PAOLO BORSELLINO, una morte annunciata

13 luglio 1992  Il ROS di Palermo comunica ai vertici della Procura e delle forze dell’ordine che è stato segnalato da attendibili fonti confidenziali l’arrivo di un carico di esplosivo in città.
I possibili obiettivi, sempre secondo l’informativa, sono Borsellino, il maresciallo Canale, il capitano dei carabinieri Sinico, i politici Salvo Andò e Calogero Mannino. Nel pomeriggio, un poliziotto della scorta guarda Borsellino in volto, lo vede preoccupato, teso, troppo teso, non puó fare a meno di chiedergli: “Dottore, cosa c´é? È successo qualcosa?” Borsellino, come se non potesse trattenersi, gli dice di botto: “Sono turbato, sono preoccupato per voi, perché so che é arrivato il trirolo per me e non voglio coinvolgervi.” L´agente sbianca, resta senza parole. Di quei giorni, gli ultimi della vita di Borsellino, la moglie Agnese ricorda la fretta, la frenesia di lavorare, la paura di avere poco tempo, la consapevolezza di essere un bersaglio vivente. “Era turbato. Gli facevo tante domande, e lui non mi rispondeva. E io dicevo: “Ma perché non mi rispondi?”. “Non vi voglio esporre” mi ripeteva “e poi: non ho tempo da perdere, devo lavorare, devo lavorare…” Era turbato, sí, tantissimo.” Agnese ricorda quell´angoscia di correre contro il tempo, per arrivare alla veritá prima di essere fermato.
Ma quale veritá? “Ricordo – racconta Agnese – che Paolo mi ripeteva sempre: é una corsa contro il tempo, per arrivare alla veritá prima di essere fermato. Ma quale veritá? “Ricordo – racconta Agnese – che Paolo mi ripeteva sempre: é una corsa contro il tempo quella che io faccio. Sto vedendo la mafia in diretta, devo lavorare tanto, devo lavorare tantissimo.”    
“Il tritolo é arrivato con un carico di “bionde”, l´ha scoperto la finanza ed é arrivato per me, Orlando ed un ufficiale dei carabinieri.” É la rivelazione che Borsellino fa in un giorno di giugno a padre Cesare Rattoballi, dirigente dell´Agesci, l´associazione cattolica degli scout, il sacerdote che é diventato suo confidente nelle ultime settimane.
Don Rattoballi é cugino di Rosaria Schifani, é rimasto vicino alla giovane vedova che ha lanciato l´anatema contro i mafiosi, dal pulpito della chiesa di San Domenico, nel giorno dei funerali di Falcone, e delle altre vittime di Capaci. Conosce Borsellino fin dagli anni settanta, gli si é avvicinato in modo particolare in quelle settimane di fuoco, dopo il “botto” sull´autostrada, imparando a leggerne i silenzi, le inquietudini, a rispettarne gli sforzi per scoprire la veritá sull´attacco allo stato.
Anche in questi giorni di luglio, mentre la cittá si va svuotando per le ferie, don Cesare sente il bisogno di andare a far visita all´amico, senza una ragione precisa, guidato dall´affetto o dall´istinto. Il sacerdote é solo, varca il metal detector del Palazzo di giustizia, s´infila nel vecchio ascensore, sale al secondo piano, scivola silenzioso fino in procura. Bussa alla porta di Borsellino. Lo saluta, gli sorride. Si siede di fronte a lui. Non sa ancora che questo sará il loro ultimo incontro.
“Quella mattina, non lo dimenticheró mai – ricorda il sacerdote – era un giorno di luglio, me ne andai in procura, non ricordo per quale ragione, bussai alla porta di Borsellino, lo salutai, lui mi accolse con un sorriso, ci mettemmo a chiaccherare. Parlammo di tante cose, era sereno, preoccupato solo per il futuro dei suoi ragazzi.
Ad un tratto mi disse: “Io sono come quello che guarda i quadri, chissá se li potró piú vedere”. Più tardi, quando fui sul punto di andarmene, mi fermó di colpo e mi chiese: “Aspetta, prima di andare via mi devi confessare”. E lí, nel suo ufficio, tra le sue carte, si raccolse e si confessó.
Rattoballi non era il suo confessore abituale. “Paolo – ricostruisce oggi il parroco – sosteneva che il sacramento della riconciliazione si puó ottenere da qualsiasi sacerdote, e quindi non aveva un confessore fisso”. Quella mattina, chiaccherando con don Cesare, l´amico, ma soprattutto il sacerdote, Borsellino coglie al volo l´occasione. Si confessa. Vuole essere purificato. Vuole essere pronto.


Venerdì 19 giugno 1992 Il generale dei carabinieri Antonio Subranni, comandante del ROS, invia un rapporto al comando generale dei carabinieri in cui si riporta che numerose fonti, mafiose e non, hanno parlato di una decisione di Cosa Nostra di eliminare fisicamente Paolo Borsellino.
Altri possibili obiettivi sono il maresciallo Canale, il Ministro della Difesa Andò e l’ex-ministro Calogero Mannino. Il rapporto numero 541 intitolato “Minacce nei confronti di personalità ed inquirenti” afferma che nell’ultimo anno gli organi dello Stato hanno esercitato un’indiscutibile pressione sulla criminalità organizzata, sia in termini di inasprimento normativo, che in termini di positivo impegno investigativo…nelle ultime settimane abbiamo proceduto ad una analisi dei dati disponibili, con l’obiettivo di ottenere un quadro delle strategie operative di Cosa Nostra e di individuare il movente e gli esecutori di eclatanti delitti di mafia riconducibili anche ad una precisa strategia di attacco allo Stato. 
Il documento cita l’uccisione del maresciallo Guazzelli, di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e degli uomini della scorta, dell’eurodeputato Salvo Lima. Poi il rapporto prosegue delineando un panorama molto preoccupante: le informazioni raccolte sia in ambienti estranei al crimine organizzato sia all’interno di quel mondo hanno consentito di ottenere da più fonti di fiducia notizia sull’esistenza di una volontà dei vertici di Cosa Nostra di opporsi con determinazione all’offensiva dello Stato, agendo contemporaneamente su due fronti. Il primo consiste nel fare pressioni, in forme indirette, su esponenti politici per ridurre l’impegno dello Stato contro la criminalità.
Il secondo invece consiste nell’eliminare fisicamente alcuni inquirenti che si sono messi in evidenza nella recente proficua attività di repressione di Cosa Nostra. Poi il rapporto prosegue mettendo in rilievo le caratteristiche dei possibili obiettivi:  gli onorevoli Calogero Mannino e Salvo Andò potrebbero essere future vittime di Cosa Nostra…il maresciallo Canale potrebbe correre pericolo per la sua incolumità poiché si è distinto in operazioni antimafia e per avere in particolare contattato alcuni esponenti di spicco della criminalità siciliana successivamente colpiti da provvedimenti della magistratura. Il Cap. Umberto Sinico correrebbe pericolo di vita per l’attività di contrasto di una delle maggiori famiglie mafiose palermitane…il Procuratore aggiunto Paolo Borsellino correrebbe seri pericoli per la sua incolumità a causa delle ultime inchieste sulla mafia trapanese che, colpita dai recenti successi investigativi, ha di molto ridotto la propria credibilità ai vertici di Cosa Nostra. 
Del contenuto del documento furono subito informati i diretti interessati prima ancora che fosse completato e spedito al comando generale dei carabinieri e da questo alla Procura di Palermo, alla Prefettura, alla Questura ed all’Ufficio dell’Alto Commissariato.[36] Ai due politici fu rafforzata la scorta, il Cap. Sinico ricevette l’invito di lasciare la Sicilia, il maresciallo Canale ricevette un analogo invito ma decise di restare per motivi familiari e professionali e cominciò a girare con un’auto blindata. Borsellino vide raddoppiata la sua scorta.

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