Guerra alle cosche, il fronte si sposta al Nord

 

di Giuseppe Pignatone

Qualche settimana fa, tre operazioni coordinate delle Direzioni distrettuali antimafia di Milano, Firenze e Reggio Calabria hanno portato all’arresto di 104 persone, al sequestro di beni immobili e aziende, nonché al ritrovamento – parte a Gioia Tauro, parte al porto di Livorno – di quasi 1000 chilogrammi di cocaina. Risultati notevolissimi ma che, fermo restando l’accertamento processuale delle singole responsabilità, suggeriscono una prima amara riflessione: a undici anni dall’indagine Crimine-Infinito (luglio 2010) appare immutato il quadro allora delineato sulla presenza della ‘ndrangheta calabrese nel Nord del Paese. Nonostante le condanne inflitte, le centinaia di arresti e di processi che si sono susseguiti, la ‘ndrangheta ha continuato a rafforzare la sua presenza nelle regioni settentrionali, soprattutto in Lombardia. Presenza dominante nelle attività illegali – a cominciare dal traffico di stupefacenti, la prima fonte della potenza economica delle mafie – ma significativa anche in quelle legali. È doveroso chiedersi come sia stato possibile. Un punto fondamentale, confermato da tutte le indagini, sta nella disponibilità di operatori economici e commerciali e di professionisti a entrare in affari con gli ‘ndranghetisti, fornendo loro know how (persino in materia di evasione fiscale) e offrendo “facce pulite” dietro cui nascondere la loro presenza. Questa disponibilità viene talvolta motivata con la necessità di far fronte alle pretese estorsive dei mafiosi, pronti a intervenire là dove le banche negano i finanziamenti. Ma sempre più spesso il collegamento con i criminali deriva unicamente dalla volontà di fare affari, di arricchirsi. Come se mettersi in società con un mafioso fosse una cosa normale e non un’avventura gravida di rischi, come peraltro dimostrano decine di processi. Oltretutto, grazie a queste disponibilità, la ‘ndrangheta si rafforza e si espande acquisendo la rete di relazioni economiche, sociali e anche politiche che appartengono a ogni nuovo “socio”.
Sono gli stessi malcapitati imprenditori a mettere a verbale che i boss “avevano necessità di soggetti puliti che potessero essere credibili per avere lavoro in Lombardia e, da questo punto di vista, io e … (un altro indagato, n.d.r.) eravamo perfetti, in quanto avevamo contatti sul territorio ed entrambi avevamo rivestito cariche pubbliche. Io avevo anche l’esperienza di funzionario di banca per ottenere fidi e la fiducia del sistema creditizio”.
Lo stesso schema si ripete nelle altre regioni del Centro-Nord. La Dda di Firenze ha scoperto che le cosche reggine avevano fatto transitare ingenti quantitativi di cocaina dal porto di Livorno giovandosi della complicità di un dipendente della Compagnia portuali, così come investimenti mafiosi sono stati individuati anche in Toscana, in Umbria e nel Lazio. L’attività della ‘ndrangheta si estende anche oltre confine, per esempio in Svizzera. Un Paese – si ascolta in una intercettazione – in cui conviene stare “perché non c’è il 416 bis” cioè il reato di associazione mafiosa. E infatti un imprenditore intercettato rivela che gli ‘ndranghetisti (di cui peraltro è socio), “hanno trasferito grandissima parte della loro attività in modo legale al Nord, dove loro non compaiono più. Hanno i contatti, hanno le cose. Le società sono nel Nord, sono sparse nell’Europa, sono sparse nel mondo. Perché dipende poi dalla quantità di contanti che riescono a mettere insieme”.
La preoccupazione per la presenza delle mafie nell’economia legale non può che crescere nel momento in cui si devono investire gli ingenti fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e ci sono molti segnali della volontà delle organizzazioni criminali di acquisirne una parte.
Nonostante tutto, però, va ricordato che la situazione nelle altre regioni d’Italia è ben diversa da quella calabrese. Come ha detto il Procuratore di Milano, nel Nord “le mafie hanno più difficoltà a prendere il controllo, anche politico: ma rischiano di arrivare a prenderlo se non si alza la soglia di allerta”.
In buona sostanza, i criminali fanno ovunque il loro mestiere e dipenderà solo da noi riprodurre quella sinergia tra forza repressiva dello Stato (che funziona e ottiene risultati), capacità di reazione politica, etica professionale e senso civico espressi da ogni singolo cittadino: la stessa sinergia che ha sconfitto la mafia siciliana delle stragi. LA REPUBBLICA 27.11.2021