CONDANNATI PER MAFIA E IMPEGNO POLITICO…

 


“Cuffaro e Dell’Utri? Basta con l’antimafia delle parole” 

Le parole del giudice Alfredo Morvillo, pronunciate per sottolineare e criticare il rapporto tra condannati per mafia e politica. Quelle successive di Maria Falcone, altrettanto nitide. Il pensiero che si volge, per automatismo, a Totò Cuffaro, a Marcello Dell’Utri e al centrodestra, impegnato nella sfida di Palazzo delle Aquile. Il grido di dolore di Tina Montinaro, vedova di Antonio, caposcorta di Falcone. E quel sangue e quelle macerie che nessuno può dimenticare. E poi la campagna elettorale che, per naturale polemica, assorbe e riflette ragionamenti, frasi, idee, declinandole nel suo modo spiccio, in una dialettica conflittuale. Tanti spunti contundenti, ma anche praterie di senso da indagare. Sull’argomento c’è, per esempio, da ascoltare il professore Giovanni Fiandaca, insigne giurista, studioso di diritto penale e della mafia, garante dei detenuti in Sicilia. Con lui è quasi superfluo portarsi appresso un canestro di domande, perché risponde da sé ai quesiti puntuti che avresti voluto porgli. Ecco come la pensa, capitolo per capitolo, in una sorta di saggio breve, con robusti agganci alla cronaca, che pubblichiamo.

“Una condanna  non è per sempre”

“Una premessa è scontata – è l’incipit del professore -. La questione è complessa e delicata e non può essere banalizzata, né è opportuno dar luogo a equivoci. Cerco, perciò, di essere più chiaro possibile. Come giurista sensibile ai principi costituzionali, raccomanderei di distinguere l’aspetto giuridico-costituzionale che, non solo ai miei occhi, in una democrazia come la nostra, è della massima importanza, dalla valutazione politica. Quanto alla dimensione costituzionale, anche i cittadini comuni dovrebbero una volta per tutte maturare la consapevolezza che una condanna penale, anche per un reato di mafia, non comporta affatto un giudizio di perpetua indegnità morale o di perpetua inaffidabilità sociale o politica della persona condannata”.

“I diritti di chi ha sbagliato”

Un esordio che apre il ventaglio delle considerazioni che seguono l’enunciato. “Vi è di più – continua il professore -. La nostra Costituzione muove da una una concezione antropologica non pessimistica, cioè dalla concezione di fondo che nessuno è delinquente, o persona immorale, o persona priva di dignità per sempre, anche se la persona in questione si è resa responsabile del più atroce dei delitti possibili. Anzi, la dignità personale non la perde mai costituzionalmente neppure il criminale più mostruoso e gli stessi diritti fondamentali che debbono essere riconosciuti persino ai carcerati hanno il loro fondamento in un concetto di dignità umana inalienabile, che compete sin dalla nascita a ogni essere umano in quanto tale. E la riprova è costituita dal fatto che l’articolo ventisette della Costituzione attribuisce alla pena, come scopo principale, una finalità rieducativa, o risocializzatrice, o riabilitativa che dir si voglia, per cui l’obiettivo ultimo a cui tende la Costituzione è il cosiddetto reinserimento nella società libera della persona condannata, nel presupposto che l’avere scontato la punizione possa avere l’effetto di educare la persona punita al rispetto dei valori fondamentali della convivenza”.

“Cuffaro e Dell’Utri liberi di impegnarsi”

Un canovaccio generale che si innesta nelle storie dei nostri giorni che vedono dei condannati per mafia, non più ricandidabili, presenti nella contesa politica e inseriti nella dinamica di scelte e trattative. “Una persona che ha già scontato la pena inflittale per usare espressioni tradizionali ha saldato il debito con la società – dice il professore Fiandaca – ha riparato il male commesso, è pertanto ritornato a essere un cittadino in pieno possesso dei suoi diritti che nessuno si può permettere di censurare pubblicamente a causa dei reati commessi in passato. Persone come Salvatore Cuffaro o lo stesso Marcello Dell’Utri hanno tutta la libertà, se lo ritengono, di continuare a impegnarsi politicamente. E sarebbe ingiusto e incostituzionale pretendere di criticarli per il semplice fatto che da ex condannati, per reati di contiguità mafiosa, intendono continuare a esercitare un ruolo politico attivo, eventualmente condizionando le dinamiche politico-elettorali. Altra cosa è il diritto a ricandidarsi che, in questo caso, presuppone un giudizio di riabilitazione ancora a di là da venire, almeno secondo il diritto tuttora vigente, sempre che la Corte europea non dica niente di nuovo sul punto”.

“Le critiche scorrette”

Il ragionamento di Giovanni Fiandaca approda all’attualità politica:“Insomma, se, ad esempio, sono un elettore di centrosinistra, non sarò, in linea di corretto principio, legittimato a basare, oggi, la mia critica al centrodestra soprattutto sul fatto che continuino ad avervi un ruolo attivo personaggi alla Cuffaro o alla Dell’Utri. Piuttosto, riconosciuta la piena libertà e legittimità dell’uno o dell’altro di volere continuare a impegnarsi in politica, la critica dovrebbe rivolgersi al merito politico, al senso e al contenuto dei consigli, dei suggerimenti o delle proposte concrete che personaggi ex condannati potrebbero portare nel dibattito politico. E se il professore Lagalla accetta quel sostegno, non vuol dire che stia accettando di difendere interessi oscuri. Questo è un modo giustizialista e populista di intendere”.

“Lagalla, i condannati e il centrodestra”

Ma la lacerazione, avvertita da tanti, non è esclusivamente di prassi politica o di riflessione sull’opportunità politica. Ci sono, infatti, le parole delle vittime e le idee di chi, senza alcuna intenzione di strumentalizzare alcunché, pone domande legittime e si dà risposte che riguardano il nostro essere siciliani, nella pienezza del sangue che è stato versato. “Io comprendo e rispetto Alfredo Morvillo – dice il professore Fiandaca . Se colgo bene il significato profondo delle sue parole, sono senz’altro d’accordo. Le intendo, mi pare di poter dire, nel senso che il dibattito politico non ha fatto quel salto di qualità e altresì non si è realizzato quel rinnovamento personale del ceto politico che ci si sarebbe dovuti attendere dopo le stragi e dopo le tragedie che abbiamo sperimentato”.

“L’antimafia delle parole”

“Comprendo anche la ulteriore presa di posizione di Maria Falcone. Mi chiedo, però non polemicamente, se ancora oggi sia davvero necessario porre al primissimo posto, e soprattutto esplicitarlo a gran voce, l’impegno contro la mafia – è la conclusione del giurista -. All’uscente sindaco Orlando viene da più parti rimproverato di avere ecceduto in simbolismo antimafioso e di avere trascurato di affrontare i problemi concreti della città. Sarei tra coloro i quali ritengono che sia maturato il tempo, per i politici, di passare una buona volta dall’antimafia delle parole, dei gesti, e delle esibizioni pubbliche a una antimafia fatta di cose concrete, di scelte amministrative e forme di effettiva vigilanza che tolgano spazio ai condizionamenti mafiosi, nonché di interventi in chiave di prevenzione e sostegno sociale, volti a porre i cittadini più bisognosi e vulnerabili in condizioni di resistere alla ricorrente tentazione di seguire scorciatoie criminali. Questo concreto impegno antimafia, da realizzare e sviluppare, all’interno di un credibile e complessivo programma di futura gestione politico-amministratriva della città, dovrebbe essere assunto da entrambi i principali i candidati sindaci. Non solo a parole, ripeto, ma spiegando appunto cosa specificamente intendono fare per mantenervi fede. E poi, in definitiva, non credo che Cuffaro e Dell’Utri abbiano oggi in mano le sorti del centrodestra e conosco e stimo Roberto Lagalla. In ogni caso mi sento di escludere che egli si faccia consapevolmente rappresentante di interessi poco nobili”.

LIVE SICILIA 5.6.2022 Roberto Puglisi


“Sicilia in mano ai condannati per mafia, certe morti sono state inutili”

“Quelli che strizzano l’occhio ai condannati per mafia…”

L’ex magistrato cita intanto una celebre frase di Falcone: “La mafia è un fenomeno umano che ha avuto un inizio e avrà una fine”. Ma per lui bisognerebbe aggiungere che “quella fine arriverà se tutti lo vorremo”. E a questo punto la riflessione assume toni molto critici. “C’è chi attualmente strizza l’occhio a personaggi condannati per mafia. C’è una Palermo che gli va dietro, se li contende e li sostiene”. Morvillo non fa nomi ma il suo ragionamento si collega alle cronache elettorali dalle quali emerge che, in vista delle elezioni comunali e regionali, si siano impegnati a tessere relazioni e trattative Marcello Dell’Utri e l’ex presidente della Regione Totò Cuffaro. Dell’Utri è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, Cuffaro per favoreggiamento di Cosa nostra.

Certe morti sono state inutili…”

Le loro manovre politiche hanno suscitato anche divisioni nel centro destra. Rivolgendosi a coloro che “strizzano l’occhio” ai condannati per mafia, Morvillo dice: “Voi con Falcone e Borsellino non avete nulla a che fare. Anzi, se avete buongusto, evitate di partecipare alle commemorazioni”. E conclude con una punta di amarezza: “Davanti a questi fatti mi viene in mente un cattivo pensiero: certe morti sono stati inutili. Qui sono accadute cose inaudite. Ma la libidine del potere spinge alcuni a stringere alleanze con chicchessia”. LIVE SICILIA


POSSIBILE ma INOPPORTUNO

VIDEO – PAOLO BORSELLINO, mafia e politica


Fiammetta Borsellino: “Inopportuno l’impegno elettorale a Palermo di Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri” (video)
L’intervento a ‘Che Tempo Che Fa’ su Rai 3: “Riemergono persone che purtroppo hanno scritto delle pagine buie della nostra terra e sono condannati per mafia. Il rischio è che con queste modalità si possano fare passi indietro è veramente altissimo, ma la questione morale sembra essere scomparsa dall’agenda di tantissimi candidati”

“Oggi Palermo, alla fine della ‘era Orlando’, si appresta ad affrontare delle nuove elezioni e purtroppo assistiamo alla riemersione nell’impegno elettorale – seppur nell’ombra – di persone che purtroppo hanno scritto delle pagine buie della nostra terra e sono condannati per mafia: Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Si stanno impegnando per queste elezioni e il problema non è se lo possono fare o meno, perché hanno scontato delle condanne, il problema – e qui torniamo alla questione morale che non si vuole più affrontare – è di dire che questa cosa è politicamente e moralmente inopportuna. Il rischio è che con queste modalità si possano fare passi indietro è veramente altissimo, ma la questione morale sembra essere scomparsa dall’agenda di tantissimi candidati”. Ad affermarlo a ‘Che Tempo Che Fa’ su Rai 3 è Fiammetta Borsellino.

Che sulla giornata del 23 maggio ha aggiunto: “Ricordare vuol dire riappropriarsi delle testimonianze di vita di determinati uomini affinché diventino patrimonio di tutti noi, lo dico sempre ai ragazzi perché costituiscano un faro per il nostro avvenire. Solo così la vita può avere una prevalenza sulla morte. Ricordare non può essere una mera celebrazione, non può essere una santificazione perenne, quando ciò accade diventa retorica, un oppio, e svia dai problemi. La memoria non può essere disgiunta dalla ricerca verità. In questi anni abbiamo assistito a tantissime celebrazioni ma il diritto alla verità su queste terribili vicende, che io definisco una ferita collettiva, non individuale, è stato totalmente calpestato attraverso percorsi voluti e depistaggi”. 

La verità disattesa, rileva, “parte innanzitutto in quei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Lì inizia il depistaggio perché a mio padre fu impedito di riferire quello che stava facendo anche in riferimento a delle indagini sulla morte di Falcone. Lui chiese alla Procura di Caltanissetta di essere sentito ma non lo vollero mai ascoltare, tant’è che al famoso discorso alla Biblioteca Comunale di giugno in un atto di disperazione si mise in pericolo dicendo di sapere ma che avrebbe riferito solamente alle autorità giudiziarie. Fu gettato in una solitudine assoluta, che poi è l’origine della maggiore esposizione al pericolo: tutti coloro che sono morti in quegli anni, sono morti sicuramente per mano mafiosa ma principalmente perché lo Stato italiano non è stato in grado di difendere i suoi uomini migliori”. 

Il depistaggio continua, aggiunge, “nei minuti successivi alla strage di via D’Amelio, quando non viene attuata nessuna forma di tutela per quel luogo, tanto da permettere alla “mandria di bufali” di cancellare qualsiasi prova, grazie anche al comportamento inadeguato di addetti ai lavori che maneggiarono la borsa senza accertarsi del contenuto e della persona a cui andava consegnata. Dopo di questo abbiamo una serie di indagini e processi condotti violando le norme del codice, in quegli anni duranti i processi non furono fatte verbalizzazioni di sopralluoghi importantissimi da cui si poteva immediatamente evincere l’inattendibilità del falso pentito Scarantino, il “pupo” scelto per auto-accusarsi di questa strage nonostante le evidenze che fosse assolutamente inattendibili”.

“I confronti tra Scarantino e mafiosi “doc” che non lo riconoscevano – sottolinea Fiammetta Borsellino-, non furono mai depositati. E anche quando alcuni magistrati si accorsero che i colleghi non applicavano le norme del Codice come riportato nel caso delle lettere scritte dalla dott.ssa Boccassini al dott. Saieva, che a un certo punto se ne andarono sbattendo la porta. Addirittura, in queste lettere si dice che i colleghi devono verbalizzare tutto, anche i respiri di Scarantino, eppure furono semplicemente protocollate e i magistrati che sono stati sentiti su questo dichiararono di non averne avuto notizia se non dopo tanto tempo. Ecco, una denuncia del genere andava fatta sotto altre forme, come ci ha insegnato mio padre che quando tentarono di smantellare il pool antimafia denunciò la cosa”. 

“Mio padre non fu mai avvisato nemmeno dell’arrivo del tritolo dal procuratore capo di allora, Giammanco, che non fu mai sentito dalla procura di Caltanissetta. Procura che fu totalmente inadeguata perché fatta da magistrati alle prime armi, che, come hanno poi dichiarato, prima di allora non si erano mai occupati di mafia”, aggiunge Borsellino. “Nessun uomo dotato di una minima intelligenza – sottolinea Fiammetta Borsellino – crederà che un depistaggio, definito come il più grave della Repubblica Italiana, sia stato compiuto da un manipolo di poliziotti. La sentenza del processo Borsellino-quater, che sancisce quello di via D’Amelio come il depistaggio e l’errore più grave della storia, dice che Scarantino è stato indotto a dire il falso da coloro che lo gestivano. Coloro che lo gestivano sono sicuramente investigatori ma, come sappiamo tutti, sono controllati e coordinati dai magistrati. A questo impianto così grave, queste gravissime anomalie che hanno caratterizzato le indagini e i processi, non ha fatto seguito nessun accertamento di responsabilità nei confronti di coloro che ne sono stati attori, né nei confronti del Csm, né da parte della Procura Generale della Corte di Cassazione”.

Per questo, rileva, “ritengo offensiva la chiamata fattami qualche giorno fa dal procuratore generale della Corte di Cassazione che mi invitava a partecipare a un convegno dei super procuratori generali di Palermo: io dalla Procura Generale mi aspetto delle risposte, da tanto tempo, nonostante io e mia sorella abbiamo dato un grossissimo contributo in termini di audizioni e verbali. Non c’è stata mai alcuna restituzione e credo che questa di via D’Amelio e di tante altre stragi che hanno caratterizzato la storia del Paese sia una storia torbida, e lo Stato ha perso la possibilità di poter fare anche pulizia al proprio interno perché è evidente che la mafia non agisce da sola, e qui torniamo alle “menti raffinatissime” di cui parlava Giovanni Falcone che sicuramente sono rimaste nell’ombra e hanno avuto una convergenza di interessi affinché determinate stragi potessero essere portate a termine”. 

Il depistaggio pur nella sua grossolanità, perché è stato proprio definito un depistaggio grossolano, rileva Fiammetta Borsellino, “ha ottenuto il suo principale effetto che è stato il passare del tempo: il passare del tempo allontana la verità per lo sgretolamento delle prove, la morte dei testimoni. Non si può buttare però tutto “sui morti”: in questi anni ci sono stati i processi, potevano essere assunte testimonianze anche incentrate sulla collaborazione e invece io stessa a Caltanissetta, avendo partecipato a quest’ultimo processo, ho assistito a testimonianze di funzionari dello Stato piene di “non ricordo”. Questa è una cosa molto triste perché denota che l’omertà non è soltanto quella mafiosa ma c’è un’omertà istituzionale che è ben più grave”. PALERMO TODAY 23.5.2022


Elezioni a Palermo, Fiammetta Borsellino: “Inopportuna la riemersione di Cuffaro e Dell’Utri”

Le dichiarazioni a “Che tempo che fa”, su Rai 3 – In vista delle elezioni del 12 giugno, anche le affermazioni di Fiammetta Borsellino sono in linea con le precedenti di Maria Falcone e Alfredo Morvillo.Ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, su Rai 3, la figlia di Paolo Borsellino ha infatti accennato anche alle amministrative ormai imminenti.

“Oggi Palermo, alla fine della cosiddetta “era Orlando”, si appresta ad affrontare delle nuove elezioni e purtroppo assistiamo alla riemersione nell’impegno elettorale – seppur nell’ombra – di persone che purtroppo hanno scritto delle pagine buie della nostra terra e sono dei condannati per mafia. Parlo di Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri“.

“È evidente che si stanno impegnando per queste elezioni. Il problema non è se lo possono fare o meno, perché hanno scontato delle condanne, il problema – e lì torniamo alla questione morale che non si vuole più affrontare – è di dire che questa cosa è politicamente e moralmente inopportuna. Il rischio che con queste modalità si possano fare passi indietro è veramente altissimo, ma la questione morale sembra essere scomparsa dall’agenda di tantissimi candidati”.

 

 

FIAMMETTA BORSELLINO intervistata a CHE TEMPO CHE FA



MARCELLO DELL’UTRI ha scontato i 7 anni di pena per concorso esterno in associazione mafiosa


TOTÓ CUFFARO condannato a  sette anni di reclusione per favoreggiamento personale verso persone appartenenti a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Recluso nel carcere romano di Rebibbia dal 22 gennaio 2011, è stato scarcerato il 13 dicembre 2015


 Pif: “Avvertenze ai candidati: io mi posso candidare alle elezioni, tutti si possono candidare, Totò Cuffaro no. Perché anche se è uscito dal carcere lo Stato italiano ha detto “tu sei così pericoloso che non ti puoi candidare più”. Solo un cretino può pensare che non ci sia niente di male a farsi appoggiare da Cuffaro. Siccome io sono convinto che non sono cretini, ma sono intelligenti, io vorrei chiedere: “come vi viene in mente?” 

Maria Falcone: “Cuffaro e Dell’Utri sponsor non adamantini…”


LAGALLA: “ANDRÒ DA SOLO ALL’ALBERO FALCONE. CUFFARO E DELL’UTRI? NON SONO I MIEI ISPIATORI

Ha presentato una delle liste che lo sostengono e poi ha spiegato le ragioni della sua assenza alle celebrazioni per il trentennale delle stragi di mafia precisando: “Cuffaro e Dell’Utri non sono i miei ispiratori”. Il candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla si è preso la scena questa mattina presentando la lista ‘Lavoriamo per Palermo/Lagalla sindaco” che fa riferimento diretto a lui. Alla presentazione dei 40 candidati della lista erano presenti l’assessore regionale al Territorio Toto Cordaro, il presidente del Consiglio comunale Totò Orlando e il coordinatore di Iv a Palermo, Tony Costumati. “Questa lista è in grado di apportare un valore aggiunto al contributo politico dei partiti. Avevamo concordato anche a costo di correre da soli, questo rischio c’è stato per più di un tempo, di fare una battaglia civile e civica senza pregiudizi ideologici e di appartenenza. SI tratta di uomini e donne che corrono con la casacca civile e non di partito per il rinnovamento della città dopo 40 anni di epopea Orlando”.

Lagalla non ha potuto fare a meno di intervenire sulle recenti polemiche per non aver preso le distanze da chi ha scontato condanne definitive per mafia e che ne ha sostenuto la discesa in campo: “Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono ispiratori della mia candidatura, quindi non ritengo che debba dire altro”.

Sulla sua assenza nel trentennale delle stragi di mafia ha precisato:  “Ho partecipato per trent’anni a queste manifestazioni. Non vedo alcun problema a continuare a farlo, come è sempre stato mio dovere e mio sentimento. Mi ero recato l’altro ieri alla stele di Capaci per rendere omaggio a Falcone, Morvillo e gli uomini della scorta – ha aggiunto Lagalla – Da solo oggi mi recherò all’albero Falcone, lontano dalle telecamere che altri strumentalmente hanno utilizzato per questa vicenda. Oggi credo sia venuto il momento di parlare dei problemi della città”. GIORNALE DI SICILIA 24.5.2022

 


MAFIA e POLITICA

LA DENUNCIA DI FIAMMETTA BORSELLINO 


PAOLO BORSELLINO

Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.