Paolo Borsellino stava scoprendo ‘cose terribili’

 

LE RIVELAZIONI AL CSM DI MARIA FALCONE

Il ruolo di Giammanco

“Paolo Borsellino stava scoprendo delle cose tremende che avrebbero fatto saltare diversi equilibri.
Lo disse lui stesso a Maria, la sorella di Giovanni Falcone. Perché le disse questo? Lei voleva andare dalle autorità competenti per parlare delle difficoltà che il fratello aveva avuto nella procura di Palermo guidata da Pietro Giammanco.

Ma Borsellino le disse di avere pazienza e di aspettare: ci avrebbe pensato lui, perché stava acquisendo delle prove, dei documenti.

Tutto questo lo apprendiamo dai verbali delle audizioni al Csm relative al periodo tra il 28 e il 31 luglio 1992, quando furono convocati tutti i magistrati dell’allora procura di Palermo.

Tali verbali sono stati recentemente acquisiti dal procuratore generale Roberto Scarpinato, che sostiene l’accusa nel processo d’appello per la “Trattativa”. Acquisiti e depositati al processo in corso. In realtà, ancora prima, a depositare alcuni di questi stessi verbali ci hanno pensato gli avvocati Basilio Milo e Francesco Romito, legali degli ex ros Mario Mori e Giuseppe De Donno.
Anche perché emerge un dato oggettivo: tutto c’è, tranne che qualche indizio che porti alla “presunta trattativa”.

Forse, il posto naturale di questi verbali delle audizioni al Csm è la procura di Caltanissetta che ha la competenza territoriale per indagare sulla strage di Via D’Amelio.
Ciò diventa necessario, dal momento in cui la sentenza di secondo grado del Borsellino Quater suggerisce di andare anche ad approfondire le problematiche che Borsellino riscontrò in Procura, oltre al discorso del suo interessamento all’indagine mafia appalti, considerata la causa dell’accelerazione dei tempi della strage. «Ecco, io mi levo gli occhiali perché amo guardare le persone negli occhi e che gli altri mi riguardino negli occhi».

È il 30 luglio del ‘92 ed è Maria Falcone che parla rivolgendosi al Csm.
È lei che ha chiesto di essere convocata, infatti è l’unica non togata ad essere sentita.

Lo spiega lei stessa: «Ormai ho preso la decisione di venire qua, perché?
È questo quello che a voi interessa, perché sono venuta qua? Certo, perché Giovanni, ci aveva sempre detto che le cose bisognava che fossero fatte nelle sedi istituzionali appropriate, era una sua massima, un suo modo di vivere e ce lo ripeteva spesso in famiglia, quando si chiacchierava di varie situazioni che si venivano a creare durante la sua carriera, io non ho le scalette, né fogli davanti a me, ma ho soltanto dodici anni di sofferenza vissuta insieme a Giovanni».

La sorella di Falcone spiega anche il motivo per cui ha deciso di essere sentita solo in quel momento e non prima: «Io per due mesi sono stata zitta, perché Paolo Borsellino così mi aveva consigliato, o ci aveva consigliato, perché Paolo era un caro amico di Giovanni, io lo ritenevo uno dei pochissimi amici di Giovanni, e quello che lui ci ha detto subito dopo la sua morte a me e a mia sorella, era quello di avere calma, di aspettare il momento opportuno per parlare, per prendere determinate decisioni».

Maria ha sostanzialmente raccontato che Falcone aveva dei problemi enormi, tanto che fu costretto a lasciare la Procura per poter lavorare serenamente al ministero della giustizia. «Giovanni se ne è andato da Palermo – racconta sempre la Falcone al Csm -, perché non poteva più lavorare, perché il Procuratore Giammanco non gli permetteva più di svolgere il suo lavoro come avrebbe voluto lui farlo. Io, non è compito mio indagare sul perché Giammanco ha adoperato questa strategia di non farlo lavorare, questo non è compito mio, io posso dirvi soltanto quello che Giovanni diceva in famiglia».
Maria, però, ci tiene a specificare che non è compito suo fare i nomi. Anche perché Falcone, per serietà istituzionale, non li ha mai fatti in confidenza.

«Qua interessa soltanto parlare del Procuratore Giammanco, quindi solo questo nome farò», ci tiene a sottolineare. In effetti, più avanti la Falcone è ancora più chiara su questo punto: «Giovanni era riservatissimo, tutto quello che era ufficio era tabù, ci riferiva il suo stato di animo, cioè la sua sofferenza».

Racconta anche un fatto inedito, una vicenda che però non è stata tuttora raccontata nei dettagli da chi è testimone.

Giammanco, all’inizio, prima di diventare Procuratore Capo, si mostrò grande amico di Falcone.
Era la sua ombra, lo seguiva passo dopo passo per apprendere i suoi insegnamenti. Poi, però, una volta diventato capo della Procura grazie anche al sostegno di Falcone, qualcosa cambiò. Come mai questo cambio repentino di atteggiamento? Non è dato sapere.

Maria rivela un fatto mai emerso prima.
Si riferisce a quando Falcone andò a cena a casa sua e le raccontò che in mattinata aveva dato l’addio alla Procura di Palermo.

Le raccontò che aveva fatto una scenata di quelle tremende. «Questa scenata – spiega al Csm la Falcone – vi sarà stata raccontata dai sostituti, io non so i particolari perché Giovanni non me li ha riferiti i particolari, mi aveva detto che aveva detto pane al pane e vino al vino, cioè non aveva aperto una nuova “stagione dei veleni” ma aveva detto davanti a tutti i Sostituti e a Giammanco, tutto quello che pensava di lui, quale siano state le parole precise, vi dico non lo so, e poi alla fine, addirittura, di questo suo sfogo macroscopico, addirittura il Procuratore come se nulla fosse, gli è andato vicino e l’aveva anche abbracciato e baciato: “Ma che vai pensando Giovanni”, queste sono parole riferite da Giovanni».

Maria Falcone, dopo la morte del fratello, voleva riferire tutto questo, ma è Borsellino a dirle di stare tranquilla, che ci avrebbe pensato lui e che stava cercando delle prove. «Borsellino sapeva che doveva competere come un leone, e quindi doveva portare delle prove, delle cose inconfutabili. Verso la fine mi ha anche detto, nel trigesimo della morte di Giovanni, durante la messa, che era molto vicino a scoprire delle cose tremende». Quindi sono due i momenti in cui ha parlato con Borsellino. Subito dopo la morte di Falcone e poi il 23 giugno, nel trigesimo. «Delle cose terribili, che avrebbero fatto saltare parecchie cose», sono le parole che Borsellino ha riferito alla Falcone. Alla domanda precisa da parte del Csm, relativa a cosa si riferisse Borsellino, così risponde Maria: «Come tutti i magistrati e come mio fratello quando parlava con una non addetta ai lavori, non si fermava, penso, a dare parecchi particolari».
Maria precisa che con Borsellino parlava del fatto che il mondo doveva sapere che se Giovanni se ne era andato da Palermo era per Giammanco. «Queste erano state le mie parole a Borsellino e lui quindi penso che facesse riferimento alla scoperta di qualche cosa che riguardava questo problema».

Borsellino avrebbe quindi scoperto qualcosa di “terribile” in Procura, questa è la sensazione che sembra aver percepito la sorella di Falcone.

Aggiunge anche un altro particolare: «Ricordo ancora, appoggiato alla chiesa di San Francesco per la messa del trigesimo, dopo che lui era andato a guardare il campetto dove giocava con Giovanni a calcio da ragazzino, abbiamo avuto questa discussione in cui mi disse: “State calmi perché sto cercando di arrivare”».
Parliamo del 23 giugno.

Dopo due giorni Borsellino si incontra riservatamente con i Ros in caserma, dice loro di continuare nell’indagine mafia appalti e di riferire esclusivamente a lui. Ricordiamo che Borsellino non era ancora titolare delle indagini palermitane. E purtroppo non lo sarà mai.
Sappiamo, infatti, che Giammanco – dopo una notte insonne (così riferirà Borsellino alla moglie Agnese) -, decide di chiamarlo la domenica mattina presto del 19 luglio.
Lo chiama per dargli la delega delle indagini.

«No, la partita è ancora aperta!», esclama al telefono Borsellino.

Lo stesso pomeriggio, però, muore trucidato dal tritolo.
Una questione che viene evidenziata dalla sentenza della corte d’appello di Caltanissetta, che si sofferma anche sui sospetti che lo stesso Borsellino, il giorno prima dell’attentato, aveva confidato alla moglie.
Ovvero «che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò accadesse». La vicenda, a distanza di quasi 30 anni, non è stata chiarita. Più il tempo passa e viene sprecato con l’astratta ricerca di entità e terzi livelli, più sarà difficile avere chiarezza”.

 

di Leonardo Berneri IL RIFORMISTA 10.2.2021