Quando Spatuzza parlò di via D’Amelio, e non successe niente per dieci anni

GASPARE SPATUZZA


Il documento completo del “colloquio investigativo” del 1998 tra il collaboratore di giustizia e i magistrati Vigna e Grasso

Che cos’è questo documento
La mattina del 26 giugno 1998 il capo della Direzione Nazionale Antimafia e il suo vice – i magistrati Pier Luigi Vigna e Piero Grasso – andarono nel carcere dell’Aquila per avere un colloquio investigativo con un mafioso che vi era detenuto, Gaspare Spatuzza. Un colloquio investigativo è un formato di interrogatorio previsto dal codice che avviene tra investigatori e detenuti, per ottenere notizie ai fini di un’indagine ma il cui contenuto non può essere usato a processo: una sorta di raccolta informale di informazioni, su cui costruire successive indagini e verifiche, e che salvo eccezioni resterà riservato.

Il verbale di quel colloquio è una trascrizione linguisticamente molto maldestra e inaccurata che fu fatta undici anni dopo, con molti palesi errori, ma racconta molte cose che erano state tenute segrete – come da norma, come per altri colloqui del genere – per sedici anni, prima di comparire per un accidente imprevisto nelle carte pubbliche di un processo nel 2013, a cui fu accluso per errore. Per capire meglio quelle cose – diverse non si capiscono completamente tuttora – c’è bisogno di alcune premesse e descrizioni di contesti che abbiamo intervallato (in corsivo) alla trascrizione: il documento originale è qui.
Ma come può capire chiunque legga la trascrizione e le sue incertezze e i suoi vuoti, sarebbe prezioso un ascolto più accurato dell’audio originale, che la Procura di Caltanissetta – che ne è in possesso – ritiene non divulgabile, con valutazione che suona piuttosto illogica, essendo invece pubblica la sua trascrizione. Ugualmente preziosi alla comprensione di cose tuttora ignote sarebbero i contenuti degli altri colloqui investigativi con Spatuzza di quel periodo.

Chi sono i personaggi

  • Gaspare Spatuzza è un mafioso palermitano, associato alla famiglia Graviano, che era stato arrestato nel luglio 1997 dopo un conflitto a fuoco. È uno degli assassini di don Puglisi, un parroco ucciso nel 1993 per il suo impegno contro la mafia, ha partecipato al rapimento di Santino Di Matteo – il figlio tredicenne di un collaboratore giustizia che fu ucciso dopo due anni di sequestro – ed è stato condannato in primo grado all’ergastolo a Firenze per la strage di via dei Georgofili, uno degli attentati del “periodo delle bombe mafiose” tra il 1992 e il 1993, che è il tema principale del colloquio con i due magistrati. Fu in contatto fin da dopo l’arresto con gli inquirenti, e nel colloquio viene “sondato” sulla possibilità che diventi un “collaborante”. Dal verbale del colloquio si capisce che ce ne sia stato almeno un altro precedente, e che Spatuzza stia trattando con risposte molto parziali e laconiche l’eventualità di diventare un collaboratore di giustizia – succederà ufficialmente solo nel 2008, dieci anni dopo – e valutando il proprio potere contrattuale.
  • Pier Luigi Vigna, noto magistrato che condusse molte inchieste importanti, fu il Procuratore nazionale antimafia dal 1997. Fiorentino, affida la gran parte dell’interrogatorio al suo vice, anche perché siciliano e maggiore conoscitore della lingua e della cultura mafiosa. Il loro interesse principale nel colloquio è ottenere eventuali conferme all’ipotesi di un rapporto tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con i boss mafiosi Graviano, rapporto più volte indagato negli scorsi decenni e mai confermato (Dell’Utri è stato invece condannato nel 2014 a sette anni di carcere per avere costruito un rapporto di protezione ed estorsione da parte di alcuni boss mafiosi nei confronti di Berlusconi negli anni Settanta e Ottanta). Il procuratore Vigna andò in pensione nel 2005 e morì nel 2012.
  • Piero Grasso, che allora aveva 53 anni, era il vice Procuratore nazionale antimafia. Prima era stato giudice a latere in un famoso “maxiprocesso” alla mafia alla fine degli anni Ottanta, in conseguenza del quale era stato preparato un attentato mafioso contro di lui, poi non eseguito. Nel 1999 sarà nominato Procuratore capo a Palermo e nel 2005 Procuratore nazionale antimafia, succedendo a Vigna (oggi quel ruolo è del magistrato Franco Roberti). Nel 2013 è stato eletto senatore per il Partito Democratico ed è diventato presidente del Senato.
  • “I Graviano”, sono le persone di cui si parla più spesso nel colloquio. Sono Giuseppe e Filippo Graviano, boss del quartiere Brancaccio di Palermo, che erano stati arrestati nel gennaio 1994 a Milano e che sono considerati gli ideatori della campagna di stragi di Cosa Nostra tra il 1992 e 1993 su cui Grasso e Vigna stanno indagando. I due fratelli sono figli di Michele Graviano, che secondo alcuni pentiti investì nelle aziende di Silvio Berlusconi i soldi della mafia: e la conservazione di rapporti con Berlusconi da parte dei figli Graviano, e addirittura il coinvolgimento di Berlusconi nelle loro attività criminali, sono spesso evocati da Vigna e Grasso in diverse domande fatte a Spatuzza.

La storia del documento
Il colloquio del giugno 1998 tra Vigna, Grasso e Spatuzza fu registrato. Pietro Grasso ha riferito al Post, tramite il suo portavoce, che sicuramente le informazioni rilevanti furono inviate da Vigna alle procure competenti: quindi evidentemente anche a Caltanissetta, dove erano in corso inchieste e processi sulla strage di via D’Amelio, su cui Spatuzza dice cose importantissime. Da lì in poi però non risulta in undici anni nessun atto compiuto dalla procura di Caltanissetta per dare seguito o riscontro a quello che Spatuzza disse, e che avrebbe sovvertito i risultati dei processi allora in corso e le condanne a molti anni di carcere di diversi imputati estranei alla strage. A quanto disse poi, Spatuzza non venne mai interrogato fino a dopo il 2008, quando decise ufficialmente di “collaborare con la giustizia” e le sentenze precedenti vennero smentite e ribaltate. Di questo colloquio del 1998 e del suo contenuto si è saputo solamente nel 2013, quando la trascrizione dell’audio – compiuta nel 2009 dalla procura di Caltanissetta, per le indagini seguenti al “pentimento” di Spatuzza – venne inserita “per un disguido” tra le carte del pubblico ministero nel processo “Borsellino quater” e l’avvocato di uno degli imputati la citò in aula e contribuì a renderla pubblica. Il procuratore di Caltanissetta Lari disse allora di avere ricevuto verbale e trascrizione da Grasso – divenuto intanto Procuratore nazionale antimafia – a dicembre 2008. Fu di conseguenza messa agli atti del processo e da allora è un documento pubblico, mentre non lo è ancora la registrazione originale del colloquio.

La trascrizione del colloquio è molto trascurata, frammentata, incompleta: ma è stata mantenuta in originale salvo la correzione di pochi palesi refusi.

IL POST 13 luglio 2017

 


Storia di un incontro segreto per 15 anni

Cosa sappiamo oggi del contenuto del colloquio del 1998 tra Vigna, Grasso e Spatuzza, divenuto noto per un “disguido”

Il 26 giugno 1998 il Procuratore nazionale antimafia e il suo vice – Pier Luigi Vigna e Pietro Grasso – vedono nel carcere dell’Aquila Gaspare Spatuzza nella forma di un “colloquio investigativo” prevista dalla legge per consentire delle conversazioni informali tra investigatori e detenuti che possano essere utili alle indagini senza avere valore processuale (e senza un avvocato presente, per esempio). L’incontro dura due ore e mezzo (con una pausa) e la trascrizione della conversazione occuperà 80 pagine: dal suo contenuto si evince che ce ne fosse stato almeno un altro in precedenza.

Proprio per la sua natura legale, dell’incontro non è informato nessuno, né ce ne sarà traccia resa pubblica. Quindi ancora oggi nel 2017 non sappiamo niente di che cosa sia successo in conseguenza delle cose dette in quel colloquio, alcune delle quali apparentemente molto rilevanti per delle indagini e dei processi in corso. La prassi prevede che del contenuto del colloquio connesso a indagini o notizie di reato sia data informazione alle procure competenti: quello di cui Spatuzza parla – con dichiarazioni molto laconiche, ma numerose e in alcuni punti molto chiare – riguarda potenzialmente inchieste in corso a Palermo, Caltanissetta, Firenze. Il processo più importante che potrebbe esserne influenzato (ne sarà infatti travolto nel 2008, quando Spatuzza parlerà ufficialmente collaborando con la giustizia) è in corso a Caltanissetta e riguarda la strage di via D’Amelio in cui nel 1992 è stato ucciso il magistrato Paolo Borsellino: si sarebbe concluso di lì a poco con la condanna di imputati in realtà estranei all’attentato, e dei quali Spatuzza aveva sostenuto l’estraneità già in quel colloquio segreto.

L’ipotesi logica e realistica è che i due magistrati della Direzione Nazionale Antimafia (DNA) abbiano inoltrato la documentazione a Caltanissetta (ma in quale forma? La registrazione del colloquio, una sua trascrizione o una sintesi? La prassi era di inoltrare una breve nota informativa sulle relative questioni). Pietro Grasso ha spiegato al Post:

Di solito il Procuratore Vigna – io all’epoca ero Sostituto procuratore – trasmetteva alle Procure interessate il verbale riassuntivo in cui si evidenziavano gli spunti investigativi su cui avviare le indagini. Dopo la collaborazione di Spatuzza, nel 2008, a richiesta della Procura di Caltanissetta, furono mandate le copie di tutte le registrazioni dei colloqui investigativi per far tornare alla memoria del collaboratore eventuali circostanze e particolari che col passare del tempo poteva aver dimenticato.

Quello che sappiamo è che la procura di Caltanissetta non risulta aver dato seguito in nessun modo alle rivelazioni ineludibili di quel colloquio investigativo, in cui Spatuzza sostenne l’estraneità alla strage dei principali accusati, aggiungendo dettagli da verificare e riscontrare: non venne interrogato formalmente Spatuzza (sarà lui a dire di non essere mai stato interrogato in questo periodo), non venne registrato o ufficializzato nessun atto che, come la ragione dei colloqui investigativi prevede, cerchi riscontri e conferme a quanto detto dallo stesso Spatuzza. Non solo rimase ignoto e segreto il colloquio investigativo e quanto vi era stato detto, ma fu come se non fosse mai avvenuto, non ne seguì nessuna traccia o conseguenza.

Quando la tesi dell’accusa – trasformata in sentenze di condanna – sulla strage di via D’Amelio verrà disintegrata nel 2009 sarà perché Spatuzza avrà deciso di diventare formalmente “collaboratore di giustizia” e dunque di raccontare ufficialmente e con valore giudiziario quello che aveva già accennato nel 1998 e molto altro, compresi particolari che varranno come riscontri indiscutibili alla sua versione e al suo accusarsi di aver partecipato all’organizzazione dell’attentato (in particolare relativi alla preparazione dell’autobomba usata). Ma anche nelle molte occasioni – interrogatori e processi – in cui Spatuzza parlerà da lì in poi, si limiterà a citare un colloquio investigativo avvenuto nel 1997 con Vigna, oltre a quelli successivi del 2005 e 2008 con Vigna prima e Grasso poi che sono culminati nel suo “pentimento”.

La prima volta che viene rivelato che Spatuzza aveva già smentito nel 1998 l’accusa contro almeno due dei condannati per la strage via D’Amelio, sostenendo che le confessioni su cui si reggeva tutta l’inchiesta erano false ed erano state ottenute con la forza, è il 12 giugno 2013, e avviene per caso. Fino ad allora, ricordiamolo, sono passati quindici anni in cui quel colloquio non è esistito.
Durante un’udienza di un nuovo processo per la strage di via D’Amelio – chiamato “Borsellino quater”, basato in gran parte sulle dichiarazioni di Spatuzza – l’avvocato di uno degli imputati usa una trascrizione di quel colloquio per interrogare Spatuzza. Dove l’ha presa, l’avvocato Sinatra?

La trascrizione – 80 pagine – è stranamente tratta dalle carte del pubblico ministero, ovvero i documenti che l’accusa porta a processo, accessibili agli avvocati delle parti. Come ci sia finita, essendo un documento escluso dal valore processuale per legge, non si capisce: il Procuratore generale di Caltanissetta, alla richiesta di spiegazioni, dirà che è stato «un disguido» (può darsi che ci sia stato un equivoco sull’espressione «agli atti» usata in fondo al verbale, o che il trascrittore l’abbia definito “interrogatorio”). Sta di fatto però che l’avvocato Sinatra ha deciso di usarlo e questo genera una discussione concitata in aula sul suo uso (ascoltabile qui dal minuto 1.48.20, FILE 3/5) dopo le vivaci obiezioni del pm: e il presidente della Corte – che si è ritirata per decidere – conclude che non si può interrogare Spatuzza sui fatti citati in quel verbale.

Però prima della decisione e in mezzo alle continue opposizioni del pubblico ministero l’avvocato ha potuto chiedere poche cose a Spatuzza su quel colloquio investigativo e sui suoi contenuti: e Spatuzza prima ha negato con certezza che ci sia stato alcun colloquio investigativo nel 1998 («no, no, impossibile»), confermando solo quello del 1997; poi di fronte alla documentazione datata con esattezza ha ammesso di essersene ricordato all’improvviso: «ma è durato pochissimo» (durò due ore e mezza, in realtà). E in generale – dopo che per il resto del processo aveva ripetuto le sue dichiarazioni e i suoi ricordi con grande precisione e insistenza – Spatuzza adesso risponde (qui, FILE 5/5 dall’inizio) «non ricordo» praticamente su tutto quello che aveva detto nel 1998, e in alcuni casi nega di averlo detto. Avvisando con una certa premura il Presidente della Corte che lui quel verbale non lo aveva firmato, comunque (era normale che chi non aveva deciso di “collaborare” formalmente non firmasse nessun documento del genere). Il giorno precedente, Spatuzza aveva ricordato in aula di avere accennato già ai tempi del suo arresto alcune informazioni sulla falsa pista via D’Amelio, ma lo aveva collocato in un colloquio investigativo del 1997 che nel tempo ricorderà a volte solo con Vigna e a volte anche con Grasso. Quello del 1998 con Vigna e Grasso era stato taciuto fino a quel momento dallo stesso Spatuzza.

Non è solo strano come quel documento sia entrato tra gli atti del pm, ma non è ancora oggi certo che cosa sia, in concreto, quel documento: apparentemente, e secondo le informazioni raccolte dal Post, la trascrizione del colloquio – molto parziale e inaccurata – non risalirebbe al 1998, ma al 2009 (2 febbraio 2009 è la data della breve nota dell’appuntato dei carabinieri che lo inoltra al procuratore di Caltanissetta, firmando la trascrizione). L’ipotesi più plausibile è che la procura di Caltanissetta avesse ricevuto da Vigna una nota relativa (Vigna parla di un «verbale riassuntivo» a fine colloquio) a ciò che Spatuzza aveva detto rispetto alla strage di via D’Amelio e l’avesse trascurata (la procura di Caltanissetta si oppose per anni a considerare decine di smentite e prove contro la prima versione di cui si era fatta promotrice): fino a quando, dopo il “pentimento” di Spatuzza, il nuovo Procuratore generale Lari non aveva chiesto il file audio del colloquio del 1998 e l’aveva fatto trascrivere. Ma è un’ipotesi.

Una nuova richiesta degli avvocati della difesa alla fine del processo “Borsellino quater” – siamo allo scorso aprile 2017 – ha fatto cambiare idea al presidente, e quella trascrizione è stata acquisita agli atti del processo, ed è dunque oggi “ostensibile”, ovvero pubblica. Ma malgrado l’evidente illogicità di questo, non lo è il file audio originale che potrebbe mostrare più chiaramente tutto quello che venne detto in quel colloquio, spesso sbocconcellato o con salti logici nella forma della trascrizione oggi pubblica. Se la trascrizione pubblica è completamente aderente, non c’è ragione di tenere segreto il file audio; se non lo fosse, c’è ragione di mostrare il file audio, a questo punto “ostensibile” come la sua trascrizione. Il file audio è in possesso sia della procura di Caltanissetta che della Direzione Nazionale Antimafia. Il suo contenuto e la sua storia di quindici anni piena di passaggi ignoti potrebbero essere preziosi per capire qualcosa di più del grande depistaggio acclarato sulla strage di via D’Amelio o su altre cose che possano essere state ignorate.


Che cosa disse Spatuzza nel 1998 sulla strage di via D’Amelio

I passaggi del colloquio investigativo che smentiva con dieci anni di anticipo il depistaggio sui falsi colpevoli e la confessione di Scarantino

 

Gaspare Spatuzza entra in aula per deporre nel processo a carico del senatore Marcello dell’Utri, accusato di concorso in associazione mafiosa, il 4 dicembre 2009 al palazzo di giustizia di Torino (TONINO DI MARCO/GID)

La cosa più importante e fino ad allora sconosciuta – ma lo sarebbe rimasta per dieci anni – che Gaspare Spatuzza disse ai magistrati Vigna e Grasso nel 1998 (in un “colloquio investigativo” di due ore che riempì 80 pagine di molti argomenti e risposte) riguardava la strage di via D’Amelio in cui venne ucciso Paolo Borsellino. Era importante perché Spatuzza smentiva e demoliva – allora senza fornire ancora riscontri alla sua versione, come invece avrebbe fatto nel 2008 iniziando a “collaborare con la giustizia” – la versione che le inchieste e i processi stavano avallando in quel periodo, che avrebbe portato alla condanna di una decina di persone sulla base di confessioni false ed estorte a Vincenzo Scarantino, che si era autoaccusato falsamente della strage in conseguenza di “pressioni e abusi” da parte di chi lo interrogò. In particolare Spatuzza negò che fossero coinvolti nell’attentato lo stesso Scarantino e Giuseppe Orofino, accusato di avere collaborato alla preparazione dell’autobomba – una 126 rubata, secondo le sentenze – nel suo garage. Questi sono i passaggi in cui ne parla (qui c’è il testo completo).

SPATUZZA G.: OROFINO, non esiste questo.
Proc. GRASSO: OROFINO è quello che ne abbiamo parlato?
SPATUZZA G.: no, non esiste questo.
Proc. GRASSO: in che senso non esiste?
SPATUZZA G.: non esiste. Perché chi l’ha rubata, l’ha messa dentro e l’hanno preparata. Per logica stessa SCIORTINO custodiva la macchina dentro il garage; prendeva targhe da lì una macchina che ci ha in custodia lui e la mette nella macchina per andare a fare l’attentato. Poi vanno a rubare un’altra macchina.

Proc. GRASSO: uhm, e la macchina che avevano quella di OROFINO, come si spiega? Le targhe sono di OROFINO, OROFINO non sa nulla di questa storia, gli prendono le targhe, mettono in questa macchina, e poi si può andare a prepararla come autobomba, no?
SPATUZZA G.: si
Proc. GRASSO: che era di sabato o venerdì? Non si sa? E quello dell’autorimessa, non si doveva vedere, l’officina era lì? era presente? lo sapeva?
SPATUZZA G.: lui è estraneo a tutto. Aveva subito un furto.
Proc. GRASSO: lei allora dice che OROFINO non sa?
SPATUZZA G.: non esiste. Loro hanno questa situazione all’officina, e prendono per dire una macchina mia?
Dottore: e allora come è andata?
SPATUZZA G.: praticamente stu disgraziato di OROFINO fu coinvolto pirchi c’iru a rubari i targhi a notti stissu.
Proc. GRASSO: anche le targhe hanno rubato? Ma allora non si è fatta nell’officina di OROFINO la preparazione.
SPATUZZA G.: nru nru. (verosimilmente lo SPATUZZA annuisce come per dire di no).
Proc. GRASSO: e queste targhe di macchine a loro volta rubate? Oppure?
SPATUZZA G.: no, erano di macchine che OROFINO aveva nell’officina.
Proc. GRASSO: allora. OROFINO aveva le macchine, vanno a rubare nell’officina di OROFINO la targa che lui aveva dentro in riparazione. Dopo la usano per metterla nella macchina dell’autobomba, cosi è?
SPATUZZA G.: si.

Proc. GRASSO: che viene preparata in un altro luogo, e non nell’officina di OROFINO. E CIARAMITARO in questa cosa che cosa che c’entra? CIARAMITARO, mi scusi, SCARANTINO.
SPATUZZA G.: non esiste completamente.
Proc. GRASSO: non partecipa completamente?
SPATUZZA G.: non esiste.
Proc. GRASSO: e scusi, com’è che allora le cose che lui ha detto che sa?
SPATUZZA G.: lui era a Pianosa, ha ammazzato un cristiano che doveva ammazzare, e ci ficiru diri chiddu ca nu avia adiri. Toto LA BARBERA.
Proc. GRASSO: e quell’altro che era con lui, ANDREOTTI?
SPATUZZA G.: ma, di . . . . . vieninu chisti? Si sono rifatti di nuovo pentiti?
Proc. GRASSO: no, dice che poi eh, non.
SPATUZZA G.: tutti questi cinque nella stessa cordata, evidentemente.

Durante un’udienza nel processo “Borsellino quater” l’11 giugno 2013, Gaspare Spatuzza – divenuto dal 2008 “collaboratore di giustizia” – ricorderà di avere parlato di questo con i magistrati (lui dirà nel 1997): «Purtroppo si sono chiusi dei processi di cui io all’inizio potevo dare un contributo fondamentale (…) Mi volevano portare dalla parte dello Stato ma allora non ero ancora preparato: però ho inteso dare un indizio seppur lieve che per quanto riguardava la strage di via D’Amelio stavano facendo un grossissimo, grossissimo errore. Ho cercato già nel ’97 di mettere in guardia l’istituzione, a dire “siate cauti per la questione di via D’Amelio perché la storia non è così. Però non ho sentito più nessuno (….) Purtroppo hanno seguito un altro… e oggi ci troviamo qui a rifare tutto daccapo”».