La strage mafiosa dei Georgofili

La strage di Firenze e i misteri irrisolti


Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di
 esplosivo nei pressi della storica
torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili.

Nell’esplosione perdono la vita 5 persone: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (36 anni) con le loro figlie Nadia Nencioni (9 anni), Caterina Nencioni (50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni); 48 persone rimangono ferite.
Oltre alla torre vengono distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subisce gravi danneggiamenti.
La strage viene inquadrata nell’ambito della feroce risposta di Cosa Nostra all’applicazione dell’articolo 41 bis che prevede il carcere duro e l’isolamento per i mafiosi.
Due mesi dopo, il 27 luglio, altri attentati mafiosi vengono compiuti a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e a Milano, in via Palestro, dove un’autobomba provoca cinque morti: tre vigili del fuoco e un agente della Polizia municipale intervenuti sul posto, e un cittadino straniero che dormiva su una panchina.
Secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la bomba in via dei Georgofili non avrebbe dovuto provocare morti ma solo danni alla Galleria degli Uffizi, ma la scarsa conoscenza dei luoghi e i pochi sopralluoghi fecero mettere l’autobomba in un posto diverso da quello previsto.
Successivamente il pentito Gaspare Spatuzza ha espresso “malessere” nei confronti di questo attentato e chiesto “perdono” alla città.
Come mandanti dell’attentato di via dei Georgofili nel 2000 vennero condannati all’ergastolo i boss Salvatore Riina, Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano Viene  poi condannato all’ergastolo il pescatore Cosimo D’Amato, con l’accusa di aver recuperato esplosivo da residuati bellici della seconda guerra mondiale nel mare della Sicilia e di averlo consegnato al cugino, il mafioso palermitano Cosimo Lo Nigro, che lo utilizzò nell’attentato di via dei Georgofili e negli altri attentati dinamitardi del 1992-1993. WIKIMAFIA


Le bombe, la foto e i misteri: Georgofili,  s’indaga ancora

La mafia dietro l’attentato del 1993 a Firenze che costò la vita a cinque persone tra cui due bambine
Firenze, 26 maggio 2022 – Ventinove anni. Sono passati ventinove anni da quella notte di maggio del 1993. Quando lo smarrimento lasciò presto il posto a un’aberrante certezza: c’era la mafia dietro al Fiorino carico di tritolo piazzato in via dei Georgofili e i cinque morti –  i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (31 anni) con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni) – e gli ingenti danni agli Uffizi sono stati il prezzo che anche Firenze, con Milano e Roma, ha pagato per quell’offensiva allo Stato.
Ma il perché di quell’attacco, chi lo abbia voluto, indotto, o suggerito agli esecutori materiali (il clan palermitano di Corso dei Mille, secondo i processi celebrati all’aula bunker e le relative sentenze), non è ancora chiaro. E a ventinove anni di distanza dalla strage dei Georgofili, la procura di Firenze indaga ancora.
E’ l’inchiesta sulle stragi. E’ un fascicolo ancora quasi completamente coperto dal segreto istruttorio, ma qualche carta è stata svelata. Verbali di oggi, fitti di omissis, si intrecciano con le informative del passato di un’indagine perennemente aperta. I pm Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Luca Tescaroli sono eredi e custodi di atti compiuti dai loro predecessori, Gabriele Chelazzi (scomparso improvvisamente nell’aprile del 2003), Giuseppe Quattrocchi, Francesco Fleury, Giuseppe Nicolosi, Alessandro Crini. 

La donna e l’autobomba

L’ultima, clamorosa evoluzione dell’inchiesta fiorentina riguarda il coinvolgimento, nella fase esecutiva degli attentati, di soggetti esterni alla mafia. In questa direzione, vanno le dichiarazioni rese dal pentito Pietro Riggio al processo “’ndrangheta stragista” celebrato a Reggio Calabria – che ha riferito di un presunto coinvolgimento di appartenenti ai Servizi deviati negli attentati di Capaci e via dell’Amelio -, e si inserisce in questo sentiero anche l’ultimo sviluppo investigativo ancora in corso.
Rosa Belotti, da Albano Sant’Alessandro, Bergamo, 56 anni, sarebbe, secondo i pm fiorentini, la “biondina” che un passante notò, per la sua avvenenza, scendere da una Fiat Uno parcheggiata in via Palestro: poco dopo, in quel 27 luglio 1993, Milano pianse cinque morti causati proprio da un’autobomba. 
Due mesi avanti, la sera del 26 maggio, una donna era stata notata pochi minuti prima dell’esplosione di via dei Georgofili. Fu un residente di via dei Bardi, Vincenzo Barreca, a raccontare ai carabinieri di aver visto una mora arrivare in Mercedes, discutere con due persone, prendere una valigia e ripartire, seguita da un Fiorino bianco. Da quell’avvistamento, nacque anche un identikit, il secondo femminile dopo la “biondina” autista di via Palestro.
La Belotti, interrogata dopo essere stata perquisita, nel marzo scorso, ha negato ogni suo coinvolgimento, a Milano e a Firenze, ma ha ammesso che è effettivamente lei, in una foto che venne trovata in un misterioso arsenale in una villa di Alcamo. 

L’arsenale di Alcamo e la foto

 E qui si entra in una sorta di rompicapo. Perché quella foto di una giovane e bionda Belotti, mostrata per la prima volta dalla trasmissione Report, spuntò, nel settembre del 1993, tra armi che sembrano appartenere ad un’organizzazione simile a Gladio custodie da due carabinieri. A quel sequestro, gli inquirenti arrivarono grazie al poliziotto Antonio Federico, che a sua volta era stato destinatario di una soffiata da una sua fonte molto informata. Il misterioso confidente suggerì a Federico di sfogliare anche i volumi di un’enciclopedia. Tra le pagine, c’era appunto l’immagine di quel volto femminile, che però, in quel momento non era collegato o collegabile alle stragi che si stavano consumando e solo oggi a quella foto è associato un nome. Ma non definitivamente un perché. 
I dubbi, a quasi trent’anni di quella stagione di nuova strategia della tensione, sono duri da dissipare. Neanche i pentiti parlano mai di una donna nella batteria delle stragi. Riferiscono invece di mandanti e manovre, a cavallo tra Mani Pulite e l’avvento di Forza Italia, per indirizzare con il sangue di innocenti la politica del Paese. Affermazioni che sono ancora tutte da dimostrare e che non hanno trovato riscontri oggettivi. Stefano Brogioni LA NAZIONE  25 maggio 2022 

Riferisce Graviano Giuseppe Graviano, “madre natura”, figlio del boss Michele assassinato nel 1982, è tra i condannati per la strage dei Georgofili. Tra il 2016 e il 2017, durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno, venne intercettato dmentre parlava con il compagno di cella Umberto Adinolfi. I discorsi sembrano riferiti al periodo antecedente alle stragi del 1993 e a un prestito da venti miliardi che alcuni siciliani, tra cui suo nonno, avrebbero elargito a un imprenditore milanese in ascesa, oggi pure lui nuovamente indagato a Firenze dopo le archiviazioni del passato: Silvio Berlusconi. I cui difensori hanno sempre argomentato sulla totale inaffidabilità del mafioso.
“In più occasioni – si legge in una nota della Dia di Firenze – Giuseppe Graviano ha fatto riferimento ad un accordo sottoscritto da suo nonno e altre persone siciliane, con Silvio Berlusconi”. Tali affermazioni, Graviano le ha rese sia al processo “’ndrangheta stragista”, dove è stato sentito come testimone, sia in due interrogatori dinanzi ai magistrati fiorentini. In particolare, nella prima verbalizzazione del 21 novembre 2020, riassumono gli inquirenti, “è stato nuovamente affrontato il tema delle partecipazioni nelle aziende di Silvio Berlusconi da parte del nonno del detenuto e di tutte le altre persone che lo stesso cita come apportatori di quote consistenti di capitali liquidi”.
“Le partecipazioni – dicono ancora gli investigatori dell’Antimafia – si erano originate quando ancora era in vita il nonno, Filippo Quartararo, e che, a dire di Graviano, dovevano permettere un ritorno del 20% sulla cifra investita nella attività imprenditoriali di Berlusconi. L’accordo, formalizzato per iscritto, prevedeva, infatti, che a fronte della somma erogata dalla compagine siciliana, Berlusconi avrebbe dovuto corrispondere interessi elevati”.
Qui il verbale s’interrompe per uno dei tanti omissis. Ma la caccia alla scrittura che sancirebbe il prestito da 20 miliardi e al luogo di un paio di incontri tra Graviano e Berlusconi, è in corso. Il 27 ottobre scorso, sono stati perquisiti Nunzia e Benedetto, sorella e fratello di “madre natura”. Ma non solo. Confrontando le piante catastali di uno degli appartamenti in uso alla moglie di Graviano, a Palermo, gli uomini della Dia si sono accorti che era stato creato un anfratto segreto coperto da un muro. Quella stanza, però, è risultata vuota.
Una tegola su questi atti d’indagine è arrivata però dalla Cassazione. In accoglimento di un’istanza che era stata invece rigettata dal tribunale del Riesame di Firenze, presentata dal legale dei fratelli di Graviano, l’avvocato Mario Murano, i sequestri di telefoni e computer a persone non indagati sono stati giudicati illegittimi. “Questo ci permette finalmente di cominciare a discutere di diritto e, al contempo, fornisce un segnale importante che lascia sperare che si vada verso l’abbandono delle astruse teorie indagatorie della Procura della Repubblica di Firenze”, chiosa l’avvocato Murano.
I legali di Berlusconi hanno sempre definito Graviano inattendibile, e nessun riscontro è stato mai trovato a conforto di queste affermazioni.

Gaspare Spatuzza è il killer della mafia, membro del gruppo di fuoco che ha agito anche ai Georgofili, pentitosi nel 2008. Riferì che in un incontro al bar Doney a Roma, un “euforico” Giuseppe Graviano diede “il via all’esecuzione dell’attentato”: “Gli dobbiamo dare il colpo di grazia”, gli avrebbe detto.
Il 24 settembre 2020, i pm Turco e Tescaroli lo hanno nuovamente sentito: in quell’incontro, ha riferito dei rapporti tra “madre natura” e Dell’Utri, iniziati, secondo Spatuzza, “nel periodo temporale in cui sono avvenute le vicende dei cartelloni pubblicitari e della Standa di Brancaccio, di cui ho ripetutamente parlato, che colloco in epoca antecedente all’arresto di Giovanni Drago avvenuto l’8 marzo 1990”. 
Riguardo agli obiettivi degli attentati, il pentito dichiara che ad indicarli furono Graviano, Matteo Messina Denaro e “marginalmente” Ciccio Tagliavia “in un incontro che si è tenuto a Santa Flavia”.
Spatuzza parla anche del fallito attentato allo stadio Olimpico. “A Campo Felice di Roccella Graviano disse a me ed a Cosimo Lo Nigro che bisognava lavorare ad un progetto esecutivo di uccisione di un bel po’ di carabinieri a Roma. Fu in questa occasione che io dissi, come ho già riferito, ‘ci stiamo portando dietro dei morti che non ci appartengono’ facendo riferimento alle vittime della strage di via dei Georgofili. A quel punto Graviano, come per dare una risposta alla mia osservazione, ci domandò se capivamo di politica, noi rispondemmo di no e lui disse che serviva portarci dietro un po’ di morti così si ‘davano una scossa’, aggiunse che c’era in piedi una cosa che se andava a buon fine ne avremmo tratto dei benefici, anche per i carcerati”.  Stefano Brogioni LA NAZIONE  25 maggio 2022 


FRANCESCO TAGLIAVIA e la strage dei georgofili

AUDIO Deposizioni ai processi


Strage di via dei Georgofili: ergastolo per il boss Francesco Tagliavia  Esponente della cosca di Brancaccio, è stato riconosciuto colpevole della bomba esplosa a Firenze il 27 maggio 1993. Si tratta del processo di appello bis. La Cassazione nel 2014 aveva annullato con rinvio una prima condanna al carcere a vita  25 febbraio 2016 FIRENZE TODAY 

Il boss mafioso Francesco Tagliavia, della cosca di Brancaccio, è stato condannato all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze il 27 maggio 1993. Il verdetto è stato emesso dalla Corte di Assise d’appello di Firenze. Per Tagliavia i giudici hanno disposto anche l’isolamento diurno in carcere.Si tratta del processo d’appello-bis. La Cassazione aveva annullato con rinvio una prima condanna in appello all’ergastolo per Tagliavia (nella foto a destra), chiedendo di approfondire alcuni elementi di prova legati alle testimonianze dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo. In particolare, la Suprema corte chiedeva di valutare nell’appello-bis la credibilità di Spatuzza quando racconta che Tagliavia aveva partecipato in una villa di Santa Flavia, alcuni giorni dopo l’attentato a Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), a una riunione fatta per organizzare l’attentato di Firenze. E chiedeva anche di verificare l’attendibilità di Romeo, che aveva confermato il coinvolgimento di Tagliavia nell’organizzazione della strage, costata la vita a cinque persone.   Le motivazioni della sentenza saranno rese disponibili tra 90 giorni, ma intanto il difensore di Tagliavia, l’avvocato Luca Cianferoni ha annunciato un altro ricorso per Cassazione. 

Strage Georgofili: confermato l’ergastolo al boss mafioso Tagliavia febbraio 2016 La I sezione della corte d’assise di appello di Firenze ha condannato stasera, in un processo d’appello-bis, il boss di mafia Francesco Tagliavia all’ergastolo e all’isolamento diurno di un anno per la strage di Via dei Georgofili del 27 maggio 1993, in cui per lo scoppio di un’autobomba morirono cinque persone, fra cui due bambine, con 40 feriti e ingenti danni al patrimonio artistico. La Cassazione aveva annullato con rinvio una prima condanna in appello all’ergastolo per Tagliavia, chiedendo di approfondire alcuni elementi di prova legati alle testimonianze dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo. La conferma della condanna all’ergastolo per il boss di Corso dei Mille è il risultato che si aspettava il pg di Firenze, Alessandro Crini, che ha sostenuto l’accusa. Per il difensore di Tagliavia, avvocato Luca Cianferoni, “non ci sono negli atti processuali elementi che sostengano questa decisione” della corte. Cianferoni ha annunciato un altro ricorso per Cassazione. Le motivazioni della sentenza saranno rese disponibili tra 90 giorni.  La corte di assise di appello di Firenze è rimasta riunita in camera di consiglio da stamani per circa 10 ore e 45 minuti. Il presidente Luciana Cicerchia ha letto il dispositivo della sentenza verso le 21.30. La corte di Cassazione aveva prosciolto Francesco Tagliavia per gli attentati stragisti del 1993 di via Palestro a Milano e per quelli di Roma in via Fauro, al Velabro e quello successivamente fallito all’Olimpico, ma per la strage di via dei Georgofili a Firenze aveva annullato la condanna di secondo grado (ergastolo) con rinvio a un nuovo processo di appello indicando alla corte di assise di chiarire alcuni aspetti di prova.     In particolare, nel rinvio sulla strage dei Georgofili la Suprema corte chiedeva di valutare nell’appello-bis la credibilità del pentito Gaspare Spatuzza quando racconta che Tagliavia aveva partecipato in una villa di Santa Flavia (Palermo), alcuni giorni dopo l’attentato a Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), ad una riunione fatta per organizzare l’attentato di Firenze. E chiedeva anche di verificare l’attendibilità del pentito Pietro Romeo che nel 1997 aveva detto che il mafioso Francesco Giuliano, cugino di Tagliavia e appartenente al ‘gruppo di fuoco’ di Corso dei Mille, gli aveva detto che lo stesso Tagliavia si stava interessando per individuare una base logistica a Sieci (Firenze) invista dell’attentato da compiere ai Georgofili. Altra indicazione data dalla Cassazione era per rilevare se ci fossero motivi di rancore verso Tagliavia da parte di Spatuzza, Romeo e Giuliano.   Dopo la lettura della sentenza, le parti civili hanno espresso soddisfazione. Il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, ha commentato: “Francesco Tagliavia ha perso ancora una volta la partita, è stato condannato a Firenze per la seconda volta all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili del 27 Maggio 1993. Si è occupato dell’esplosivo che ha fatto saltare in aria i nostri parenti. Sicuramente la mafia ricorrerà nuovamente in Cassazione, perché è dura per chi sta per finire di scontare un ergastolo per omicidi, ovvero un ergastolo di fatto solo sulla carta, ritrovarsi improvvisamente sulla testa un ergastolo ostativo per strage a regime di 41 bis”. 12 luglio 2020 pistoia today


Sequestro beni per 38 milioni di euro  Nel mirino il gruppo criminale capeggiato dal figlio di Francesco Tagliavia, esponente di vertice del mandamento mafioso di Brancaccio, condannato all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze Mafia palermitana con l’accento toscano: “Quella telefonata alla mamma di Pietro Tagliavia”  6 maggio 2020 Schiaffo al clan Tagliavia di corso dei Mille. I finanzieri del gruppo di Prato – coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia – hanno sequestrato disponibilità finanziarie, conti correnti, imprese, immobili ed automezzi di proprietà, fino all’equivalente di oltre 38,6 milioni di euro (importo corrispondente al profitto complessivamente conseguito tramite attività di riciclaggio) a presunti esponenti della famiglia palermitana capeggiata da Pietro Tagliavia. Si tratta del figlio di Francesco Tagliavia, esponente di vertice del “mandamento mafioso di Brancaccio”, condannato all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze.

Il riciclaggio sarebbe avvenuto utilizzando una galassia di imprese (33 in tutto) con sedi in tutta Italia, aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto di materiali. Alcune sedi del gruppo criminale si trovavano in Sicilia. Si stima un giro di fatture per operazioni inesistenti di 50 milioni di euro.

Le Fiamme gialle hanno sottoposto a sequestro: 9 immobili, tra cui una lussuosa villa nella riviera romagnola, una villetta sulla costa palermitana, due appartamenti sulla riviera ligure di Ponente con pertinenti box, un immobile di Prato dove ha sede un bar e due terreni agricoli nel palermitano; 8 autoveicoli, alcuni dei quali di grossa cilindrata, ed un motoveicolo; 22 rapporti finanziari, tra cui conti correnti, polizze vita, buoni postali e fondi comuni d’investimento, per un controvalore pari a circa 1,2 milioni di euro; denaro contante per oltre 200 mila euro e 4 imprese operanti nel settore del commercio all’ingrosso di imballaggi.

Un consulente del lavoro palermitano, sospeso dall’Ordine, sarebbe stato specializzato proprio nella gestione delle false fatture. I sequestri, disposti dal tribunale di Firenze per equivalente del profitto conseguito col riciclaggio, rappresentano la seconda parte dell’inchiesta “Golden Wood”, che lo scorso febbraio aveva portato all’arresto di 12 persone (10 palermitani e due pugliesi).

A Francesco Tagliavia confermato l’ergastolo Capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille era accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini per la strage dei Georgofili  La Corte di assise di appello di Firenze ha confermato l’ergastolo per Francesco Tagliavia, 62 anni, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille. Tagliavia era accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini e prestato il suo assenso alla strage mafiosa di via de’ Georgofili a Firenze, dove il 27 maggio 1993 un’autobomba carica di 250 chili di esplosivo uccise il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela Fiume, custode della Accademia de’ Georgofili, le loro figlie, Nadia di 9 anni e Caterina di 50 giorni, e lo studente di architettura Dario Capolicchio. Altre decine di persone rimasero ferite, la Accademia de’ Georgofili fu completamente distrutta, la Galleria degli Uffici fu devastata e il centro di Firenze subì fanni gravissimi. Tagliavia, difeso dagli avvocati Luca Cianferoni e Antonio Turrisi, era stato già condannato all’ergastolo in primo e secondo grado sia per la strage di via de’ Georgofili che per quelle del 27 e 28 luglio 1993 a Milano (via Palestro – 5 morti) e a Roma (colpite la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesta di San Giorgio al Velabro) e per il fallito attentato contro i carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma (23 gennaio ’94). Le stragi per le quali già altre venti anni fa sono stati condannati i vertici di Cosa Nostra, da Salvatore Riina, a Bernardo Provenzano, a Giuseppe Graviano, a Leoluca Bagarella, a Matteo Messina Denaro (l’unico ancora latitante). CORRIERE DELLA SERA di FRANCA SELVATICI 24 febbraio 2016


Riciclavano i soldi del clan mafioso dei Tagliavia: 12 arresti tra Prato, Campi e Sesto  Pietro Tagliavia è il figlio di Francesco, condannato per le stragi di via d’Amelio e via dei Georgofili. I denari venivano riciclati e ripuliti attraverso imprese che commerciavano pedane in legno  L’operazione della Gdf di Prato, coordinata dalla Dda di Firenze, che ha portato all’esecuzione di 12 arresti (sei in carcere e sei ai domiciliari), con un totale di 60 indagati, contesta i reati di associazione a delinquere finalizzata a riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona. Il sodalizio riciclava proventi degli affari criminali della «famiglia mafiosa di Corso dei Mille» di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via de’ Georgofili a Firenze.

Gdf di Prato e Dda di Firenze hanno ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla mafia. Sono denari riciclati principalmente nell’economia toscana. L’associazione a delinquere avrebbe immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale.

Le fatture inesistenti venivano emesse sia tra aziende interne al gruppo criminale, sia a favore di aziende ad esso estranee, che usufruendo del servizio illegale si garantivano vantaggi fiscali. Le imprese `sane´ versavano tramite bonifico a quelle facenti capo al gruppo criminale il corrispettivo degli importi falsamente fatturati (per consegne di pallets mai avvenute), che poi veniva restituito in contanti, decurtato del 10%.

Lo scopo del sodalizio illecito era, dunque, riciclare, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa, i proventi criminali della «famiglia mafiosa di Corso dei Mille» di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia. In particolare, secondo gli inquirenti, gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia nel periodo in cui egli era detenuto presso la casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione in Campi Bisenzio (Firenze) dove aveva scontato gli arresti domiciliari e fornirgli, clandestinamente e in violazione delle prescrizioni imposte dall’Autorità Giudiziaria, un telefono con cui mantenere contatti anche con i propri sodali in Sicilia. Sulla presenza di Tagliavia e dei suoi possibili fiancheggiatori a Campi Bisenzio proseguono gli accertamenti. Emergono in particolare due gruppi familiari di origine siciliana, imparentati tra loro, trasferitisi nel Lazio e in Toscana.

Sono state 120 le perquisizioni eseguite dalla Gdf, nel corso delle quali sono stati sequestrati anche denaro e armi. Sequestrate, inoltre, 15 aziende e 86 conti correnti. I destinatari degli arresti sono originari della Sicilia (10) e della Puglia (due). Risultano residenti a Palermo (sette), Prato (due), Campi Bisenzio (due) e Sesto Fiorentino (uno). Negli stessi territori gravitano le altre decine di indagati dell’inchiesta denominata «Golden Wood». 6 febbraio 2020 | CORRIERE DELLA SERA

 


È notte quando a Firenze, tra il 26 e il 27 maggio 1993, esplode un’autobomba a pochi passi dagli Uffizi.

In quell’attentato mafioso perdono la vita Caterina di appena 50 giorni, sua sorella Nadia di 9 anni, i loro genitori Angela e Fabrizio Nencioni, e lo studente Dario Capolicchio; molti i feriti e ingenti i danni al patrimonio artistico e al tessuto urbano.
Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, non ci saranno manifestazioni pubbliche, ma la memoria di quella strage non si ferma e viaggia sulla rete.
Questo il mio contributo per l’Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, con un particolare pensiero a due persone: Giovanna Maggiani Chelli, che nel nome delle vittime ha lottato per tutta la vita per cercare la verità, e Gabriele Chelazzi, magistrato con cui ho condotto parte delle prime indagini.
A distanza di 27 anni non è stata fatta piena giustizia. Per questo con determinazione dobbiamo continuare a impegnarci per fare luce sui punti ancora oscuri.
PIETRO GRASSO

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco