3 dicembre 2013 SALVATORE LA BARBERA, Polizia di Stato, depone al “Borsellino Quater” (AUDIO) SALVATORE LA BARBERA: “Intendo rispondere, così come ho sempre fatto: non mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Lo ha detto il dirigente della polizia delle comunicazioni di Milano, Salvatore La Barbera, presentandosi davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta che si occupano del processo Borsellino-quater. La Barbera, così’ come i suoi colleghi Mario Bò e Vincenzo Ricciardi è indagato dalla procura nissena perché avrebbe indotto gli ex collaboratori di giustizia Salvatore Candura, Vicenzo Scarantino e Francesco Andriotta a fare accuse false nell’ambito delle prime indagini sulla strage Borsellino del 19 luglio 1992. Contrariamente ai suoi co-indagati – che la scorsa udienza si sono avvalsi della facoltà di non rispondere provocando le ire di Salvatore Borsellino che ha chiesto al capo della Polizia, Alessandro Pansa di adottare provvedimenti nei confronti di Bò ha risposto per quasi due ore alle domande dei pm e dei difensori. Salvatore La Barbera, giovanissimo funzionario di polizia all’epoca delle indagini sulla strage di via D’Amelio ha ripercorso e fasi dell’arresto di Salvatore Candura per violenza sessuale e, dopo le intercettazioni in carcere, al collegamento con il furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba. “Io – ha spiegato Salvatore La Barbera – non avevo un ruolo strategico sul fronte delle indagini. Non facevo parte del gruppo che sceglieva le strategie investigative. Era Arnaldo La Barbera che le concordava con l’autorità giudiziaria. Io ricevevo disposizioni” ha detto il teste. Salvatore La Barbera, che ha ricordato come non avesse apprezzato molto la sua promozione a capo della squadra mobile di Caltanissetta, in merito alla conduzione delle indagini sulla strage Borsellino, ha detto che se avesse avuto “dubbi sulle indagini avrei fatto una relazione di servizio”. Rispondendo alle domande dei Pm, Salvatore La Barbera ha spiegato di essersi occupato, prevalentemente del filone di indagini che riguardava “i telecomandi Telcoma”. Il teste ha quindi affermato che un certo numero di telecomandi di quel tipo era stato venduto da un negozio di Mascalucia, nel catanese, dei fratelli Di Stefano. “L’accertamento ebbe sviluppi con dinamiche operative… ricordo che ci fu pure un incendio della documentazione contabile in questo esercizio commerciale”. Salvatore La Barbera ha quindi ricordato come “venne sentito Giocacchino La Barbera ed emerse un trasferimento dei telecomandi da Catania verso Palermo”. I telecomandi, in sintesi sarebbero stati “consegnati a Catania e trasferiti a Palermo da due persone”. Secondo il teste i telecomandi erano “identici” a quelli rinvenuti nel covo mafioso di contrada Giambascio. Nel corso della deposizione, il teste ha parlato di Gioacchino Genchi, che “aveva un canale diretto con Arnaldo la Barbera e si occupò delle interferenze sulle linea telefonica dei familiari di Borsellino. Ricordo che quando si interruppero i rapporti fra Genchi e La Barbera i rumors in ufficio dicevano che c’erano stati screzi sull’esito della consulenza… chiacchiere”. Sul pretorio è poi salito Leonardo La Vigna, dirigente generale della Polizia di Stato. Nel 1992 era all’Alto commissariato per la lotta alla mafia. “Il prefetto Verga era il mio capo. Non mi risulta che al castello Utveggio di Palermo ci fosse un ufficio del Sisde” ha detto. PRIMA INFORMAZIONE