Strage di Via D’Amelio – Abbiate pietà!

 

Abbiate pietà dei morti e abbiatene anche dei vivi.

Dopo trenta anni non si è ancora fatta piena luce sulla strage di via D’Amelio, nel corso della quale morirono il giudice Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta.

Trent’anni di depistaggi, omertà, anni di indagini indagini condotte assai peggio di come le avrebbe potuto condurre il commissario Basettoni senza l’aiuto di Topolino.

Ci avete ingannati.

E dopo trenta anni, continuano a spuntare come funghi testimoni che improvvisamente ricordano qualcosa di cui non avevano mai parlato prima.

Si ritrovano vecchie foto di una donna bionda (per carità, risparmiateci Marilyn Monroe) rinvenute nel corso di perquisizioni e mai riportate in uno straccio di verbale.

Fallito il teorema della ‘Trattativa’ che avrebbe accelerato l’uccisione di Borsellino, mediaticamente si prospettano ‘nuove piste’ che sanno di assai vecchio, confutate e sotterrate già ai tempi del giudice Falcone.

Da Falcone stesso.

Nuovi tasselli di un nebuloso mosaico, nel quale non si trova il coraggio di mettere quello più importante, forse l’unico del quale si può dire di avere contezza: l’indagine mafia-appalti!

Si continua con i talk show, con gli spettacoli da Circo Barnum che fanno tanta audience, con le piste nere, rosse o gialle, con la Cia (ma mettiamoci dentro anche il Kgb, il Mossad e il Mukhābarāt), con gli imprenditori poi diventati politici. Mettiamoci dentro chi volete, ma perché dimenticare il movente?

Da Falcone non avete imparato nulla, né il metodo né un’indicazione che avrebbe dovuto far scuola, quando disse: «Segui i soldi, troverai la mafia».

Siete quei magistrati che per decenni vi siete bevuti le storielle di Scarantino. Quelli che si preoccupavano di cosa avrebbe pensato l’opinione pubblica se fosse venuta a sapere che avevate dato credito a un falso pentito condannando all’ergastolo innocenti e lasciando in libertà gli autori della strage.
Non eravate candidati a sindaci dei vostri paesi, eravate magistrati ai quali dell’opinione pubblica non doveva importare una benemerita cippa.
Eravate quei magistrati che avevano il dovere di assicurare i colpevoli alla giustizia ed eventualmente far scarcerare gli innocenti.

E su questo stendo un velo pietoso…

Che un magistrato indaghi a 360° è giusto.  È giusto che non escluda nessuna pista, ma per te giornalista che in passato hai osannato il ‘picciotto della Guadagna’ o quello che a Caltanissetta il procuratore Gabriele Paci ha definito ‘inquinatore di pozzi’ e ‘pentito eterodiretto’, è così difficile ancora oggi parlare di mafia-appalti?

Perché non ti sei mai chiesto chi ha creato i falsi pentiti e perché li ha creati?

Era più facile fare copia/incolla delle veline di qualche procura?

Hai solo contribuito a vestire il ‘pupo’ creato da abili ‘pupari’.

Imprenditori collusi, forse colpevoli di essere i mandanti esterni.

E se così fosse, non dobbiamo chiederci il perché?

Perché non parlare del tassello più importante, del movente, dell’interesse economico, degli appalti?

No, di questo non dobbiamo parlarne, non dobbiamo scriverne.

Ho conosciuto, purtroppo, giornalisti premiati perché ‘scomodi’, proprio nel momento in cui il loro nome compariva in atti d’indagine dai quali risultava che si erano prestati a costruire falsi dossier su commissione. Anche questa era informazione?

E le tante associazioni antimafia che hanno osannato ora quel pentito (falso), ora quel magistrato che ha imbastito inutili processi finiti in bolle di sapone, quando avranno il coraggio di denunciare pubblicamente le ragioni che diedero luogo alle stragi?

Quando chiederanno il perché della ‘costruzione’ dei falsi pentiti?

Quando denunceranno quel ‘covo di vipere’ – così lo definiva Borsellino – che era la procura di Palermo diretta da Giammanco?

In questo omertoso silenzio istituzionale e mediatico, sembra levarsi una sola voce, quella dei figli del giudice Borsellino rappresentati dall’avvocato Fabio Trizzino.

Leggo l’articolo del ‘Il Sole 24 ore’ a firma di Nino Amadore, dal titolo La famiglia Borsellino: «La pista nera sulle stragi del ’92 è un altro depistaggio», un urlo di dolore di chi non chiede vendetta ma giustizia.

“È in atto un altro depistaggio”, riporta l’articolo facendo riferimento all’attacco da parte dell’avvocato Fabio Trizzino – marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore di Paolo morto nella strage di Via d’Amelio il 19 luglio 1992 – alla “puntata di Report e la ricostruzione fatta da Paolo Mondani sul coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie, esponente della destra eversiva, che sarebbe stato presente a Capaci per un sopralluogo qualche mese prima della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una ricostruzione che, secondo Trizzino, serve a distrarre dalla verità insomma per depistare ancora una volta.

Trizzino, che ha recentemente sostenuto a Caltanissetta la sua arringa al processo per il depistaggio nelle indagini sulla strage di Via D’Amelio attraverso le imbeccate a Vincenzo Scarantino: in quel processo sono imputati tre poliziotti.

Il legale della famiglia Borsellino ha un’idea precisa: ‘È nelle indagini su mafia appalti che bisogna cercare la verità. Qualche settimana prima di morire mio suocero ha incontrato il magistrato Felice Lima che gestiva il pentito Lipera il quale aveva riferito che qualcuno aveva passato i dossier delle indagini ai mafiosi’.

Una ricostruzione che fa il paio con un’altra: ‘In quei 57 giorni di Via Crucis che separano la strage di Capaci da quella di Via D’Amelio Paolo Borsellino non sorride più. Lucia (la moglie e figlia del magistrato ndr) mi ha raccontato che al padre sono diventati i capelli bianchi in dieci giorni.

Ma a parte questo in quei giorni Borsellino confida a due magistrati di essere stato tradito da un amico e che, riferendosi all’ambiente della procura della Repubblica, a Palermo non ci si può fidare di nessuno. Ma quei due magistrati hanno parlato nel 2010 non subito dopo la strage’.”

Ancora una volta, mafia-appalti, quello che molti non vogliono si dica.

Poi, la stoccata finale, quella sul ‘covo di vipere’ che all’epoca rappresentava la procura di Giammanco:

“È sul procuratore Giammanco che bisogna indagare altro che Delle Chiaie. Si gira sempre attorno per non cercare in quella maledetta procura. Ecco Si parla di responsabilità istituzionali ma perché i responsabili devono essere altri e non i magistrati? Chi erano i magistrati coinvolti nel depistaggio su Via D’Amelio?” – si chiede Trizzino.

Non usa mezze parole l’avvocato quando parla di magistrati penalizzati per aver condotto l’inchiesta mafia-appalti, né quando fa i nomi di quelli premiati che quell’inchiesta hanno affossato.

Conosceremo mai la verità? Forse no. Perlomeno non fino a quando i media continueranno il loro tam tam senza lasciar parlare chi ha ben altro da raccontare che non quello che narra un gelataio e tanta altra gente raccattata chissà dove, che dopo quasi trent’anni ritrova la memoria, vecchie fotografie e chissà cos’altro.

Come per alcuni falsi pentiti come Vincenzo Calcara (ormai posso dirlo, sono stato assolto dall’accusa di averlo diffamato per averlo scritto oltre quattro anni fa), per tutti vale la ‘prova’ (racconto) di aver narrato questi fatti al giudice Borsellino – che non li dichiarò mai, né li riporto in atti – e che lo stesso li aveva scritti nella famosa Agenda Rossa mai ritrovata.

Come qualche magistrato, continuate pure a preoccuparvi dell’opinione pubblica, dell’audience dei vostri programmi o della vendita di quache copia in più dei vostri giornali, ma abbiate pietà dei morti. Abbiate pietà dei vivi, e anche delle nostre intelligenze che non possono essere offese e stuprate in questa maniera.

Gian J. Morici

 


Una precisazione si impone…