GIOVANNI FALCONE, una vita in trincea

Anche nella sua casa di via Notarbartolo è un inferno. L’amministratore dello stabile dove abita gli scrive: «Decliniamo ogni responsabilità per i danni che potrebbero essere recati alle parti comuni dell’edificio».

Un giorno Falcone sta per infilarsi nel portone e sente dire a un passante: «Certo che per essere protetto in questo modo deve avere fatto qualcosa di veramente malvagio».
Ai palermitani disturbati dal clamore delle scorte e dalle sue indagini, dà voce un’«onesta cittadina» che invia una lettera a Il Giornale di Sicilia. Il quotidiano pubblica volentieri e con gran risalto la lettera della signora Patrizia Santoro:
Regolarmente tutti i giorni (non c’è sabato o domenica che tenga), al mattino, nel primissimo pomeriggio e alla sera (senza limiti di orario) vengo letteralmente «assillata» da continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora, mi domando, è mai possibile che non si possa, eventualmente, riposare un poco nell’intervallo del lavoro e, quanto meno, seguire un programma televisivo in pace, dato che, pure con le finestre chiuse, il rumore della sirene è molto forte?
Non è che questi «egregi signori» potrebbero essere piazzati tutti insieme in villette alla periferia della città, in modo tale che sia tutelata la tranquillità di noi cittadini- lavoratori e l’incolumità di noi tutti, che nel caso di un attentato siamo regolarmente coinvolti senza ragione (vedi strage Chinnici)?

dal libro UOMINI SOLI di ATTILIO BOLZONI