Nell’aula bunker di Caltanissetta, l’inizio della requisitoria nel processo in cui sono imputati tre poliziotti. “Il più grande depistaggio della storia d’Italia”
“Scarantino subì un pressing asfissiante – accusa il magistrato – il 24 giugno 1994, quando disse di volere parlare della strage, Scarantino era un uomo disperato, sfiancato da interrogatori, da plurimi procedimenti penali, da condanne per droga”. Fecero anche dell’altro. E’ stata la moglie del balordo della Guadagna a svelare le “torture” subite nel carcere di Pianosa. “Rosalia Basile l’aveva già detto nei mesi in cui tutto questo accadeva, mandando lettere al presidente della Repubblica, al presentatore Funari, alla signora Borsellino, che certo non poteva immaginare cosa stesse accadendo”. Il pm Luciani ripercorre le drammatiche dichiarazioni della moglie di Scarantino, queste: “La prima volta che lo andai a trovare a Pianosa, mi disse che lo torturavano, fisicamente e psicologicamente. Arnaldo La Barbera e altri poliziotti. Gli dicevano che lo avrebbero impiccato e che avrebbe fatto la stessa fine di Gioè. Un giorno, gli sussurrarono che aveva l’Aids”. Il pm punta l’indice contro La Barbera e i suoi poliziotti.
L’ex capo della squadra mobile di Palermo è morto nel 2002. In questo processo sono imputati il funzionario Mario Bò (“C’era anche lui durante i colloqui investigativi in carcere autorizzati dal ministero e dalla procura”, dice il pm), poi due ispettori in pensione, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Il più grande depistaggio della storia italiana nacque a Pianosa”, dice Luciani.
“Questo processo viene in continuità di un lavoro che è iniziato alla procura di Caltanissetta nel 2008 quando Gaspare Spatuzza raccontò una verità che da subito apparve dirompente. Era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D’Amelio e che andava a mettere in discussione condanne all’ergastolo”.