Da CAPACI a VIA D’AMELIO – 26 giugno 1992

 

Venerdì 26 giugno 1992  Dopo la denuncia della biblioteca, Paolo Borsellino si rituffa nelle indagini, che per l´area ristretta delle sue competenze sono quelle delle cosche di Trapani ed Agrigento. “In quei giorni accade una cosa mai verificatasi a casa nostra – racconta Agnese Borsellino – Paolo non riesce a trovare il tempo per occuparsi della famiglia. Carte, solo carte. Finisce in ufficio e torna a casa con la borsa piena di documenti da leggere, telefonate da fare, appuntamenti da riordinare. Con me e con i figli parla solo di notte, quando tutti gli altri dormono. E´ diventato quasi una macchina. No, nessuno di noi gliene fa una colpa. Se trascura moglie e figli, ha motivi gravissimi, lo sappiamo bene. Si e´ reso conto, pur nella sua umilta´, che in quel momento e´ l´unico ad avere la capacita´ e la volonta´ di lavorare con questi ritmi massacranti.” Lucia ricorda lo sforzo di mantenere alto il livello del suo impegno contro la mafia, nonostante i mille ostacoli messi sulla sua strada dal procuratore capo Giammanco. “Pur di continuare il suo lavoro e´ disposto ad accettare certi limiti che gli pone sempre piu´ spesso Giammanco. Gli costa un sacrificio doppio sapere che per motivi gerarchici e´ tenuto a raccontare al suo superiore i passi delle sue indagini, senza pero´ ricevere in cambio, ne e´ convinto, lo stesso flusso di informazioni. Capisce che gli vengono nascoste conoscenze acquisite dall´ufficio, episodi che potrebbero interessarlo, anche fatti gravi”. 

 Borsellino incontra per la prima volta negli uffici della procura di Roma Gaspare Mutolo, il quale fa mettere a verbale la sua decisione di iniziare a collaborare con la giustizia, parlando peró “solo con il giudice Paolo Borsellino, sotto la tutela del dottor Gianni De GennaroMutolo aveva già espresso il suo desiderio di collaborare il 15 dicembre 1991 chiedendo di parlare con Giovanni Falcone, ma questi gli aveva spiegato di non poter esaudire la sua richiesta in quanto non svolgeva più funzioni inquirenti. Falcone aveva comunque convinto Mutolo a svolgere un colloquio investigativo con l’allora vice-direttore della DIA Gianni De Gennaro. Inoltre aveva informato della decisione di Mutolo i vertici della procura di Palermo. Passano i mesi, c’è la strage di Capaci. Mutolo fa un nome: “Voglio parlare con Paolo Borsellino, mi fido solo di lui.” La segnalazione arriva ai vertici della procura di Palermo mentre Borsellino è in Germania per le indagini su Palma di Montechiaro. Giammanco aveva deciso di assegnare il collaboratore all’aggiunto Aliquò ed ai sostituti Lo Forte e Natoli mettendo a rischio il proseguio del rapporto. Quando Borsellino venne a conoscenza dei fatti vi fu una tesa riunione in procura al termine della quale Giammanco assegnò il fascicolo ad Aliquò, Lo Forte e Natoli con l’impegno di coordinarsi con Borsellino. Mutolo accettò la proposta, ma non fece mai mistero di considerare come vero interlocutore solo Borsellino. Quest’ultimo decide di non uscire allo scoperto e scontrarsi con Giammanco per non aprire un nuovo fronte di polemiche: i pentiti, le indagini in corso non possono aspettare. “Dopo, solo dopo, se sarà il caso, affronteremo di petto Giammanco” confida Borsellino ai colleghi più fidati della procura.

Mutolo comunica a Borsellino che intende verbalizzare le sue dichiarazioni seguendo un percorso ben preciso: prima la descrizione completa delle famiglie mafiose, componente per componente, mandamento per mandamento. Terminata questa prima parte, Mutolo si dice disposto a verbalizzare i nomi dei referenti di Cosa Nostra all´interno delle Istituzioni. “Bisogna prima mettere fuori gioco il corpo armato – dice Mutolo – poi passeró ai nomi dei generali. Non serve che io spari subito le grandi rivelazioni, se c´é un esercito pronto a mettere a tacere me e tutti i giudici che cominceranno ad indagare… É troppo pericoloso scrivere tutto da subito, le aule del Tribunale di Palermo non sono affatto sicure. Le informazioni circolano ed i rischi che arrivino ai diretti interessati sono alti”.