ai nostri figli e speranza a un cambio di rotta per il futuro del nostro paese che passa inevitabilmente da loro. VICENZA PIU’

 

13.4.2021 Fiammetta Borsellino ha ricordato come il padre avesse a cuore la scuola, presidio di autentica lotta alla criminalità, mentre la dispersione scolastica causata dalla chiusura delle scuole sta consegnato centinaia di ragazzi nelle mani della malavita. «Negando il diritto alla scuola stanno uuccidendo una seconda volta mio padre.FAMIGLIA CRISTIANA

 

10.4.2021 SERVIZIO TG SKY24 MANIFESTAZIONE NAZIONALE  “Non c’è più tempo, bisogna tornare in classe”. La protesta indetta dalle trenta associazioni della rete nazionale “Scuola in presenza”. In piazza del Popolo anche Fiammetta Borsellino. All’Esquilino la manifestazione della Comunità Educante 100celle e del Coordinamento Aec “I giovani sono il nostro futuro, rendiamo loro il presente per crescere”, “manifesto contro la pandemia educativa”, “lasciare la scuola aperta”. E ancora: “La scuola è solo in presenza”. Sono solo alcuni degli striscioni e dei cartelloni che dalle 15 di oggi, nonostante qualche goccia di pioggia, sono approdati a piazza del Popolo, in occasione della protesta indetta dalla rete nazionale “Scuola in presenza”, insieme alle 30 associazioni che raggruppano. “Eravamo in 500 – dicono gli organizzatori – per chiedere con forza il rientro a scuola per tutti gli studenti, anche in zona rossa. Scuola è salute anche e soprattutto in tempo di pandemia: i ragazzi non stanno bene e manifestano un disagio sempre più ampio, diffuso e grave, come confermato anche dall’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani e dalle associazioni che tutelano infanzia e adolescenza. Il nostro Paese continua a non proteggere i suoi cittadini più piccoli e i suoi ragazzi privandoli del luogo privilegiato per la loro crescita, la scuola” E non è tutto: “Pur riconoscendo la gravità della pandemia, saremo di nuovo in piazza per chiedere alle Istituzioni di attivarsi in ogni modo per consentire l’immediato rientro in classe di tutti gli studenti”, inclusi quelli delle superiori, che attualmente sono tornati, sì, in presenza, ma dal 50% e non oltre il 75%. Diversi gli interventi, da docenti ad avvocati, da studenti a insegnanti e genitori.A parlare è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio del 1992di Valentina Lupia. LA REPUBBLICA 10.4.2021

 

9.4.2021 – SCUOLA, IL CONSIGLIO DI STATO BOCCIA PALAZZO CHIGI E CHIEDE MAGGIORE DOCUMENTAZIONE PER IMPORNE LA CHIUSURA Esultano le associazioni delle famiglie che chiedono lezioni in classe. Domenica manifestazione del comitato Rete nazionale Scuola in presenza. Fiammetta Borsellino: “I ragazzi stanno soffrendo molto” Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dall’Avvocatura contro l’ordinanza del Tar Lazio che  bocciava i vecchi Dpcm del governo nazionale di gennaio, febbraio e marzo che prevedevano la schiusa delle scuole. Il Consiglio di Stato ha ribadito quanto già ampiamente indicato dal Tar Lazio e cioè che vi è «(…) la non forte influenza delle attività di istruzione in presenza ai fini della diffusione del contagio, sicché non apparirebbe una razionale motivazione della priorità assegnata alla precauzione sanitaria a fronte della grave compressione del diritto alla istruzione, anch’esso costituzionalmente tutelato».  di Antonio Fraschilla L’ESPRESSO