20 luglio 1992 – Il telegramma negato per la famiglia Borsellino

Cosimo Scirocco, operaio residente in Germania ma in vacanza nel suo paese di origine nel beneventano, non riesce a spedire un telegramma di cordoglio alla famiglia di Paolo Borsellino per l´opposizione di Michele Borrillo, direttore del locale ufficio postale:

“Questo telegramma non s’ha da fare, caro Cosimo Cirocco. Ne’ ora ne’ mai, o almeno fino a che saro’ io il responsabile di questo ufficio postale”, sentenzio’ Michele Borrillo, 58 anni, direttore delle Poste di Molinara, un paesino del Sannio (a 30 chilometri da Benevento) con poco piu’ di 2 mila abitanti dediti all’agricoltura o impiegati in qualche fabbrichetta di abbigliamento e di alluminio.

E aggiunse con piglio dottorale: “Lo prevede l’articolo 18, secondo capoverso, capitolo III delle “Istruzioni sul servizio, edizione aggiornata al 1 ottobre 1985…”.

Il povero Cosimo Cirocco, 42 anni, da 20 emigrato a Stoccarda dove e’ caporeparto alla Bosch, sposato, due figli, tornato al paesello per le ferie, di fronte a tanto scibile prima ammutoli’, quindi replico’, alla fine esplose, come Renzo Tramaglino di fronte a don Abbondio che parlava latinorum. La replica fu: “Un povero operaio non puo’ spedire un telegramma di solidarieta’ e protesta per l’uccisione di Paolo Borsellino? Ma allora – e qui Cosimo esplose – la mafia e’ anche qui e lei la copre”. Agitandosi, il dottor Borrillo minaccio’: “E io mi riservo di denunciarla per le sue espressioni irriguardose”. Poi tirando un fazzoletto da tasca, componendosi e asciugandosi il sudore, mormoro’ tra se’ e se’: “Ma guarda che cosa doveva capitarmi dopo 32 anni di servizio e proprio il primo giorno di lavoro dopo le ferie”. Era infatti il 20 luglio quando Cosimo Cirocco, di provata fede missina e italiano (all’estero) ferito nell’onore dalle stragi di mafia, aveva deciso, il giorno dopo la morte di Borsellino, di inviare un telegramma alla famiglia della vittima.

La prima ricostruzione e’ del dottor Borrillo: “Mandata da Cirocco, che era ancora in Germania, venne sua cognata per spedire alla sede del Msi di Roma un telegramma cosi’ concepito: “Partecipo al dolore per la morte di Borsellino, ucciso con la collaborazione del governo”. Non potevo accettarlo.

L’articolo 18 delle nostre disposizioni recita: “Ove in un telegramma si riscontrino parole scurrili, ingiuriose, denigratorie, e quindi si ravvisino in esse estremi di reato perseguibili a querela di parte il telegramma deve essere inoltrato a destinazione solo se il mittente di cui sia stata accertata l’identita’ sottoscrive il messaggio.

In caso contrario deve essere accettato, ma inviato al pretore”. Replica Cosimo Cirocco dalla Germania, dove e’ ritornato al lavoro e dove ha scatenato un putiferio protestando presso l’associazione consolare Com. It. Es. (Comitato degli italiani all’ estero), di cui fa parte: “Le cose sono andate diversamente. Il telegramma intanto diceva: “Partecipo al dolore che ha colpito la vostra famiglia nell’amico Borsellino che e’ stato barbaramente trucidato dalla mafia causa anche la mancata protezione dello Stato”.

Di quel magistrato in Germania si parlava tanto, noi italiani lo vedevamo come una bandiera dell’onesta’, lo sentivamo un amico. E’ vero che prima ho mandato mia cognata e che volevo indirizzare il messaggio alla sede del Msi.

Di fronte alla reazione del direttore, pero’, mi sono precipitato io alla Posta, perche’ quel giorno ero in campagna, non in Germania. Eppure il direttore non lo ha accettato. E voleva convincermi che lo faceva per il mio bene”. Convinzione immutata nel dottor Borrillo: “Pensi – dice – a quel che sarebbe successo al povero emigrato se avessi mandato il telegramma al pretore”. “Ragazzacci, che, per non saper che fare, voglion maritarsi e non si fanno carico de’ travagli in che mettono un povero galantuomo”, diceva don Abbondio. Gia’, ma come e’ venuto in mente a un povero emigrato di voler inviare certi telegrammi..? [119]