Fiammetta Borsellino: «Mi vergogno di questo Stato» Intervista alla figlia del magistrato ucciso il 19 luglio 1992

Fiammetta Borsellino: «Mi vergogno di questo Stato» Intervista alla figlia del magistrato ucciso il 19 luglio 1992

19 LUGLIO 2019

Una lettera firmata dall’ormai ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, alla vigilia del 27° anniversario della strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta, è stata inviata ieri a Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso il 19 luglio 1992. 

«L’ultimo affronto (la lettera di Riccardo Fuzio, ndr), da parte di uno Stato che non ha mai voluto fare niente per individuare i veri colpevoli del depistaggio sulla morte di mio padre» rivela al Quotidiano del Sud Fiammetta Borsellino che da anni ha  intrapreso una battaglia per avere verità e giustizia sulla morte di suo padre.

«Una lettera – sottolinea Fiammetta –  che vengono i brividi a leggerla, che mi indigna e che indignerebbe anche mio padre e tutti i magistrati che fanno e che hanno fatto il loro dovere».

Fiammetta Borsellino, indignata e amareggiata, rivela al Quotidiano del Sud di aver ricevuto proprio ieri la lettera di Fuzio (che si è dimesso dopo essere stato indagato dalla Procura di Perugia per rivelazione del segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara). Una lettera che, dice ancora Fiammetta Borsellino, è la dimostrazione di uno Stato incapace di cercare la verità.

Ma non è tutto, Fiammetta Borsellino spara a zero anche contro la Commissione nazionale antimafia e contro il Parlamento che «strumentalizzano», a fini mediatici, e in occasione del 27° anniversario della morte di suo padre, desecretando atti del Csm e della stessa Commissione antimafia. «Una vergogna» dice Fiammetta Borsellino.

Ma cosa le ha scritto l’ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio? «Una lettera incredibile e vergognosa, nella quale dice di non essere riuscito a far nulla per avviare una indagine per l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati coinvolti nell’inchiesta sul depistaggio, indagati dalle procure di Messina e Caltanissetta: una indagine che avrebbe dovuto portare ad individuare i magistrati responsabili del depistaggio».

Mi spieghi, cosa non ha fatto l’ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio? «Un anno fa io e mia sorella Lucia siamo state convocate da Fuzio, al quale abbiamo portato carte, documenti testimonianze ed altro, e lui ci aveva assicurato un suo intervento per promuovere l’azione disciplinare. Perché che ci siano dei magistrati responsabili del depistaggio sull’inchiesta di mio padre, non lo diciamo noi figli di Paolo Borsellino, ma l’ultima sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta. Adesso questa lettera, scritta tra l’altro con i piedi, ci indigna ancor di più, perché dopo un anno Fuzio sostiene di non avere avuto il tempo di occuparsi di questa vicenda perché era impegnato in altre vicende giudiziarie. Quali lo abbiamo scoperto in queste ultime settimane, perché era occupato a pilotare con Luca Palamara  le nomine dei procuratori di Roma,Torino ed altre procure. Una vera e propria indecenza, si è consumato da solo».

 Insomma, è sempre più difficile ottenere la verità sulla morte di suo padre e dei suoi angeli custodi,  i cinque poliziotti che morirono con lui?

«Sono passati 27 anni ed i risultati, quelli dal punto di vista processuale, dicono che  siamo con una sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta che prova il depistaggio ed un’altra inchiesta dove ci sono due magistrati indagati e non c’è stato nessun avvio  di provvedimenti, dopo evidenti anomalie. C’è stata  una totale presa in giro da parte della Procura generale della Cassazione».

Cioè? “Io e mia sorella Lucia siamo state convocate a Roma da Fuzio per fare verbali e dichiarazioni. Ma non è successo nulla, perché lui era impegnato in tutt’altro. Da allora, non si è saputo piu niente, non ha fatto nulla, non ha avviato nessuna azione di impulso per l’azione disciplinare nei confronti di quei magistrati coinvolti nel depistaggio: un totale silenzio, una totale inadempienza».

Insomma, una delusione dietro l’altra da parte dello Stato e dei suoi rappresentanti? «La cosa grave è che non si sono espressi in termini negativi o positivi, perché erano impegnati in altro, a mercanteggiare con le toghe da nominare. Fuzio mi ha scritto una lettera offensiva, scritta da una delle più alte cariche dello Stato . Una lettera scritta con i piedi in cui si legge: “Io (Riccardo Fuzio Procuratore Generale della Cassazione, ndr) non ho potuto fare nulla ed ho continuato ad acquisire carte ed elaborare l’istruttoria, avrei voluto fare qualcosa all’inaugurazione dell’ anno giudiziario”».

Quindi si è sentita offesa e indignata? «Ma le cose non si fanno nelle inaugurazioni degli anni giudiziari. Sono semplicemente allibita. Da mesi gli mandavo mail: caro dottor Fuzio, veramente lei ci prende per i fondelli, lei non è stato capace di produrre un atto per avviare un’azione disciplinare, il Procuratore generale della Cassazione è come il pm, se lui non ha fatto un’azione, se lui non si muove ha fatto un grave errore e forse un reato. Mi scrive: “Avrei voluto e avrei potuto fare qualcosa per soddisfare la vostra richiesta di verita”».

E lei cosa ha risposto a Fuzio? «Non ho capito la sua lettera, assolutamente priva di concretezza, perché oggi, a distanza di un anno dall’ istruttoria che avrebbe dovuto avviare, non può dire “ Io sto continuando a vedere carte. Io non sono come quelli che si pavoneggiano per il 19 luglio, io avrei voluto dare voce nell’inaugurazione dell‘anno giudiziario».

Tutto ciò sembra irreale. Lei che dice? «Ma Fuzio doveva produrre atti, provvedimenti. E comunque gli ho detto che questa lettera che mi ha mandato aveva il sapore di trincerarsi dietro false scuse per giustificare la sua inadempienza. Per me è stata una risposta di merda».

Si arriverà ad una verità? «Il danno lo hanno fatto grosso, al di là degli impegni delle procure di Messina e Caltanissetta uno non deve perdere la speranza di arrivare alla verità, non puoi mai abbandonare l’ idea di vedere la luce, queste persone indegne che hanno condotte le indagini, investigatori e magistrati, se hanno sbagliato devono pagare. Io mi riferisco a tutti i poliziotti, investigatori e magistrati che hanno lavorato fino a quando non ci fu il pentimento di Gaspare Spatuzza che ha svelato il depistaggio. Non lo dico io che c’è stato un depistaggio, lo dicono le sentenze. Ci sono dei magistrati che dicono che io sono una pazza. Ma le inchieste non dicono che sono pazza, perché hanno indagato magistrati e poliziotti. Certo, questo è stato uno dei più gravi errori giudiziari della storia italiana, una inchiesta che era coordinata dal procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, Maria Palma, Carmelo Petralia, Ilda Boccassini, la quale invece di denunciare pubblicamente quello che stava succedendo si è limitata a fare due lettere in cui prendeva le distanza da Tinebra, lettere che ha messo in un cassetto. Ilda Boccassini non doveva fare due lettere a Giovanni Tinebra, ma doveva fare una una denuncia pubblica, ha fatto quelle due lettere per “mettersi il ferro dietro la porta”. Avrebbe dovuto fare una denuncia pubblica dicendo che Scarantino era un falso pentito»,

Cosa chiede allo Stato? «Semplicemente di fare il proprio dovere. Questa è una storia molta amara, se ognuno avesse fatto il proprio dovere, di non girarsi dall’altra parte,  non avremmo magistrati indagati e poliziotti indagati. Semplicemente fare il proprio dovere dare un contributo di onestà da parte delle istituzioni».

Ma chi organizzò tutto questo ed incredibile depistaggio provato da sentenze ed inchieste? «Allora non ci furono soltanto i magistrati che lavoravano, ma un intero apparato, che investe i servizi segreti per fare delle indagini. Oggi, anzi ieri, molti si pavoneggiano di avere desecretato quegli atti. Loro (Commissione antimafia e Parlamento, ndr) puntano agli anniversari per fare vedere che lavorano. Loro, il Csm e la Commissione antimafia le fanno il 19 luglio nell’anniversario della morte di mio padre e degli uomini della sua scorta ed hanno il sapore della strumentalizzazione mediatica».

di FRANCESCO VIVIANO – IL QUOTIDIANO