15 novembre 2021 – ANTONIO INGROIA: “Borsellino non si fidava di molti PM”

 

16.11.2021 – Ingroia: “Borsellino non si fidava di molti pm”/ “Mi disse ‘Manda tutti in ferie’ e…” Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo, è stato ascoltato come teste dell’accusa nel processo sul depistaggio sulle indagini della strage di Via D’Amelio: l’oggi avvocato, come riportato da Adnkronos, ha parlato del periodo antecedente alla morte di Paolo Borsellino e dei comportamenti che quest’ultimo aveva. “Non si fidava di molti pm della Procura. Aveva sempre la porta chiusa”. La situazione era cambiata soprattutto negli ultimi tempi. Prima, infatti, era sempre sorridente e amichevole, tanto che “nel suo studio c’era un via vai di colleghi”, a differenza di Giovanni Falcone che era più riservato. Il giudice ucciso il 19 luglio 1992 si fidava, in base alla ricostruzione, di lui e di pochi altri. “Pensava che l’80 per cento della procura fosse controllata dal Procuratore di allora Giammanco. Poi c’era un gruppo sparuto chiamato in modo sprezzante i ‘Falconiani’ che per lui era un punto di riferimento”, ha spiegato Antonio Ingroia. È per questa ragione che quell’estate non voleva che l’ex procuratore aggiunto di Palermo andasse in vacanza. “Mi disse ‘Fai andare tutti questi in ferie e ci lavoriamo noi’”.  Ingroia: “Borsellino non si fidava di molti pm”. La collaborazione con Mutolo Un elemento chiave nel racconto di Antonio Ingroia sugli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino riguarda la collaborazione con Gaspare Mutolo, che doveva restare segreta. “Ricordo un giorno mi disse nella sua stanza di non dire a nessuno di una importante collaborazione che stava per arrivare. La prima volta non mi disse neanche il nome, ma che c’era un grosso pentito che si apprestava a collaborare e che a suo parere poteva fare luce su legami tra Cosa Nostra e altri ambienti”, ha ricordato. Pochi giorni dopo, tuttavia, Bruno Contrada, dirigente dei Servizi Segreti arrestato a dicembre del 1992 per concorso esterno in associazione mafiosa, era a conoscenza del pentimento di Gaspare Mutolo. “Paolo lo percepì come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero dell’Interno voleva fargli sapere che Contrada non era solo e c’erano loro dietro di lui”, ha concluso. IL SUSSIDIARIO


15.12.2021 Depistaggio Borsellino, Ingroia: “Mutolo era pronto a parlare di uomini dello Stato”. “Nei giorni immediatamente successivi alla strage di via d’Amelio nell’attivita’ immediatamente sviluppata dalla Procura di Caltanissetta ci venne comunicato che il procuratore capo Tinebra aveva chiesto e ottenuto dal procuratore generale di Palermo di poter avere un ufficio a sua disposizione dentro il palazzo di giustizia di Palermo, che gli venne concesso al primo piano. Tinebra mi contatto’ per incontrarmi. Ci andai“. A raccontare le fasi subito dopo la strage di Via D’Amelio del 19 luglio del 1992, in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, e’ l’avvocato Antonio Ingroia, ex pm, chiamato oggi a deporre come teste nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage, che si svolge a Caltanissetta “Tinebra – ha continuato Ingroia rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso – si presento’ vestito in maniera informale e mi disse che voleva farsi un’idea e se c’erano cose particolari sul quale indirizzare le indagini. Mi parve importante e significativo metterlo a parte di cio’ che avevo saputo la sera stessa della strage, seduto su una delle panchine dei corridoi della Procura di Palermo. Eravamo io, la collega Teresa Principato e il collega Ignazio De Francisci; entrambi mi raccontarono di aver appreso da Paolo Borsellino, il sabato 18, quando io non ero in ufficio, che uno o due giorni prima aveva interrogato Gaspare Mutolo, il quale, fuori verbale, gli aveva anticipato delle rivelazioni che aveva da fare su uomini dello Stato e cioe’ Bruno Contrada e il magistrato Domenico Signorino“.  “Borsellino si recò a Roma al ministero dell’Interno e riferì che con una scusa venne accompagnato in una stanza in cui incontrò Bruno Contrada. Quest’ultimo era a conoscenza dell’inizio della collaborazione di Gaspare Mutolo. Borsellino lo percepì come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero dell’Interno voleva fargli sapere che Contrada non era solo e c’erano loro dietro di lui. Questo lo appresi da Carmelo Canale e poi da Agnese Borsellino“.Ha concluso l’avvocato Antonio Ingroia il SICILIA


15.12.2021 – Strage via D’Amelio, Ingroia: ‘Borsellino cominciò a non fidarsi più’. Il processo si svolge a Caltanissetta. “Sono certo che la ritrattazione fatta da Vincenzo Scarantino fu verbalizzata. Scarantino disse che l’avevano indotto a collaborare. I magistrati erano sconcertati e amareggiati. Il dottor Petralia si mise quasi le mani ai capelli. Pensavano: ‘ma Scarantino ci aveva riferito cose che solo chi in qualche modo ha partecipato al fatto può conoscere. E quindi o gliele ha dette qualcuno oppure c’è qualcosa che non va’ “.
L’interrogatorio del ’98. Lo ha detto Santino Carmelo Foresta, ex avvocato di Vincenzo Scarantino, deponendo oggi nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta, in riferimento a un interrogatorio del 2 settembre del 1998. Accusatosi di aver partecipato all’attentato contro il giudice Paolo Borsellino, Scarantino viene arrestato il 29 settembre 1992. Dopo essere stato recluso nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, decise di collaborare con gli inquirenti spiegando come venne organizzata la strage in cui morì il giudice Borsellino. Venne condannato a 18 anni e poi cominciò ad accusare poliziotti e magistrati. Nel 1998 Scarantino ritrattò tutto affermando di non avere preso parte all’attentato di via D’Amelio e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo a confessare il falso, e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa. Nel 2007 il pentito Gaspare Spatuzza ha confessato di essere stato l’autore del furto dell’auto Fiat 126 usata per l’attentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Borsellino. “Quando Scarantino ritrattò i magistrati si posero il problema che sapeva delle cose che non poteva sapere se si era inventato tutto. Chiaramente quello che era accaduto non era del tutto normale. Durante l’interrogatorio – ha aggiunto il teste rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Scozzola – non ricordo se ci fossero state delle pause e non ricordo nemmeno se gli furono mostrate foto. Erano presenti i pm Francesco Paolo Giordano, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Dopo un po’ nel corso del suo interrogatorio ritrattò la sua stessa ritrattazione confermando quanto detto in precedenza”.


La testimonianza di Ingroia. “Borsellino si recò a Roma al ministero dell’Interno e riferì che con una scusa venne accompagnato in una stanza in cui incontrò Bruno Contrada. Quest’ultimo era a conoscenza dell’inizio della collaborazione di Gaspare Mutolo. Borsellino lo percepì come un segnale preoccupante. Pensò che qualcuno dal ministero dell’Interno voleva fargli sapere che Contrada non era solo e c’erano loro dietro di lui. Questo lo appresi da Carmelo Canale e poi da Agnese Borsellino”. Lo ha detto l’avvocato Antonio Ingroia, chiamato oggi a deporre come teste nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta, che ha aggiunto: “”Nell’ultima fase della sua vita Paolo Borsellino teneva la porta del suo ufficio sempre chiusa. Il suo carattere era sempre stato allegro ed estroverso, a differenza di quello di Giovanni Falcone che era più riservato. Quindi era uno che aveva sempre tenuto la porta aperta con un viavai continuo di colleghi. Nell’ultimo periodo teneva sempre chiusa la porta. Mi disse che era per tutelare la sua riservatezza, perché chiunque passava vedeva con chi si incontrava. Non si fidava più. Ricordo – ha aggiunto Ingroia, rispondendo alle domande dell’avvocato Fabio Trizzino – che incontrandomi nella sua stanza mi disse di non dire a nessuno di una importante collaborazione che stava per arrivare. La prima volta non mi disse neanche il nome, ma che c’era un grosso pentito che si apprestava a collaborare e che a suo parere poteva fare luce su legami tra Cosa Nostra e altri ambienti. Mi chiese di non dirlo neanche a Roberto Scarpinato, perché quest’ultimo era uno con cui io parlavo”. LIVE SICILIA


15.11.2021 – Depistaggio Borsellino, l’ex avvocato di Scarantino: “Pm sconcertati da ritrattazione”. “Sono certo che la ritrattazione fatta da Vincenzo Scarantino fu verbalizzata. Scarantino disse che l’avevano indotto a collaborare. I magistrati erano sconcertati e amareggiati. Il dottor Petralia si mise quasi le mani ai capelli. Pensavano: ‘ma Scarantino ci aveva riferito cose che solo chi in qualche modo ha partecipato al fatto può conoscere. E quindi o gliele ha dette qualcuno oppure c’è qualcosa che non va‘ “. Lo ha detto Santino Carmelo Foresta, ex avvocato di Vincenzo Scarantino, deponendo oggi nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta, in riferimento a un interrogatorio del 2 settembre del 1998. Accusatosi di aver partecipato all’attentato contro il giudice Paolo Borsellino, Scarantino viene arrestato il 29 settembre 1992. Dopo essere stato recluso nel carcere di massima sicurezza di Pianosa, decise di collaborare con gli inquirenti spiegando come venne organizzata la strage in cui morì il giudice Borsellino. Venne condannato a 18 anni e poi cominciò ad accusare poliziotti e magistrati. Nel 1998 Scarantino ritrattò tutto affermando di non avere preso parte all’attentato di via D’Amelio e di essere stato costretto da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo a confessare il falso, e di aver subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa. Nel 2007 il pentito Gaspare Spatuzza ha confessato di essere stato l’autore del furto dell’auto Fiat 126 usata per l’attentato, scagionando Scarantino e dimostrando che era un falso pentito, usato per sviare le indagini sulla morte di Borsellino. “Quando Scarantino ritrattò i magistrati si posero il problema che sapeva delle cose che non poteva sapere se si era inventato tutto. Chiaramente quello che era accaduto non era del tutto normale. Durante l’interrogatorio – ha aggiunto il teste rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Scozzola – non ricordo se ci fossero state delle pause e non ricordo nemmeno se gli furono mostrate foto. Erano presenti i pm Francesco Paolo Giordano, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Dopo un po’ nel corso del suo interrogatorio ritrattò la sua stessa ritrattazione confermando quanto detto in precedenza”.IL SICILIA



15.12.2021 *- INGROIA, “PAOLO BORSELLINO NON SI FIDAVA DI MOLTI PM DELLA PROCURA DI PALERMO”. 
“Pensava che l’80 per cento fosse controllato dal Procuratore Giammanco”.. Caltanissetta, 15 dic. (Adnkronos)

“Nel periodo precedente alla strage di via d’Amelio Paolo Borsellino non si fidava di molti pm della Procura di Palermo”. Lo ha detto l’ex Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia deponendo al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio a Caltanissetta. Rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile della famiglia Borsellino, l’avvocato Fabio Trizzino, che è anche il genero del giudice ucciso nella strage, ha spiegato che Borsellino si fidava di lui ” pochi altri”.
“Pensava che l’80 per cento della procura fosse controllata dal Procuratore di allora Giammanco”. “Mi disse che era sua intenzione affiancare me a lui durante l’estate per la collaborazione di questi collaboratori, in particolare Leonardo Messina, perché si fidava di me, perché c’erano molti magistrati di cui non si fidava – dice – Io quel giorno, il 15 luglio del 1992, l’ultima volta che lo vidi, gli dissi che stavo per prendermi qualche giorno di ferie ma lui non la prese bene. Io lo andai a salutare ma lui rimase con la testa china, mi salutò freddamente”.
Borsellino aveva chiesto a Ingroia di affiancarlo nella gestione di due collaboratori, Gaspare Mutolo e Leonardo Messina. “Mi disse ‘Fai andare tutti questi in ferie e ci lavoriamo noi’. Perché stava andando in una procura che considerava per l’80 per cento controllata dal procuratore Giammanco. Poi c’era un gruppo sparuto chiamato in modo sprezzante i ‘Falconiani’ che per lui era un punto di riferimento